venerdì 31 agosto 2018

La ragazza del sogno - Parte 3



La Dimora degli Erranti

Le case di questo piccolo borgo circondato dalla foresta si sporgono su vicoli stretti. Un tempo era una forma di difesa contro i predatori a quattro e due zampe che si aggiravano nell'oscurità della notte. Alla sera bastava chiudere i robusti cancelli agli ingressi del paese per trasformarlo in un fortino.
Ora le case pericolanti, puntellate frettolosamente dal comune, costituiscono un pericolo per chi osi avventurarsi tra quelle rovine abbandonate da anni. Dove un tempo lavoravano e combattevano, invidiavano e amavano settanta famiglie ora non restano che case dai tetti sfondati e mura invase dalla vegetazione. La gente se n'è andata, lasciando una vita dura per cercare fortuna altrove. Molti hanno attraversato il mare per trovarla. Altri ancora vi hanno perso la vita, assieme a tanti altri italiani emigrati in tutto il mondo. Ma questo è ormai un passato scomodo che preferiamo dimenticare.
Non tutti però hanno lasciato Pregallo. Passo davanti alla grande chiesa, da anni sconsacrata, e trovo una macchina olandese. La casa di fronte è stata recentemente restaurata, con gusto e rispetto per la sua storia. Anche qui cominciano ad affluire nuovi abitanti, che hanno scoperto la bellezza incantata di questi luoghi da cui nelle mattine terse puoi vedere il Monte Rosa illuminato dai primi raggi del sole e hanno deciso di tornare a popolare il borgo.
C'è una casa però che non è mai stata abbandonata, generazione dopo generazione. Si trova appena sopra il paese e la strada asfaltata termina esattamente davanti al suo portone barocco. Un alto muro impedisce la vista del grande parco ben curato che circonda la villa coi suoi misteri.
Il campanello si trova sul pilastro di destra, sopra una piastrella con la riproduzione del mosaico romano "cave canem" e la scritta incisa in caratteri eleganti "Dimora degli Erranti". Non è esattamente il cognome dei proprietari, forse piuttosto un monito a loro stessi. Qui abita il mio amico Ottavio Errante.
Al suono del campanello fece eco un latrato sempre più vicino, finché dall'altra parte del portone risuonò il richiamo di alcuni giganteschi Do-khyi. Un istante dopo l'uscio più piccolo del portone si aprì e comparve Amar.
"Namasté" mi inchinai rispettosamente con un sorriso.
Non chiedetemi di descriverlo. Posso dirvi che Amar è un nepalese di bassa statura, ma nonostante l'abbia visto più volte non riesco ad imprimermi nella mente nessun altro tratto distintivo. Anche l'età è indefinibile, benché non debba essere troppo giovane, essendo stato già al servizio del padre di Ottavio. Non saprei nemmeno dire esattamente quale sia il suo suolo. Potrei forse definirlo il  domestico di famiglia, ma ho la sensazione che questa idea sia più soprattutto un riflesso condizionato dei miei schemi mentali. Factotum forse sarebbe più preciso, perché Amar è custode, giardiniere, cuoco e chissà cos'altro ancora della Dimora degli Erranti. Perché se devo dar retta al mio sesto senso in lui c'è molto di più di quello che potrebbe sembrare.
A un suo sommesso fischio i molossi tibetani si erano acquietati e ci scortarono trotterellando mentre procedevamo sul viale, finché vidi venirci incontro la figura atletica di Ottavio.
Sorrisi pensando a quanto dovessero essere affollate di signore e signorine di ogni età le messe che celebrava. Ma questo appartiene a una vita passata dell'Errante, che da tempo ha lasciato la tonaca e si è ritirato in questa sorta di eremitaggio.
"Carissimo" mi saluta calorosamente "vieni a raccontarmi davanti a una tazza di té caldo cosa ti porta a Pregallo!"

Questa è la terza parte de "La ragazza del sogno".

Quarta parte



Parti precedenti

prima parte

seconda parte

giovedì 2 agosto 2018

La ragazza del sogno - Parte 2


Antiche strade  

Risalgo velocemente la strada, camminando su pietre antiche che hanno visto passare mercanti e contrabbandieri, fuggiaschi ed eserciti. Un tempo qui terminava l'antica Riviera di San Giulio, un feudo che per oltre cinquecento anni fu praticamente indipendente, e iniziava il Ducato di Milano. Oltre il confine s'ergeva la forza delle armi viscontee, sforzesche, spagnole e infine austriache. 

Da questa parte la fragile difesa delle leggi e di un diritto consuetudinario che non era disposto a venire a patti con l'arbitrio.
Lo imparò a sue spese un signorotto che aveva la sua base nel Vergante e passò alla storia come "il Viscontino". Una mattina partì baldanzoso da Massino alla testa di un centinaio di masnadieri per saccheggiare Ameno e Armeno e catturare dei prigionieri che a caro prezzo avrebbero poi dovuto riscattare la propria libertà.

La pazienza delle genti della Riviera era però finita. Fin dal mattino, quando gli invasori erano stati avvistati, da ogni campanile e da ogni torre le campane avevano preso a suonare a stormo. Dai pascoli del Mottarone al castello di Gozzano, dalla ricca sponda orientale agli aspri monti di quella occidentale ogni uomo valido, e anche molte donne, brandivano picche, moschetti, lance, scuri falci, roncole, forche e ogni tipo di arma o strumento adatto a combattere.
Se li trovò davanti nella valle ai piedi del Motto Duno. Erano contadini, artigiani, pescatori, boscaioli e pastori, ma c'era persino qualche notaio e dottore. Li guardò e rise il Viscontino che maneggiava le armi fin da bambino e aveva imparato a cavalcare prima ancora di camminare. Ordinò sprezzante ai suoi uomini di spazzare via quella marmaglia e lui stesso guidò la carica.

Ma le genti di Riviera non si diedero alla fuga, stringendosi compatti e protendendo le picche e le lance per fermare i cavalli, mentre con ogni tipo di arma bersagliavano i nemici.
Essendo impossibile vincere il Viscontino ordinò la ritirata, ma troppo tardi si accorse di essere finito in trappola. La milizia della Riviera era sbucata dai boschi e scesa dai monti, chiudendo ogni via di fuga. Una collera sorda animava i rivieraschi. Non avevano scordato le violenze, le ruberie, gli stupri e gli omicidi degli anni precedenti. Non si sarebbero fatti prigionieri quel giorno.

Il Viscontino abbandonò i suoi soldati che a piedi tentavano invano di resistere a quella marea montante e si lanciò a cavallo in un punto dello schieramento avversario che aveva notato essere meno fitto. Lo sfondò brandendo la spada e fuggì verso il suo castello. 
Un colpo di archibugio lo prese in pieno, sbalzandolo di sella. Un piede rimase attaccato al cavallo in fuga, che prese a trascinarlo sul terreno. Riuscì con la lama a tagliare la staffa, ma mentre tentava di alzarsi, ferito e sfinito, fece appena in tempo a vedere la furia piombare su di lui.

“Dove l’uomo più pecca, là egli muore” scrisse come epitaffio di quella vicenda il notaio Olina di Orta, che partecipò a quel "gran duello", una resa dei conti finale in cui trovarono la morte un'ottantina di masnadieri.

Non sono però le vicende del Viscontino avvenute nel secolo decimosesto a guidare i miei passi su questa strada. Mi sto recando a casa di un amico. L'unico, credo, che possa aiutarmi a svelare il mistero della ragazza del sogno che è tornata a trovarmi puntualmente ogni notte, come un incubo che non riesce a trovare pace. E del biglietto che ho trovato realmente e che riporta le sue stesse parole. 

C'è solo un uomo, tra quanti conosco, che abbia avuto modo di confrontarsi con fenomeni ai confini della realtà. Un amico che in passato affrontò orrori indicibili e sopravvisse per raccontarli.

Devo incontrarlo e per farlo devo andare a Pregallo. Lì abita Ottavio Errante.



Questa è la seconda parte di una storia a puntate intitolata "La ragazza del sogno".

Terza parte


Qui puoi trovare la prima parte



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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.