lunedì 31 agosto 2009

Deliri notturni



Una lunga gelida estate

9 – Frankenstein

Deliri notturni




Quella sera ascoltai una conversazione tra mio marito e John in cui si parlava della possibilità di infondere la vita ad un corpo inanimato mediante l’elettricità.
L’argomento di questa conversazione, unito all’impressione della scena seguita alla lettura di Christabel agitarono il mio riposo notturno. Non riuscivo a prendere sonno, girandomi in continuazione nel letto, finché la stanchezza non mi sopraffece.
Allora una visione spaventosa mi si presentò in sogno.
“Vidi, a occhi chiusi, ma con un’acuta potenza evocativa della mente, vidi il pallido studioso di arti profane inginocchiato davanti alla cosa da lui creata. Vidi il fantasma orribile di un uomo disteso e poi, per opera di una potente macchina, vidi che mostrava segni di vita, scosso da un moto inquieto, semivitale. Inorridito lo studioso fuggiva lontano dalla sua odiosa opera, sperando che, abbandonandola a se stessa, si spegnesse la flebile scintilla di vita da lui comunicata. Poi lo studioso si addormenta, ma qualcosa lo risveglia: apre gli occhi e scorge l’orrenda cosa, in piedi, a fianco del letto, nell’atto di aprire le cortine e di guardalo con acquosi occhi gialli, animati tuttavia dall’intelletto.”*

Mi svegliai di colpo, col cuore colmo di angoscia, cercando di allontanare da me quella visione di una mostruosità disumana. Poi, mentre l’emozione si depositava, come la polvere che un turbine di vento ha levato in aria, compresi che avevo trovato la mia storia o meglio, che la mia storia aveva trovato me.

“L’ho trovata!” gridai. “Trasformerò in una storia la terribile visione di questa notte. Infonderò nel lettore lo stesso terrore che ho provato in quel frangente, Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.
Il giorno seguente cominciai a scrivere.
“Fu in una cupa notte di novembre che vidi la fine del mio lavoro. Con un’ansia che arrivava fino allo spasimo raccolsi intorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla animatrice nella cosa immota che mi giaceva davanti. Era già l’una del mattino, la pioggia batteva sinistramente sui vetri e la candela era quasi tutta consumata quando, al bagliore della luce che andava estinguendosi, vidi gli occhi giallo opachi della creatura aprirsi, respirò ansando e un moto convulso gli agitò le membra”.*


*Mary Wollstonecraft Shelley, Frankenstein ovvero il Prometeo moderno, 1818.


Domani: 9 - Frankenstein. Il Prometeo moderno

domenica 30 agosto 2009

La nascita di un mito


Una lunga gelida estate

8 – Il Vampiro

La nascita di un mito


John Polidori era figlio di Gaetano Polidori, già segretario di Vittorio Alfieri emigrato in Inghilterra e sposato ad una inglese. John, laureato in medicina ma mosso da ambizione di successo in campo letterario, divenuto medico personale di Lord Byron, lo accompagnò nel suo viaggio attraverso l’Europa nel 1816. Di questo viaggio tenne un diario, con l’intenzione di darlo alle stampe, secondo la moda dell’epoca.
In esso c’è una lacuna tra il 2 luglio (“Piovuto tutto l giorno. In serata con la signora [Mary] Shelley”) e il 5 settembre (“Non ho scritto il mio diario fino ad ora per negligenza e dissipazione. Ho avuto una lunga spiegazione con Shelley e Lord Byron; ho tentato di sparare a Shelley un giorno sull’acqua”). Dopo questa data le strade di Polidori e Byron si separeranno.

Quella che segue è una pagina del diario di John Polidori che fu strappata dall’autore e rinvenuta casualmente sotto una piastrella della sua camera durante una mia visita a Villa Diodati.

“[? Lug]io 1816. La mia storia della donna dalla testa di scheletro non è piaciuta. Come non era piaciuta la mia opera teatrale. Hanno riso di me, ancora una volta.
Byron e Shelley sono sempre assieme e parlano di poesia, di letteratura e non mi considerano degno della loro compagnia. La signorina Clare Clairmont non fa altro che lamentarsi del disinteresse di L[ord] B[yron] nei suoi confronti. Solo la signora [Mary] S[helley] è gentile con me. Quanta compassione provo per lei, creatura così intelligente e dotata, unita in un legame extraconiugale ad un uomo così indegno del suo amore, eppure cieca di fronte alla sua reale natura!

Ho persino sfidato a duello S[helley], ma il codardo mi ha riso in faccia! Inoltre L[ord] B[yron] mi ha minacciosamente ammonito: “S[helley] non è persona da amare i duelli, mentre io al contrario non sono tipo da tirarmi indietro e sono pronto in qualsiasi momento a prendere il suo posto!”

Ho deciso di mettere mano al frammento scritto da L[ord] B[yron] sul viaggio in Grecia con un vampiro. Quando avrò completato il racconto sono certo che l’apprezzamento della signora [Mary] S[helley] nei miei confronti aumenterà. E per allora avrà forse mutato idea su S[helley], quando questi avrà rivelato la sua natura.
Scriverò di una creatura tenebrosa e mortale e gli darò il nome di Lord Ruthven. Un giovane pieno di amicizia e ammirazione nei suoi confronti lo accompagnerà in un viaggio verso la Grecia. Qui scoprirà la vera, maledetta, natura di vampiro della creatura in cui aveva posto così tanta fiducia e speranza. E questo sarà l’inizio della sua rovina...”

E questo è l'incipit del racconto...

«Nel mezzo delle sregolatezze che accompagnano l’inverno londinese, avvenne che comparisse a vari ricevimenti degli esponenti del bel mondo un nobiluomo, degno di attenzione più per le sue stranezze che per il rango. Osservava con sguardo fisso l’allegria che lo circondava, come se non potesse prendervi parte. Quando la gaia risata di una bella fanciulla attirava la sua attenzione, la gelava con uno sguardo, e incuteva paura in quegli animi in cui regnava la superficialità».

Il racconto “Il Vampiro”, di John William Polidori, venne pubblicato nel 1819 e inizialmente attribuito a Byron. Quando questi negò la paternità dell’opera, John Polidori si fece avanti rivendicandola.
Il racconto introdusse la figura del nobile maledetto diventato vampiro. In precedenza, nel folclore popolare, la figura del vampiro era piuttosto quella di un mostro orribile e spaventoso, tormentatore di poveri contadini analfabeti. Il Lord Ruthven di Polidori è il primo vampiro affascinante e la sua figura elegante e seduttiva, ben introdotta nell'alta società del suo tempo, avrà un’influenza decisiva sulla letteratura vampiresca successiva, che culminerà nel famosissimo “Dracula” di Bram Stoker.

Domani: 9 – Frankenstein. Deliri notturni

sabato 29 agosto 2009

La vicenda di una donna curiosa.


Una lunga gelida estate

8 – Il Vampiro

La vicenda di una donna curiosa.

“Voglio raccontarvi la mia storia”.
John se ne stava impettito e pronto a raccontare quello che aveva inventato in risposta alla sfida lanciata da Albé. Ci accingemmo quindi ad ascoltare il suo racconto.
“C’era una dama, che viveva in una grande ed antica dimora. Ella aveva accesso a tutto il palazzo, le era stato vietato, a pena di gravissime conseguenze, di entrare in una stanza che si trovava nei sotterranei del castello. La donna per un po’ obbedì a quell’ordine, ma lentamente il tarlo della curiosità cominciò a divorarla. Mille angosciose domande sul contenuto della stanza le torturavano la mente. Infine risolvere quel mistero divenne per lei quasi una ragione di vita.
Così, dopo aver a lungo studiato i tempi ed i modi per raggiungere la stanza senza essere vista da nessuno, si accinse a violare il divieto. Confidava infatti nell’impunità derivante dalla segretezza furtiva del suo agire. Raggiunta la porta della stanza accostò l’orecchio. Si udivano dei rumori provenire dall’interno, segno indubitabile della presenza di qualcuno. Una luce filtrava, come una lama, da sotto la porta. Allora, spinta dalla curiosità non più trattenuta accostò l’occhio al buco della serratura.
Ciò che vide era al di là di ogni più orribile immaginazione. L’oscenità di quanto stava accadendo era tale da sovvertire tutte le leggi della Terra e del Cielo. Terrorizzata la donna fuggì a perdifiato, cercando rifugio da quella visione nella propria camera. Solo quando ebbe chiuso la porta alle proprie spalle tirò un respiro di sollievo.
Si diresse verso il letto, cercando un’impossibile pausa alla propria angoscia, ma mentre si avvicinava il suo occhio incrociò la propria immagine riflessa dallo specchio. Un urlo di terrore le uscì dalla bocca, vedendo che i bei lineamenti del suo volto erano scomparsi e che al loro posto stava un teschio, e la donna cadde a terra priva di vita.”


Domani: 8 – Il Vampiro. La nascita di un mito

venerdì 28 agosto 2009

L’alchimista della poesia


Una lunga gelida estate

7 – Il Cavalier Elfo

L’alchimista della poesia

Mary lo incontrò a casa di suo padre in un giorno di novembre del 1812 quando lei aveva quindici anni e lui ne aveva venti, si era da poco sposato e aveva cominciato a frequentare la casa del padre di lei, William Godwin.
La ragazza, nonostante l’opposizione del padre, vide subito sotto l’aspetto superficiale del giovane, timido e malaticcio, afflitto da sofferenze e delusioni, uno spirito celeste. Il giovane poeta che aveva già messo in versi la “Regina Mab” divenne così il suo Cavalier Elfo.
Il padre, intuendo forse il pericolo, la spedì in Scozia per un lungo anno, ma quando nel maggio del 1814 i due s’incontrarono nuovamente diventarono inseparabili. Nemmeno tre mesi dopo Mary e Percy fuggivano in Francia, accompagnati dalla sorellastra di lei, Claire.
Percy Bisshe Shelley, il Cavalier Elfo, era una figura complessa e tormentata: autore di versi sublimi; frequentatore notturno di cimiteri; alchimista; appassionato della scienza occulta come delle nuove meraviglie rivelate dalla chimica e dalla fisica, in particolare dagli esperimenti scientifici sull’elettricità; separato dalla moglie, da cui aveva avuto due bambini; diseredato dal padre dopo essere stato cacciato dall’università per il suo professo ateismo. Perennemente inseguito da creditori infuriati era spesso costretto alla fuga.
Quando era messo alle strette da energumeni maneschi intenzionati a riavere i loro soldi, non tentava nemmeno di difendersi e se veniva sfidato a duello (gli accadde più volte) si limitava a sommergere di risate lo sfidante.
Propugnatore e sperimentatore del libero amore (“in questo il vero amore differisce dall’oro: che dividere non è sottrarre”) era incline a convivere con almeno due donne sotto lo stesso tetto, suggerendo peraltro anche alle mogli e amanti di regolarsi allo stesso modo.
Percy Bisshe Shelley era però anche un generoso idealista dalle idee radicali. Una delle cause della rottura con la famiglia era il netto rifiuto da parte del giovane poeta di vivere secondo le regole e i privilegi dell’aristocrazia inglese. A convincere il padre a diseredarlo fu probabilmente la sua ostinata determinazione ad utilizzare il patrimonio familiare per aiutare i bisognosi, seguendo il progetto di "Giustizia Politica" di William Godwin, padre di Mary.
Fu forse questa onestà di fondo dell’uomo, che rifiutava le regole ipocrite della società della sua epoca, a colpire e legare Mary, che a sua volta era cresciuta con l’ispirazione di idee di libertà e giustizia. E ad ispirarle queste parole: [lo] “amo così teneramente e interamente, la mia vita è nella luce dei suoi occhi e la mia intera anima è completamente assorbita da lui".

Domani: 8 – Il Vampiro. La vicenda di una donna curiosa.

giovedì 27 agosto 2009

Christabel


Una lunga gelida estate

7 – Il Cavalier Elfo


Christabel


«Era il pomeriggio ed Albè, per dimostrare la potenza della poesia prese a leggere i versi della Christabel di Coleridge. Ascoltai estasiata la storia di Christabel che di notte s’inoltra nel bosco a pregare per il suo fidanzato lontano. Del suo incontro con una ragazza bellissima, nascosta dietro gli alberi, che le rivela di essere stata rapita da cinque uomini sconosciuti e di essere a loro sfuggita…
Christabel, nella quale un animo buono si unisce alla bellezza esteriore, si offre naturalmente di aiutare ed ospitare Geraldine nel proprio castello. Una volta introdotta nella propria dimora la giovane, Christabel si rende conto, però, che essa nasconde un terribile segreto. Nonostante questo Christabel non riesce a sottrarsi alla terribile influenza di Geraldine e si ritrova in potere di una creatura dal fascino mortalmente perverso.
Christabel riesce infine ad osservare Geraldine mentre si spoglia. Quando le vesti cadono a terra e il corpo rimane nudo, vede con orrore che il seno e i fianchi della creatura che si accinge a dormire nel suo hanno un aspetto orribile a vedersi, deformi e pallidi come la visione di un incubo.
Alle parole di Albè seguì il silenzio, che fu rotto dall’urlo del mio Cavalier Elfo. Egli gridò, portandosi le mani alla testa, e corse fuori dalla stanza, cacciando l’oscurità per mezzo di una candela.
Lo seguimmo impauriti e lo trovammo in giardino, privo di sensi. Preoccupato John gli spruzzò subito il viso con dell’acqua. Quando riaprì gli occhi li tenne fissi su di me e disse che ascoltando quei versi gli era tornata in mente la storia di una donna che aveva occhi al posto dei capezzoli e che questa visione l’aveva riempito d’un orrore indicibile. Allora aveva avuto la certezza del fatto che un vampiro dormisse nel suo letto e che quella mostruosa creatura fossi io.
Percy con quella sceneggiata aveva voluto raccogliere la sfida di raccontare una storia dell’orrore. Tuttavia rimasi pietrificata a quelle parole, pronunciate senza staccare lo sguardo da me. Ero ammutolita, incapace di credere che l’uomo che amavo potesse concepire simili pensieri su di me. Ciò insinuò nel mio animo un vago senso di colpa, come se, il solo fatto che si potesse pensare di me una simile mostruosità, la rendesse possibile. Una strana agitazione allora mi pervase, rendendomi quasi impossibile dormire. Come compresi in seguito, i miei deliri notturni in quella casa buia e silenziosa, non erano altro che le doglie per l’orribile parto della mia fantasia.»

Segue: L’alchimista della poesia

mercoledì 26 agosto 2009

Lord Ruthwen


Una lunga gelida estate

6 – Albè

Lord Ruthwen

Camilla appare comprensibilmente affascinata dalla figura di Mary, che in quella gelida estate del 1816 era quasi sua coetanea. Mi sembra tuttavia necessario interrompere il racconto della nostra Camilla per aprire una parentesi su Albè, lo straordinario personaggio che in quel periodo aveva eletto a propria dimora Villa Diodati presso Ginevra. Un personaggio che ai suoi tempi era un autentico mito vivente. “Il più famoso lord inglese” annotò nel proprio diario il suo compagno di viaggio John Polidori, riportando compiaciuto le parole di un banchiere svizzero.
Immaginate un viaggiatore. Un lord inglese. Un poeta romantico. Un dongiovanni. Un uomo dalla condotta sessuale irregolare. Un atleta. Un patriota. Un filosofo politico. Un raffinato dandy. Un aristocratico con l’ostentazione di un parvenu. Un indolente amante dell’azione. Un prodigo avaro. Uno scettico superstizioso. Un misantropo bramoso d’ammirazione. Un eroe satanico capace di versi religiosi degni d’un vescovo. Un uomo che viveva per l’istante, ma credeva nell’eternità. Immaginate tutto questo e molto altro ancora. Immaginate che tutte queste personalità siano le sfaccettature di un solo individuo e avrete forse un pallido ritratto di Albè, come lo chiamavano affettuosamente i suoi amici dalle sue iniziali. L.B. si firmava George Gordon Byron, per tutti Lord Byron.
Nato da una famiglia di antica nobiltà e svariate tare mentali, Byron crebbe durante l’infanzia in ristrettezze economiche ed in balia di una madre violenta di carattere e mentalmente instabile. Affetto da deformità ad un piede fin dalla nascita, lottò contro questa menomazione rafforzando il corpo con l’esercizio fisico al punto di diventare un eccellente nuotatore. Rimase famosa la sua traversata a nuoto delle gelide acque del Bosforo.
Acquisito titolo e proprietà Lord Byron compì il suo Grand Tour in vari paesi europei, come tutti gli aristocratici della sua epoca. Ne tornò con i primi due canti del poema Childe Harold’s Pilgrimage, una sorta di guida emozionale dei paesi visitati nel suo viaggio. L’opera ebbe un immenso successo sia per il contenuto, in un’epoca che amava i resoconti di viaggio, che per la curiosità morbosa verso il protagonista. Lord Byron incarnava infatti appieno l’ideale dell’eroe romantico e ribelle. In particolare il pubblico femminile lo adorava e i pettegolezzi sulla sua vita sentimentale, riempivano le cronache del bel mondo.
Lord Byron, peraltro, era apprezzato anche dagli uomini, in particolar modo da coloro che mal sopportavano la plumbea cappa di conformismo reazionario calata sull’Europa dopo la sconfitta di Napoleone. I suoi versi erano citati da quanti anelavano la libertà in tutta l’Europa, dall’Italia divisa e oppressa alla Russia gemente sotto il giogo degli zar. Lo spirito ribelle e la satira con cui fustigava in versi i tiranni, la generosità con cui finanziò i movimenti insurrezionali e il coraggio con cui seppe mettersi in gioco per la libertà dei popoli oppressi gli guadagnarono, molti anni dopo la sua morte, questa entusiastica dedica da parte di Giuseppe Mazzini: «L’eterno spirito dell’intelletto libero da catene non ebbe mai più splendida apparizione tra noi».
La fama dei salotti era però un vento che poteva rapidamente girare. Così, dopo la separazione dalla moglie, Annabella Milbanke, fu costretto a lasciare l’Inghilterra in volontario esilio per sfuggire a pesanti sospetti e voci piccanti sul suo conto. Si parlò d’incesto con la sorellastra Augusta, ma probabilmente questa voce fu sparsa per coprire la ben più grave, per l’epoca, accusa di omosessualità. Sembra infatti che il trasgressivo Lord avesse gusti sessuali che oggi definiremmo bisessuali.
Il viaggio in Europa, nel 1816, in compagnia del medico John Polidori, vide una tappa importante a Villa Diodati, presso Ginevra. Affittata nella convinzione che l’edifico avesse ospitato il grande poeta John Milton, autore del “Paradiso perduto”, essa fu per alcuni mesi non solo rifugio sicuro, ma una vera fucina di idee.
I due viaggiatori incontrarono infatti altri inglesi, loro vicini di casa: il poeta Percy Bysshe Shelley, la sua amante diciottenne Mary Godwin Wollstonecraft, da cui Shelley aveva già avuto il piccolo William, e Claire Clairmont, figlia di primo letto della matrigna di Mary e quindi sua “sorellastra”.
Claire, amante di Byron, aveva insistito perché gli Shelley l’accompagnassero nel viaggio in Svizzera. Tuttavia Albè, spirito volubile, si stancò presto di lei, nonostante la figlia nata dalla loro relazione, chiamata Alba in omaggio al padre.
Lord Byron del resto, come i protagonisti delle sue opere (il più famoso dei quali fu Don Giovanni), era un personaggio realmente contraddittorio e ciò che agli occhi degli altri era motivo di attrazione era fonte per lui di un tormento interiore i cui effetti non potevano che ricadere su quanti gli stavano accanto. La sua duplice natura, in cui si alternavano luce e tenebra, fu colto da un’altra sua amante. Lady Caroline Lamb era stata la dama più in voga della società inglese, in cui aveva introdotto il giovane Lord Byron. Per vendicarsi dell’abbandono del capriccioso amante pubblicò il romanzo autobiografico "Glenarvon", il cui protagonista è il perfido e crudele Ruthwen Glenarvon, il cui rapporto con l’amata è quello d’un demonio verso la sua vittima, foriero di sventura per se stesso e per chi ha avuto la disgrazia d’imbattersi in lui.
Un ritratto di Lord Byron che, come vedremo, pochi anni dopo fu fonte di ispirazione per il suo ex medico ed amico, John Polidori.

Segue: 7 – Il Cavalier Elfo. Christabel

martedì 25 agosto 2009

Viaggio in Grecia con vampiro


Una lunga gelida estate

6 – Albè


Viaggio in Grecia con vampiro


Il giorno seguente mi affannai, invano, a cercare la mia storia, ma questa era un fantasma che sfuggiva ad ogni mio sforzo per afferrarla. Così mi sedetti e ascoltai in silenzio il racconto di Albè.
“Durante il mio viaggio in Grecia” cominciò “ho avuto modo di constatare quanto diffusa e radicata sia, presso quella gente, la credenza nell’esistenza dei vampiri. Ritengono infatti che alcuni morti possano tornare alla vita, per nutrirsi di un orribile pasto. Questi non morti, secondo quanto raccontano le leggende, si cibano unicamente di sangue umano. Come sapete Giaurro, l’eroe della resistenza greca di cui scrissi pochi anni fa, morì in battaglia dopo essersi ferocemente vendicato dell’assassino del suo unico amore. Ebbene, il suo desiderio di libertà e vendetta contro i turchi era così grande da far sì che la tomba non potesse contenerlo, così una notte egli risorse come vampiro.”
Lo sguardo fiammeggiante di Albé si posò su Claire, che si ritrasse intimorita, abbracciandomi. Devo dire che Claire in quei giorni si andava rendendo conto di quanto l’interesse di Albé nei suoi confronti stesse diminuendo. Spesso faceva scenate isteriche, lamentandosi con me di quanto tempo Albé passasse con mio marito. Cercava, credo, di suscitare la mia gelosia, ma i rapporti con il mio Cavalier Elfo erano tali da non lasciare spazio alla gelosia o ad altre simili meschinità.
“Non è di Giaurro tuttavia” riprese Albé “che voglio narrarvi, ma della strana vicenda occorsa ad un giovane, nel suo Gran Tour, avente per meta la Grecia.”
La storia proseguiva con il racconto del viaggio di questo giovane in compagnia del misterioso Augustus Darvell Questo era un uomo più anziano verso cui il giovane provava sconfinata ammirazione, ma la cui salute peggiorava man mano che il viaggio proseguiva. Finché, giunti in un cimitero turco, Darvell chiedeva al giovane di non rivelare a nessuno della sua morte, impegnandolo in un giuramento sacro. La storia si concludeva con la morte di Darvell, contrassegnata da misteriosi simboli e rituali.
“La storia dovrebbe avere un seguito” osservai.
Albé rispose con un’alzata di spalle a quella che ai suoi occhi doveva apparire come la sciocca frase di una ragazzina.
“Per quanti sforzi si possano mettere in campo” esclamò poco dopo “la banalità della prosa non sarà mai pari alla forza dirompente della poesia.”
Con quelle parole stava chiaramente dicendo quanto avesse ormai perso l’interesse per quella sfida. Per inciso Claire, che non aveva mai preso sul serio la scommessa, colse l’occasione per tirarsi fuori dalla gara.
“In ogni caso” bisbigliai io “non credo che questo racconto potrebbe arrivare a conclusione.”
L’unico a sentire le mie parole fu John, dal momento che gli occhi degli altri erano ancora puntati su Albé, che andava sostenendo l’incomparabile superiorità della poesia sulla prosa.
“Io credo, invece” mi disse John “che questa storia potrebbe diventare un vero racconto se solo qualcuno vi mettesse mano. E sono pronto a scommetterlo.”
In seguito John avrebbe vinto la scommessa, ma questo non lo avrebbe salvato dalla sua tragica fine.


Segue: Lord Ruthwen

lunedì 24 agosto 2009

Scriveremo una storia dell’orrore.


Una lunga gelida estate

5 – Un’estate piovosa.

Scriveremo una storia dell’orrore.


“In una notte di tempesta” cominciò a leggere Claire “mentre i tuoni facevano tremare l’atmosfera e i fulmini danzavano nel cielo come draghi di fuoco, un gruppo di viaggiatori si trovò confinato in una locanda, che aveva offerto a ciascuno un provvidenziale riparo. Poiché la tempesta all’esterno allontanava da tutti l’idea del sonno, i viaggiatori rimasero accanto al camino, stringendosi nelle coperte. Per ingannare il tempo, decisero che ciascuno di loro avrebbe raccontato una storia sulle sue esperienze soprannaturali. Storie di fantasmi, di vicende misteriose, di incontri ai confini della realtà…”

“Ho trovato! Scriveremo ciascuno una storia di fantasmi!”

Albè era balzato in piedi, interrompendo la lettura di Claire, che rimase a bocca aperta a guardare il suo uomo giganteggiare nella stanza alla luce rossastra del camino.

“Come dici, caro?” chiese sgranando gli occhi.

“Si, l’ho detto e lo ripeto!” l’uomo alzò un braccio al cielo. “Io vi sfido! Sfido te Percy, e sfido te John, e sfido te Mary, e naturalmente anche te Claire, a scrivere una storia di fantasmi. Ciascuno di noi racconterà una sua storia, così come i protagonisti del racconto che stavamo ascoltando. Non siamo anche noi viaggiatori intrappolati dalla tempesta in questo luogo? Abbiamo letto abbastanza ed è ora di dare ascolto alla potenza creatrice che aleggia tra le mura di questa dimora. La sentite anche voi, vero? Allo stesso modo l’udì il sommo Milton, quando fu ospite del suo amico Diodati. Lasciamo allora che essa ci parli, ci suggerisca, ci guidi!”

Confesso che quelle parole mi suscitarono un turbine di emozioni difficilmente descrivibile. Per me, figlia di due persone di chiara fama letteraria, l’idea di scrivere era sorta naturalmente molto presto. Il mio passatempo preferito da bambina era scrivere delle storie, piacere a cui anteponevo solamente quelli di costruire castelli in aria, fantasticare, inseguire sogni bizzarri o quello di sostare presso la tomba della mia povera madre, luogo prediletto per le mie solitarie letture. Ora, seduta sulla poltrona davanti a quel grande autore, mi sentivo riportare indietro nel tempo. Rivedevo la bambina ottenne che ero stata, nascosta sotto un divano ad ascoltare il grande Coleridge recitare a casa di mio padre The Rime of the Ancient Mariner.

Ora, esattamente dieci anni dopo, accolsi seriamente quella sfida e mi misi subito a pensare ad una storia che potesse parlare alle oscure paure della nostra stessa natura, suscitando brividi di orrore; una storia che incutesse al lettore la paura di guardarsi attorno, che raggelasse il sangue accelerando i battiti del cuore.



Domani: 6 – Albè. Viaggio in Grecia con vampiro

sabato 22 agosto 2009

Il cavaliere pallido.


Una lunga gelida estate

5 – Un’estate piovosa.

Il cavaliere pallido.

C’era una volta un cavaliere, capostipite di un’illustre casata. L’uomo, nella sua lunga e feroce vita, aveva collezionato tanti e tali peccati da suscitare un brivido d’orrore in quanti passavano accanto al suo castello costruito a picco sul lago. Nelle oscure notti senza luna, si raccontava, da una botola segreta nel castello venivano precipitati sugli scogli sottostanti i nemici del nobile o presenze divenute ingombranti di cui voleva disfarsi in modo rapido. Tra queste si annoveravano numerose amanti ed un paio di mogli.
Si raccontava che la madre di una delle sue amanti fosse una strega; che questa per anni, anche dopo la morte dell’uomo, avesse inutilmente chiesto giustizia per quel delitto; e che per questo un’orrenda maledizione gravasse sulla sua anima inquieta e su quella della sua famiglia.
Allorquando i giovani rampolli della casata abbandonavano l’età infantile e s’incamminavano su quella della speranza, una figura rivestita di un’armatura di ferro faceva la sua comparsa lungo il viale del castello, fino a perdersi sotto l’ombra delle mura antiche.
Poi si udiva un cancello cigolare e si udiva rumore di passi fino alla camera in cui riposava il ragazzo.
La porta si apriva lentamente e il cavaliere vestito di ferro entrava nella stanza, con la visiera dell’elmo alzato. Si diceva che sul suo volto vi fosse impresso un dolore eterno, impossibile da descrivere, come se il fantasma tentasse in tutti i modi di opporsi al proprio crudele compito.
Quindi il cavaliere si chinava sul ragazzo e lo baciava sulla fronte. In quell’attimo la giovinezza in boccio appassiva e il giovanetto scivolava rapidamente verso la morte.


Segue: Scriveremo una storia dell'orrore

venerdì 21 agosto 2009

L’amante infedele.






Una lunga gelida estate


5 – Un’estate piovosa.

L’amante infedele.


C’era una volta un giovane che apparteneva ad una nobile casata. Un giorno, andando al mercato, i suoi occhi incontrarono quelli di una fanciulla. Per un istante che divenne eternità i due si fissarono senza riuscire a staccare lo sguardo.
In breve i due caddero innamorati. Tutto quello che ne seguì – presentarsi, darsi appuntamento quella sera e consumare il loro amore sotto l’ombra incantata di un noce – non fu che la realizzazione di qualcosa che, sentivano, era stato scritto molto tempo prima che loro venissero al mondo. Quando si lasciarono all’alba, stremati e felici, si giurarono sopra ogni cosa più preziosa, amore eterno.
Purtroppo, come spesso accade, la loro passione non viveva nell’astratto mondo dei sogni, ma nel concreto, e sovente gretto, mondo reale.
Quando il padre di lui scoprì la relazione – e lo scoprì quasi subito, giacché occhi ed orecchie malevoli sono sempre all’erta contro gli amori impossibili – andò su tutte le furie. La ragazza, infatti, per quanto bella era povera e questa era una colpa su cui l’uomo non poteva transigere.
Così, minacciando il figlio di cacciarlo di casa se avesse frequentato ancora la ragazza, gli impose di non vederla più e di sposare, invece, la figlia di un ricco commerciante.
La ragazza seppe di essere stata abbandonata nel momento in cui sentì l’annuncio del matrimonio. Le lacrime per il sogno spezzato nulla poterono contro la realtà che le andava crescendo nel ventre. Così, disperata, rovinata e con la prospettiva di dover scendere rapidamente tutti i ripidi gradini della rovina, si decise per un gesto estremo.
Il suo corpo fu trovato a galleggiare nelle acque del lago, che l’avevano risparmiata quasi avessero orrore a rovinare quel corpo così bello.
Il giovane, per quanto impressionato dal fatto, non pensò di rinviare le nozze e anzi, non si oppose alla decisione di anticiparle. Attese così la sua sposa sui gradini della chiesa e pronunciò il suo giuramento di fedeltà, la cui forza e inviolabilità era in questo caso assicurata, si presumeva, dalla presenza dell’altare, dell’anello e del prete.
Durante la festa il giovane mangiò e bevve. C’era allegria nelle sue parole, ma nel suo cuore c’era un nero presentimento di tenebra. Infine la festa finì e finalmente i due furono lasciati soli. Il giovane s’infilò nel letto in attesa della sua sposa. Chiuse gli occhi, immaginando come sarebbe stato. Quando li riaprì vide la sposa, velata, avvicinarsi al letto. Felice si alzò a sedere e tese le braccia per stringerla.
Fu allora che la riconobbe. Davanti a lui, con indosso l’abito della sua sposa, stava la ragazza che aveva abbandonato e che lo fissava con orbite nere come l’inferno, invitandolo a raggiungerla per l’eternità.
Il giovane non lo sospettava, ma aveva il cuore debole. Qualcosa dentro di lui si spezzò e lo fece accasciare sul letto privo di vita.

Segue: Il cavaliere pallido

giovedì 20 agosto 2009

La villa sul lago.


Una lunga gelida estate

5 – Un’estate piovosa.

La villa sul lago.

«Era il maggio del 1816» cominciò a scrivere la donna. «In quell’anno mio marito ed io, in compagnia del piccolo Will e di Claire, la mia sorellastra, decidemmo di abbandonare per qualche tempo l’Inghilterra per visitare la Svizzera. Prendemmo in affitto una piccola casa sul lago, nei dintorni di Ginevra.»
Il suo sguardo vagò per un po’ fuori dalla finestra incantato dall’azzurro del Golfo Borromeo. Infine tornò a posarsi sul foglio, che attendeva riprendesse il racconto.
«L’insistenza di Claire nel prendere dimora in quel luogo, sistemazione per altro a noi ben lieta, era dovuta al fatto che in una villa vicina avrebbe preso dimora Albè, di cui Claire non solo era da qualche tempo amante, ma di cui era incinta, come avremmo constatato di lì a poco.
Come ho avuto modo di sottolineare, al mio cavalier Elfo e a me il fatto di essere per qualche tempo vicini di casa di un simile genio non dispiaceva affatto. Tanto più che Albé aveva scelto di trascorrere qualche tempo in quella villa, in compagnia del suo medico personale, per via dell’ispirazione che quel luogo aveva a suo tempo esercitato sul genio di Milton.
Del resto, sia Albé che mio marito, proprio in quel periodo, descrivevano entrambi nei loro versi la figura di Prometeo. Si può immaginare quindi che conversazioni prendessero le nostre ore sul lago o passeggiando sulle sponde. E quale impronta divina conferivano i versi a quei luoghi che li avevano ispirati!
Né mancavano momenti divertenti, come quando il mio fratellino (così chiamavo John, il medico personale di Albè), per un gesto galante nei miei confronti saltò da un muro, facendosi male all’anca. Credo che il povero John fosse un poco innamorato di me, sebbene non avesse alcuna speranza dal momento che il mio cuore era stato donato per sempre al mio Cavalier Elfo.
Ad ogni modo, quell’estate si rivelò particolarmente piovosa ed inclemente. La pioggia, spesso, ci confinava in casa per giorni e giorni. Ci capitarono tra le mani alcuni libri di storie di fantasmi. Così, per passare il tempo in quelle fredde serate davanti al camino, ci demmo alla lettura. Ricordo ancora distintamente, pur non avendo più letto quei libri, alcune di quelle storie.
»

Segue: L’amante infedele

mercoledì 19 agosto 2009

Ospiti illustri.


Una lunga gelida estate

4 - Sul lago Maggiore.

Ospiti illustri.

A questo punto del racconto di Camilla, dopo che il personaggio principale ha fatto la sua comparsa sulla scena ma prima che la trama cominci a dipanarsi, è necessario fare una piccola digressione.
Non esiste, per quanto ne so, un elenco completo di tutti i viaggiatori illustri che soggiornarono nella zona dei laghi. Un’opera che volesse trattare questo argomento dovrebbe peraltro necessariamente distinguere tra semplici ospiti illustri che si limitarono a transitare o soggiornare; viaggiatori famosi che annotarono nei propri diari, spesso inediti, le loro impressioni di viaggio; scrittori e artisti che descrissero o dipinsero i luoghi nelle loro opere.
Alcuni lavori in questa direzione, naturalmente, ci sono. L’opera mi pare tuttavia ancora lontana dall’essere finita. Anche perché scrittori e personaggi illustri continuano tutt’oggi a visitare la regione dei laghi.
Ci fu un’epoca, tuttavia, in cui i giovani rampolli della classe dirigente dei paesi europei non poteva non includere nel proprio curriculum formativo un viaggio attraverso l’Europa con meta preferita l’Italia. Questo viaggio era denominato Grand Tour (termine che sembra essere stato introdotto dalla guida “An Italian Voyage”, di Richard Lassels, del 1698).
L’attraversamento delle Alpi costituiva una necessaria tappa avventurosa, seguita da una indispensabile pausa di ristoro sui laghi dell’Italia Settentrionale, in particolare il Lago Maggiore e il Lago d’Orta. Se la meta del Grand Tour erano normalmente Roma e le vestigia della cultura classica nell’Italia centrale e meridionale, il romantico soggiorno sui laghi non mancava di suscitare profonda emozione nel cuore dei viaggiatori, di cui spesso si trova eco nelle loro opere.
Così, senza pretesa di stendere un elenco completo, ricordo alcuni nomi illustri di viaggiatori stranieri. A questi potremmo aggiungere anche i viaggiatori e gli scrittori italiani, ma l’elenco diventerebbe troppo lungo.
Così nell’Ottocento abbiamo: Goethe, Robert Browning, Samuel Butler, Stendhal, Lord Byron, Percy Shelley, Mary Wollstonecraft Shelley, Charles Dickens, Balzac. Nel Novecento: Nietzsche, Hemingway, Michael Crichton, Lou Salomé.
In conclusione di questa nota, prima di lasciare nuovamente la parola a Camilla, vi propongo due citazioni.
La prima è di Stedhal: “Che cosa dire del lago Maggiore, se non compiangere coloro che non ne sono innamorati?”
La seconda di Balzac: “Immaginate un viaggiatore, stanco dei mille ricchissimi aspetti del Brasile, dell'Italia, delle Indie, che ritorna in patria e trova, sul suo cammino, un delizioso laghetto, il lago d’Orta, un'isola perdutamente stesa sulle acque calme, graziosa, semplice, primitiva e confortevole, solitaria e ben attrezzata: il grandioso e i suoi tumulti sono lontani, le proporzioni ridiventano umane”.

Segue: 5 – Un’estate piovosa. La villa sul lago.

martedì 18 agosto 2009

Ricordi di tempi felici.


Una lunga gelida estate

4 - Sul lago Maggiore.

Ricordi di tempi felici.


Lago Maggiore, Anno del Signore 1840

“Rivedere questi luoghi dopo così tanti anni, provoca in me emozioni che difficilmente riesco a descrivere. Anche mio figlio, pur nell’affetto premuroso che mi dimostra ogni giorno, credo riesca solamente ad intuire ciò che si agita nel mio cuore. Come potrebbe, del resto? Come la superficie azzurra di queste acque meravigliose nasconde misteri che nessuno potrà mai conoscere, il mio cuore vive tumulti di emozioni che io stessa fatico a comprendere.
Ripenso a quei giorni felici ormai lontani. Giorni in cui morte e dolore erano solo parole. Parole che non trovavano alcuna vera eco nel mio cuore. Erano giorni di passeggiate, gite in carrozza, conversazioni infinite e deliziose con quell’uomo che in questo mondo non mi sarà più concesso di rivedere.»
La scrittrice posò la penna e chiuse il diario, avvicinandosi alla finestra. Il golfo Borromeo si estendeva davanti ai suoi occhi mostrando il suo abito migliore. Le acque azzurre increspate da onde leggere erano incorniciate da verdi colline dietro cui, selvagge e severe, si alzavano le Alpi a formare una cortina di pietra. Guardando le onde la sua mente non poté non tornare ad altre acque, salate e crudeli, sulla cui riva aveva atteso invano il ritorno del suo amore.
Allora, per cacciare quel pensiero doloroso, andò col ricordo alle acque di un altro lago. Acque ghiacciate e battute dalla pioggia, in quell’anno senza estate, accanto a cui aveva vissuto giornate di angoscia, tormentata da un’orrenda visione. In quella villa dove aveva ascoltato orribili storie di fantasmi e dove la Creatura dagli acquosi occhi gialli aveva ricevuto la vita.
Chiuse gli occhi rivedendo la stanza dal parquet scuro, con le persiane chiuse, dietro cui filtrava la luce della luna. Provò nuovamente la consapevolezza della presenza delle alte Alpi innevate e del lago ghiacciato oltre quella barriera di legno.
Sospirò, pensando a quel momento; al furore creativo che ne era seguito; alla potenza creativa che in quei giorni si era concentrata in quel luogo così suggestivo; al paradiso perduto del suo amore felice. Volle tenere stretto quel momento e pronunciò ad alta voce le parole che aveva scritto molti anni prima.
«Fu in una cupa notte di novembre che vidi il coronamento delle mie fatiche…»


Segue: Ospiti illustri

lunedì 17 agosto 2009

Mille e ottocento e muori ghiacciato


Una lunga gelida estate

3. L’anno senza estate

Mille e ottocento e muori ghiacciato


L’anno 1816 è ricordato come “l'anno senza estate”, “l'anno della povertà” o, nei paesi anglosassoni “Eighteen hundred and froze to death” (“milleottocento e muori ghiacciato”).
In quell’anno, a causa delle ceneri vulcaniche immesse nell’atmosfera, ondate di freddo artico eccezionale colpirono l’America e l’Europa settentrionale in piena estate. Il freddo portò tempeste di neve e ghiaccio sui fiumi e sui laghi in pieno agosto. I raccolti di cereali e tutti gli ortaggi, eccetto le varietà resistenti al freddo, andarono distrutti. Dove non nevicò piovve in maniera eccezionale, provocando inondazioni dei principali fiumi.
In Italia nel 1816 si registrarono temperature mediamente inferiori alla norma di - 2,27°C (per dare un termine di confronto, l’attuale allarme legato all’effetto serra si basa sulla previsione di un temuto aumento della temperatura superficiale globale del pianeta compresa tra 1,1 °C e 5,4 °C).
Il prezzo dei cereali crebbe vertiginosamente, provocando tumulti in Francia e Gran Bretagna. I magazzini vennero presi d’assalto dalla popolazione esasperata dalla fame. Il governo svizzero, che non poteva importare via mare derrate alimentari, fu costretto a proclamare lo stato di emergenza per riportare l’ordine.
In India si registrò una forte carestia, che portò allo spostamento di masse di persone dalla zona del Gange ad altre meno colpite. Con loro portarono il colera, malattia endemica sul Gange, che si diffuse così nel Bengala, in Nepal e in Afghanistan, da dove raggiunse il Mar Caspio, il mar Baltico ed il Medio Oriente. Attorno al 1830 la malattia sbarcava, col suo carico di morte, dalle navi nei porti dell’Inghilterra e degli Stati Uniti.
L’anno senza estate ebbe altri effetti imprevedibili, seppure non negativi.
Un barone tedesco di tendenze democratiche, al punto da rinunciare al titolo e al nome per assumere quello di Karl Drais, fu particolarmente colpito da un problema. La mancanza di foraggio aveva reso evidente il limite fondamentale della rete dei trasporti: la dipendenza dagli animali da traino. Così Drais, mosso da spirito filantropico, si ingegnò a inventare un congegno che consentisse di potenziare il movimento umano. Nacque così la “draisina” un velocipede (privi di pedali) antenato della bicicletta. Con questo sistema si poteva raggiungere la strabiliante velocità di 15 km orari.

Domani: 4 - Sul lago Maggiore. Ricordi di tempi felici.

domenica 16 agosto 2009

La neve in estate.






Una lunga gelida estate



3. L’anno senza estate


La neve in estate.




Il dottor Hawking richiuse la porta alle sue spalle, lottando contro il vento gelato. Si tolse rapidamente il cappello e la mantella, scuotendosi di dosso la neve e si avvicinò al fuoco, strofinando le mani per riscaldarle.
«Continua a nevicare» mormorò.
«Mai vista una cosa del genere» annuì il giudice Johnson.
«Prima il ghiaccio ha distrutto i raccolti, ora le tempeste di neve stanno completando l’opera. I fiumi e i laghi ghiacciano e siamo in piena estate!»
«Per fortuna almeno la guerra con gli Inglesi è finita. Non oso pensare cosa sarebbe accaduto altrimenti.»
«Anche così sarà un disastro» commentò il dottore. «Il prezzo dei cereali sta salendo in modo vertiginoso. Gli animali muoiono. La gente è ridotta alla fame. Ho già contato almeno tre casi di morte per denutrizione a cui dovremo aggiungere le malattie. I corpi debilitati si ammalano più facilmente.»
«Il Governo dovrà fare qualcosa, non può restare muto di fronte ad una catastrofe di queste proporzioni.».
«L’unica cosa che può fare il Governo è consentire la colonizzazione delle terre ad ovest. Hanno un clima più mite e sono ottime per la coltivazione del mais.»
«Impossibile» il vecchio giudice scosse la testa. «Ci sono i trattati con gli Indiani e gli accordi con l’Inghilterra….»
«Se lei avesse visto» il dottore fissò le fiamme agitarsi nel camino «come ho visto io, la disperazione negli occhi dei padri e delle madri che non sanno più cosa dare da mangiare ai loro figli, saprebbe che nessuna legge, nessun trattato potrà fermare la colonizzazione. E poi, suvvia, un trattato con dei selvaggi? Chi oserà far valere i loro diritti contro quelli di migliaia di cittadini americani? Cosa volete che faccia l’Inghilterra? L’Inghilterra è lontana e ha già abbandonato al loro destino i suoi alleati indigeni. Purché i confini della colonia canadese siano rispettati, l’Inghilterra non muoverà un dito e non dirà una parola. Presto, molto presto, sciami di coloni si avventeranno sulle terre dell’ovest per dissodarle, seminare il mais e prosperare.»
Il giudice tese le mani verso il camino per scacciare un lungo brivido.
«E, credete a me, giudice» proseguì il dottor Hawking. «Questo sarà solo il primo morso e il suo gusto dolce attirerà altri lupi. Se è vero ciò che penso, che questa gelida estate, cioè, non sia solo un fenomeno americano, ma mondiale, presto dall’Europa giungeranno qui migliaia di affamati. Gente che ha combattuto per e contro Napoleone, magari. Credete forse che si faranno spaventare da quattro pellerossa? No, caro giudice, la corsa all’ovest comincia ora e non si fermerà se non sulla costa del Pacifico, spazzando via qualunque cosa cercherà di ostacolarla.»


Segue: Mille e ottocento e muori ghiacciato

sabato 15 agosto 2009

L’Imperatore e la pioggia


Una lunga gelida estate

2 - L’imperatore

L’Imperatore e la pioggia

All’alba del 18 giugno 1815, Napoleone Bonaparte sapeva, probabilmente, che la sua era una scommessa pericolosa. Una scommessa però che l’Imperatore, ritornato dall’esilio, era certo di vincere.
Il suo piano di battaglia era uno dei migliori che avesse mai concepito: battere separatamente, coi suoi 70 mila uomini, i 68 mila anglo-tedesco-olandesi guidati da Lord Wellington e i 117 mila Prussiani di Von Blücher.
Due giorni prima lui stesso aveva già battuto i prussiani a Ligny, mentre il Maresciallo Ney fermava le forze di Lord Wellington. Ora, nelle campagne attorno alla cittadina belga di Waterloo, contava di chiudere la partita con Wellington.
La battaglia, nonostante le difficoltà, cominciò a svolgersi come aveva previsto nella sua mente, finché un particolare cominciò a diventare sempre più evidente. Aveva piovuto tanto quella notte. Troppo, persino per il Belgio. Così l’artiglieria da campo francese, l’asso nella manica con cui Napoleone aveva messo la parola fine a molte battaglie, sprofondava nel fango. I suoi cannoni, praticamente immobilizzati, non potevano essere spostati qua e là secondo la necessità.
Questo innervosì molto Napoleone, che ben sapeva quanto le condizioni metereologiche potessero essere un avversario pericoloso e insidioso.
Nel 1812-13 il Generale Inverno aveva mosso con anticipo le sue armate di ghiaccio, distruggendo la Grande Armata che aveva preteso di conquistare la Russia: 600 mila uomini messi in campo, l’esercito più grande dai tempi in cui il Re dei Re Serse aveva tentato di conquistare la Grecia.
Napoleone Bonaparte non poteva saperlo, ma quell’inverno anticipato tra il 1812 e il 1813 aveva una causa. La cenere delle eruzioni vulcaniche dell’anno 1812 aveva infatti cominciato a raffreddare l’atmosfera terrestre, anticipando il micidiale inverno russo. La ritirata, che in altre condizioni sarebbe stata un’impresa possibile, si trasformò in una catastrofe. Poco più di ventimila uomini sopravvissero al gelo, alle malattie, alla fame, agli attacchi dei Russi…
Quel 18 giugno del 1815 Napoleone Bonaparte non sapeva, certamente, che quella pioggia eccessiva che immobilizzava la sua artiglieria, impedendogli di aprire un varco nella sottile, eppure impenetrabile linea rossa nemica; che provocava un ritardo di cui, inesorabilmente, avrebbero approfittato i prussiani, riorganizzati e decisi a prendersi la loro rivincita; che avrebbe segnato il destino suo personale e quello di tutta l’Europa; che quella pioggia eccessiva, dicevo, era solo l’avvisaglia di un lungo periodo di freddo, che aveva la sua origine in una lontana isola dalle parti di Giava.
Un’isola di cui Napoleone non aveva probabilmente mai sentito parlare, su cui un paio di mesi prima il vulcano Tambora era esploso, riempiendo il cielo di polveri sottili e avviando così una lunga serie di eventi di cui il generale còrso non era che la prima, illustre, vittima.


Segue: 3. L’anno senza estate: la neve in estate.

venerdì 14 agosto 2009

La vecchia guardia muore...



Una lunga gelida estate

2 - L’imperatore

La vecchia guardia muore

Avevano seguito l’Imperatore sulle strade polverose e sui campi di battaglia di tutta Europa, guadando i fiumi e valicando le montagne, dalle verdi pianure tedesche al caldo deserto africano, dalle colline portoghesi all’immensa steppa russa. Ed ora, quando tutto era sembrato ormai perso, erano ancora lì ai suoi ordini, in marcia contro il nemico, per vincere quell’ultima decisiva battaglia che avrebbe riaperto i giochi.
L’Imperatore stesso li aveva guidati, passo dopo passo, fino a 660 metri dalla sottile linea rossa nemica, dietro cui suonavano in continuazione le cornamuse, levando nell’aria umida e densa di fumo il loro suono agghiacciante.
Battaglioni di inglesi li attendevano in cima alla collina, pronti a scaricare su di loro un torrente di piombo e fuoco e a piantare le baionette avide di sangue nei loro ventri. I granatieri della Vecchia Guardia, tuttavia, ridevano. Avevano affrontato nemici di ogni genere e non temevano certo quei damerini inglesi dalle giacche rosse. Pochi giorni prima due battaglioni della Vecchia Guardia avevano caricato alla baionetta e messo in fuga ben 14 battaglioni nemici…
Tuttavia, sulla destra continuavano ad affluire colonne di prussiani. Erano truppe fresche ed agguerrite. Il loro attacco stimolava gli inglesi a resistere e falcidiava il fianco francese. La sottile linea rossa inglese, seppure decimata, non cedeva di un passo continuando a scaricare piombo su piombo contro i francesi. Era come trovarsi in una morsa, con una mola davanti ed un trapano nel fianco…

Improvvisamente un solo grido si diffuse tra le file napoleoniche, una voce che fino a poche ore prima sarebbe parsa incredibile, un urlo che diffondendosi seminava il panico.
«Le Gàrde recule!»
Se persino la Guardia Imperiale, la migliore fanteria d’Europa e il nerbo dell'esercito francese, indietreggiava, allora era tutto finito. Il sogno impossibile di Napoleone era svanito e i suoi settantamila soldati si svegliavano dentro un incubo di sangue, morte ed orrore.
La ritirata divenne una rotta e quest’ultima una spietata mattanza perpetrata dagli inglesi, in un tripudio di bandiere e cornamuse, e dai prussiani, che avevano fiato per correre e inseguivano i Francesi colpendoli alle spalle, abbattendoli, passandoli da parte a parte con baionette lunghe oltre 40 centimetri.
Tuttavia, mentre l’intero esercito imperiale cedeva, un quadrato di granatieri, veterani della Vecchia Guardia, resisteva. Ormai circondati da forze soverchianti, fu loro intimata la resa.
Per tutti rispose il loro comandante.
«La Garde Impériale meurt et ne se rend pas !» (“La Guardia Imperiale muore, ma non si arrende!”).
Gli inglesi aprirono il fuoco. Il quadrato si spezzò, per ricomporsi, un po’ più piccolo. Allora i nemici ordinarono nuovamente la resa. Dapprima gli ufficiali, poi gli stessi soldati implorarono i granatieri francesi di arrendersi, per non costringerli ad uccidere i più valorosi soldati del mondo.

La risposta del comandante fu, pare, una sola ed inequivocabile parola.

«Merde!»
Ad essa seguì l’ultima, definitiva, scarica dei fucili inglesi.


2 - L'Imperatore: l’Imperatore e la pioggia.

giovedì 13 agosto 2009

La più grande eruzione della storia


Una lunga gelida estate

1 - Il vulcano

La più grande eruzione della storia

Una nube piroclastica può muoversi tra i 50 e i 300 chilometri l'ora con una temperatura che oscilla tra i 500 a 1200 °C. Nessuno sa con esattezza come fosse quella che si abbatté sugli sventurati abitanti di Sumbawa. Recenti ricerche archeologiche in questa Pompei dell’Asia hanno portato alla luce i resti di alcune capanne con oggetti di bronzo, ceramica e gli scheletri carbonizzati di un uomo e di una donna. Sono i primi rinvenuti dei 10.000 morti provocati dall'eruzione.

L’eruzione del vulcano Tambora sull’isola di Sumbawa, dopo 5000 anni di inattività, fu la più imponente mai registrata in epoca storica. Superiore a quella di Thera, sull’isola di Santorini nel Mar Egeo, che circa un millennio e mezzo prima di Cristo provocò il crollo della grande civiltà di Creta. Più devastante, per le conseguenze dirette ad indirette, dell’esplosione del Krakatoa del 1883, la cui potenza (equivalente a 200 megatoni, 16 volte la bomba atomica sganciata dagli americani su Hiroshima) produsse il rumore più forte mai registrato sulla terra, udito fino a 5000 km di distanza.
Ciò che contraddistinse l’eruzione del Tambora fu l’enorme quantità di polveri proiettate nell’atmosfera. Polveri che salirono per 40 km fino agli strati più alti, unendosi a quelle di altri vulcani. Gli inizi dell’Ottocento furono caratterizzati infatti da un’impressionante serie di eruzioni vulcaniche a carattere esplosivo, abbinata ad altre di minore intensità: nel 1812 il Soufrière nei Carabi, l'Awu in Indonesia e persino, seppure con intensità minore, il Vesuvio e l’Etna in Italia; nel 1814 il Mayon nelle Filippine. Queste eruzioni sollevarono nell’aria un’immensa quantità di materia. Gli effetti di queste particelle sospese all’epoca non erano conosciuti. Oggi sappiamo che le emissioni dei vulcani sono in grado di riflettere la luce del sole, senza impedire al calore della Terra di disperdersi nello spazio. In termini pratici tutto questo provoca un rapido e consistente raffreddamento della Terra.
Per questo motivo ciò che un osservatore superficiale avrebbe potuto considerare una catastrofe locale si tramutò in un disastro globale con effetti imprevedibili in tutto il mondo.

2 - L’imperatore. La vecchia guardia muore.

mercoledì 12 agosto 2009

La collera degli dei


Una lunga gelida estate.

1. Il vulcano

La collera degli dei


Il sole cominciava a tramontare sull’isola allorquando gli dei, che a lungo avevano manifestato la loro collera facendo tremare la terra, evidentemente non soddisfatti dei sacrifici loro offerti, decisero di manifestare la loro potenza.
In pochi istanti dei fragori immani gettarono nel panico gli abitanti dell’isola. Circa diecimila persone uscirono dalle capanne, gettandosi a terra per implorare clemenza, offrendo voti alla divinità, abbracciando i figli terrorizzati, mentre una colonna di fumo e polveri s’innalzava nell’aria.
Il rombo di quelle esplosioni, simile a cannonate, fu sentito fino a mille chilometri di distanza e fece scattare l’allarme in tutte le guarnigioni britanniche della vicina isola di Giava. Qualcuno temette un ritorno in forze degli Olandesi, che avevano cacciato dalla regione poco tempo prima. Qualcuno annotò una data: 5 aprile 1815.
Poi, improvvisamente, tornò la quiete. Parve la fine dell’incubo, invece era solo l’inizio….
Cinque giorni più tardi una colonna di ceneri e lapilli, sollevati da gas roventi si alzò dalla cima del vulcano. Quella massa immensa di ceneri, pomici e gas roventi non poteva restare sospesa nel cielo a lungo. Improvvisamente la massa collassò sull’isola sottostante. Nulla sopravvisse al suo ardente passaggio. Né gli abitanti, né la loro cultura e neppure la loro lingua, scomparsa con tutti coloro che la parlavano. Abbattendosi sull’acqua del mare, la colata rovente provocò uno tsunami con onde alte oltre cinque metri che si dipartirono dall’isola per scaricare la loro mortale potenza contro le isole circostanti.

2. Il vulcano: La più grande eruzione della storia

martedì 11 agosto 2009

Una lunga gelida estate


Premessa

“Una lunga gelida estate” è il titolo di una serie di storie che ho trovato nel diario di Camilla. Inizialmente, devo confessarvi, non avevo colto il nesso tra di esse. Ci riuscii solo in un secondo momento, dopo averle ordinate e rilette. Camilla le aveva infatti annotate nel proprio diario senza seguire un ordine logico. Le storie erano inoltre inframmezzate da commenti drammatici suoi e riflessioni sull’incontro con il Ragno.
Commenti, per darvi un idea, di questo genere: “Non so cosa pensare… nella mia testa c’è tanta confusione… ci sono storie che si agitano come vespe impazzite chiedendo di uscire… e domande, tante domande… Qual è il mistero della Casa dalle 99 stanze e dalle 101 finestre? Chi è il Ragno? Cosa mi ha fatto? come ha potuto riempirmi la testa di così tante idee? Devo scrivere, scrivere, scrivere, se non voglio impazzire…”
Così Camilla ha cominciato a scrivere, ma almeno all’inizio le sue storie sono confuse e poco organizzate. È come se la penna non fosse ancora in grado di tramutare le idee in parole scritte.
Più avanti, lo anticipo per tranquillizzare i lettori e le lettrici che potrebbero stare in ansia per la sua salute mentale, Camilla imparerà a far fronte a questo fiume di idee, organizzando meglio il suo lavoro.
Per ora dovrò assumere il compito di editore, dando forma organica ai suoi scritti. Per farlo dovrò anche inserire delle parti di spiegazione e raccordo (sperando che le mie note non appesantiscano eccessivamente il racconto e non paiano inutile pedanteria) e dovrò intervenire sul testo della nostra Camilla, per ovviare agli errori causati da un generoso impulso della scrittura non accompagnato da adeguata tecnica. Anche per questo aspetto, però, vi invito a dare tempo e fiducia a Camilla.


Indice:

1. Il vulcano: La collera degli dei

1 - Il vulcano: La più grande eruzione della storia

2 - L’imperatore: La vecchia guardia muore

2 - L’imperatore: L’Imperatore e la pioggia


3 - L’anno senza estate: La neve in estate

3 - L’anno senza estate: Mille e ottocento e muori ghiacciato

4. Sul Lago Maggiore. Ricordi di tempi felici.


4. Sul Lago Maggiore. Ospiti illustri.

5. La villa sul lago. La villa sul lago.

5. La villa sul lago. L’amante infedele.

5. La villa sul lago. Il cavaliere pallido.

5. La villa sul lago. Scriveremo una storia dell’orrore.

6. Albè. Viaggio in Grecia con vampiro.

6. Albè. Lord Ruthven

7. Il cavalier Elfo. Christabel.

7. Il cavalier Elfo. L'alchimista della poesia.

8. Il Vampiro. La vicenda di una donna curiosa.

8. Il Vampiro. La nascita di un mito.

9. Frankenstein. Deliri notturni.

9. Frankenstein. Il Prometeo moderno.

Epilogo.

Note bio-bibliografiche.


lunedì 10 agosto 2009

Concorso "Racconta il tuo mistero 2009"

Il Lago dei Misteri, in collaborazione con Siamo in Onda il Talk show di Puntoradio, presenta l’edizione 2009 del concorso “Racconta il tuo mistero”.

Se desideri partecipare non devi far altro che leggere il Regolamento.

Se invece desideri un sunto veloce dei contenuti del concorso, ecco le FAQ:

  • CHI? Possono partecipare tutti i bloggers, quale che sia la loro “tribù” (Blogger, Libero, ecc.) di appartenenza, che vogliano scrivere una storia del mistero.
  • COSA? Le storie del mistero possono appartenere, indicativamente, a tre generi: leggende locali; descrizione di luoghi misteriosi; vicende e creature misteriose. Le storie non devono superare i 2800 caratteri, spazi esclusi (Nota: editor come word possiedono uno strumento specifico, per ciò non è necessario contare manualmente).
  • DOVE? Ciascun blogger deve pubblicare la storia del mistero sul proprio blog. Non sono ammessi racconti postati come commenti su blog di altri.
  • QUANDO? Le storie devono essere pubblicate dal 1 gennaio al 31 ottobre 2009.
  • PERCHÉ? A parte il piacere di farlo? Bene, sono previsti dei premi: la storia vincente sarà letta in diretta durante la trasmissione Siamo in Onda, il Talk show di Puntoradio. Il vincitore riceverà inoltre una pubblicazione sulle storie del Lago d’Orta in omaggio. Una menzione andranno al secondo e terzo classificato.

Regolamento

1. Al concorso “Racconta il tuo mistero” possono partecipare tutti i bloggers, quale che sia la loro “tribù” (Blogger, Libero, ecc.) di appartenenza, scrivendo racconti brevi originali e inediti in lingua italiana. Ogni concorrente può iscrivere al massimo tre storie.

2. L’argomento dei racconti è il mistero. Le storie possono quindi parlare di:
  • leggende;
  • descrizione di luoghi misteriosi;
  • vicende e creature misteriose.

3. Le leggende e i racconti di storie locali devono essere riscritti dal blogger, che dovrà indicare la zona in cui sono state raccolte.

4. È vietato il copia incolla da altri siti, così come copiare da altri testi scritti. Si ricorda che il plagio di opere di altri autori è perseguibile legalmente ed è moralmente riprovevole anche dopo la scadenza dei diritti legali. La violazione di questa regola porta all'esclusione del concorrente.

5. La lunghezza massima consentita è di 2800 caratteri, spazi esclusi.

6. I misteri devono essere pubblicati sui blog dal 1 gennaio al 31 ottobre 2009. Nel post che contiene il mistero deve essere riportata la frase “Concorso Racconta il tuo mistero 2009”. Entro le ore 24.00 del 31 ottobre 2009, a pena esclusione, l’autore dovrà lasciare un commento su Il Lago dei Misteri in cui dovrà dichiarare:

  • la volontà di partecipare al concorso,
  • la presa visione e accettazione del regolamento.
Dovrà altresì indicare il link della pagina in cui ha pubblicato il suo mistero. La pagina (o le pagine) dovrà essere accessibile ai lettori senza restrizioni.

7. Alla chiusura del concorso su http://illagodeimisteri.blogspot.com verrà pubblicato l’elenco completo dei racconti coi link alle pagine degli autori, aprendo la seconda fase del concorso, durante la quale i lettori potranno votare i tre misteri preferiti.
I tre misteri più votati dai lettori saranno esaminati da una giuria, il cui giudizio sarà motivato e insindacabile. I componenti della giuria non possono partecipare al concorso.

8. Il mistero vincitore sarà letto sabato 12 dicembre a Siamo in Onda, il Talk show di Puntoradio. Successivamente sarà pubblicato come Pillola di Mistero su YouTube - illagodeimisteri's Channel. All’autore o autrice del racconto vincente sarà inoltre inviata una pubblicazione sulle storie del Lago d’Orta in omaggio. Verranno assegnate menzioni speciali per il secondo e il terzo classificato.

9. Il concorso vuole stimolare nei blogger il desiderio di scrivere, raccontare e tramandare storie “del mistero”, leggende e ricordi di fatti e luoghi misteriosi. Non ha finalità di lucro e non prevede né la pubblicazione cartacea dei racconti né tanto meno compensi di natura economica. I partecipanti si impegnano a concorrere con lealtà e buona fede.

domenica 9 agosto 2009

La Vipera e il Cavaliere


Come ho annunciato ieri, ecco il resoconto di Vele sull'incontro con la Villeggiante.

Era da un po’ di tempo che non rivedevo la Villeggiante, ma qualche giorno fa è rientrata nella mia vita per raccontarmi una storia incredibile. Ci siamo date appuntamento alla Feltrinelli vicino al Duomo, dopo il lavoro.

Mentre sfogliavamo i libri della sezione Fantasy, vedevo che fremeva dalla voglia di raccontarmi qualcosa… ma un qualcosa di così strano che perfino lei esitava. L’ho incoraggiata e alla fine mi ha detto:
“Vele, ti ricordi l’ultima volta che sono stata in villeggiatura? Quando ho conosciuto la vipera Cornelia?”
“Certo. Mi hai detto che vive nella stessa isola di Alfa, che ha modi distinti e che ti ha dato lo spunto per il prossimo mistero da indagare.”
“Sì, il fatto è che assomiglia al biscione dello stemma visconteo di Milano… ma ecco, devo rivelarti un’altra cosa: non era un metafora quando parlavo di modi distinti. E’ veramente un animale senziente, e parla. Solo a te posso raccontare cose simili! Non lo trovi strano, vero?”
Io ovviamente non ho battuto ciglio. A parte il fatto che sono cresciuta a pane e leggende e che incontro personaggi strani in continuazione, avevo già letto qualcosa di Cornelia nel blog di Alfa.
Così, una volta sedute sulle morbide poltrone della libreria, l’amica mi ha fatto leggere questa parte del diario rosso che tiene sempre con sé:

La Vipera Cornelia assomigliava stranamente all’immagine sullo stemma visconteo, fatta eccezione per il bambino in bocca naturalmente. Ricordavo di aver visto ad Orta questo affresco, così, non appena ho potuto mi sono recata nuovamente al lago d’Orta. Lì mi sono messa subito a cercarlo, fotografando nel frattempo quello che mi sembrava più interessante. Alla fine ho ritrovato l’affresco, su un edificio della Piazza.
Dopodiché ho deciso di tornare al rifugio di Alfa per chiedere spiegazioni. Come mi era accaduto la prima volta, mi è bastato sedermi su una barca per essere facilmente trasportata sull’isola. Lui non c’era, ma ho ritrovato Cornelia che mi ha accolto cordialmente, facendo gli onori di casa.
Le ho subito posto alcune domande:
“Signora Vipera Cornelia, potrei chiedere cosa hanno a che fare i Visconti con il Lago d’Orta?”

Arrivata a quel punto della lettura, la Villeggiante mi spiegò:
“Vedi, ho pensato di rivolgermi a lei chiamandola Signora Vipera Cornelia perché dai modi mi sembrava una vipera di alto lignaggio. Infatti mi ha trattata con molto riguardo.”
Io sorrisi: sapevo, grazie al blog di Alfa, quanto può essere suscettibile quella vipera se non trattata col dovuto rispetto; la Villeggiante aveva istintivamente trovato il canale di comunicazione migliore per rivolgersi a lei.
Proseguii con la lettura:

Lei mi rispose: “Invero la famiglia dei Visconti aveva possedimenti e castelli nella zona delle colline tra il lago Maggiore e il Lago d’Orta, come i castelli di Massino e Invorio, dove nacque Matteo I Visconti, primo Signore di Milano.”
“Molto interessante, Corn… ehm, Signora Vipera Cornelia! Mi piacerebbe, se non sono troppo indiscreta, fare luce su un altro punto: ho notato una strana somiglianza tra Lei e la vipera raffigurata sullo stemma dei Visconti. È solo una coincidenza?”
“Devi sapere, cara ragazza, che io e Sempronio discendiamo da una nobilissima e antichissima stirpe di serpenti parlanti. Un giorno una mia antenata, di nome Ginevra, si trovava in un prato, quando giunsero al galoppo numerosi cavalieri. Temendo di essere calpestata da decine di zoccoli ferrati o uccisa a colpi di lancia dagli uomini che indossavano armature di ferro, si nascose sotto una pietra. Inaspettatamente uno di quegli uomini depose il suo elmo proprio accanto alla pietra, sdraiandosi nel prato per riposare. Ginevra rimase immobile per qualche minuto, poi si affacciò per vedere se c’era modo di allontanarsi indisturbata. Si accorse tuttavia che in cielo volteggiavano degli uccelli, così, temendo anche questo nuovo pericolo, decise di scivolare dalla pietra all’elmo e da questo ad un cespuglio poco distante.
Quando fu entrata nell’elmo, tuttavia, la celata si richiuse imprigionandola. Da quella prigione arroventata dal sole cercò a lungo una via di fuga, finché, quando le sembrava di aver trovato un varco verso l’alto, l’elmo fu improvvisamente scosso e sollevato, facendola quasi cadere. Sentì che qualcosa dì metallico stava entrando dentro ed in breve si trovò schiacciata tra la cotta metallica dell’uomo e l’elmo. Quando infine riuscì a fatica a strisciare fuori, si trovò in cima ad un elmo sulla testa di un cavaliere, in groppa ad un cavallo lanciato al galoppo.
Gli altri cavalieri notarono la scena e cominciarono ad urlare, indicando nella sua direzione. Qualcuno persino mise mano alla spada, ma nessuno osò menare un fendente per paura di colpire il Cavaliere. Quest’ultimo allungò la mano, guantata di ferro, afferrandola.
Ginevra, temendo per la sua vita, si decise a parlare:
“Azzone Visconti, Signore di Milano, risparmiami, come io non ti recai danno alcuno!”.
L’uomo, sorpreso per quelle inaspettate parole, l’osservò per qualche istante, dopo di che la lanciò su un cespuglio, dove atterrò morbidamente, invece che sul prato, dove sarebbe stata uccisa orribilmente. In seguito Azzone, ricordandosi di quell’episodio, inserì la Vipera nel proprio stemma, raffigurando se stesso come un bambino che esce indenne dalla sua bocca.”

Il brano terminava qui.
“E poi?” ho chiesto.
“E poi mi sono congratulata per il coraggio dell’antenata di Cornelia, e l’ho ringraziata per il suo racconto. Ti rendi conto? Una leggenda così antica, narrata dalla discendente della Vipera Viscontea! Se vuoi, puoi usare questa parte di diario per narrare la leggenda ai lettori del tuo blog e del blog di Alfa.”
“Sì, ma una volta risolto questo mistero? Ce ne saranno altri? E tornerai al lago d’Orta?”
Lei mi ha strizzato l’occhio con quel suo fare un po’ furbetto:
“Certo che ci saranno altri misteri! E dove ci sono misteri, io sono sempre lì ad indagare… ”


Le "storie del quaderno rosso" fanno parte dei "Misteri a quattro mani" scritti da Vele ed Alfa.

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.