sabato 19 novembre 2016

Torniamo a Boca



Lasciamo l'Antonelli e i suoi misteriosi edifici e torniamo a Boca. Perché vale la pena chiedersi quale sia l'origine attorno a cui si sviluppò l'impianto di questa colossale fabbrica, che nemmeno le avversità riuscirono a fermare.

Abbiamo detto che all'origine del Santuario ci sarebbe una semplice edicola, costruita attorno al 1600. Che questo sia il vero cuore del Santuario lo si comprende anche dalla rivolta degli abitanti contro l'Antonelli che voleva spostarla.

"Lì è sempre stata, lì deve restare!" fu la risposta.

Ma lì dove? Perché in fondo, tentava di spiegare l'architetto, si trattava di poche decine di metri e la cappella poteva essere spostata intera.

"Lì è sempre stata, lì deve restare!" era sempre la risposta.

Cosa c'era sotto? Una roccia poteva essere sostituita da una base di pietra. Erano forse le parole del Vangelo ad ancorarli in quel fermo rifiuto?

"Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia." (Mt 7, 24-25)

O era un'altra la motivazione? Qualcosa che induceva a ritenere sacra proprio la pietra su cui era stata edificata l'edicola votiva e attorno a cui era sorto il santuario?

Se facciamo il giro dell'edificio la vediamo ancora, rossastra e molto differente da quelle che normalmente si vedono dalle nostre parti. Non che sia l'unica, naturalmente, perché qui in tempi geologici sorgeva un immenso sistema vulcanico che ha lasciato tracce su un'area vastissima.

Ma forse in quel luogo quella roccia particolare si trovava accanto ad altri elementi che da tempi immemorabili costituivano lo scenario sacro delle antiche religioni pagane: un corso d'acqua, un guado per attraversarlo, l'incrocio di più strade.

Avevano il loro bel gridare dal pulpito i vescovi. Come Eligio di Noyon che nel VII secolo ammoniva i cristiani delle Fiandre: “Nessun cristiano dovrebbe mostrarsi devoto agli dei del trivio, dove tre strade si uniscono, né partecipare alle feste delle rocce, delle sorgenti, dei boschi o degli angoli.”

E come il Vescovo di Novara Cesare Speciano che nella Sinodo del 1590 rilanciava i medesimi ammonimenti.

L'unico modo per farla finita con queste tradizioni inestirpabili, visto che non si potevano affidare tutte le pecorelle smarrite alle cure dell'Inquisizione (se non altro, chi avrebbe pagato le decime dopo?), era quella di trasferire la devozione da luoghi troppo carichi di simbologie pagane a costruzioni di chiara impronta cristiana. 

"Se proprio devono andare in quei luoghi a pregare perché piova o per avere figli o guarire dalle malattie, ebbene, almeno lo facciano davanti a un'immagine cristiana!" Questo a grandi linee il pensiero che mosse i Vescovi della Controriforma.

Da qui in quegli anni il moltiplicarsi di edicole sacre nei boschi, accanto alle sorgenti, nei punti di incontro di più strade. 

A Boca su quella roccia rossastra sorse dunque una cappella, con l'immagine del Crocifisso il cui sangue era raccolto in una coppa da un angelo. L'immagine raffigurava due anime purganti, immerse in un mare di fiamme, che levavano lo sguardo supplice al Cristo in croce. Il rosso come colore dominante, dunque, e severo ammonimento per chiunque.

Così a Boca si continuò ad andare a posarsi sulla roccia per guarire dal mal di schiena e per chiedere la grazia di avere figli, ma all'interno di un contesto cristiano. La roccia, prudentemente, fu lasciata in parte all'esterno dell'edificio, così che i pellegrini potessero discretamente sedervisi sopra, senza dare troppo nell'occhio e senza scandalo per alcuno.

Nel tempo il Santuario si caricò di ulteriore sacralità, ma è proprio da lì che è partito il nostro viaggio e lì deve finire. 



mercoledì 2 novembre 2016

Antonelli, un architetto muratore



Alessandro Antonelli, l'architetto che progettò, tra le altre cose, anche il santuario di Boca era un uomo che amava le sfide: progettare ai limiti delle possibilità tecniche della sua epoca, creando edifici "impossibili", di un'arditezza che sfiorava la follia, almeno agli occhi di coloro che non erano capaci di osare.

Così a Torino, dove costruì la celebre Mole che porta il suo nome, progettò e realizzò un edificio decisamente bizzarro, che è noto ai torinesi col nome di "Fetta di polenta". Come compenso per il suo lavoro gli era stata ceduta una striscia di terreno, attualmente all'angolo tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. Lunga e stretta, ma edificabile. I vicini però, probabilmente puntando a farsela svendere, non cedettero nemmeno un metro delle loro proprietà e così il piano di allargamento fallì. A quel punto l'architetto decise di costruire ugualmente una casa di quattro piani, avente i lati corti di 4 metri da una parte e 57 cm dall'altra, con un appartamento per piano con scala a chiocciola, a cui poi ne aggiunse altri due e, anni dopo, un settimo.

Casa Scaccabarozzi, dal nome della moglie di Antonelli, fu considerato un edificio folle e pericoloso, incapace di reggere ai venti che spirano dalle Alpi. Così lui ci andò a vivere per dimostrarne l'affidabilità. In seguito la casa dimostrò la sua solidità, resistendo indenne all'esplosione della polveriera di Borgo Dora nel 1852, al terremoto del 1887 e ai bombardamenti dell'ultima guerra. Eventi che lesionarono o distrussero invece molti edifici della zona.
A cosa si deve la solidità della "fetta di polenta"? Al fatto di essere una “casa fatta con l’aiuto del diavolo, al solo scopo di vincere una scommessa, non certo per ospitare il focolare di gente per bene” come disse qualcuno? O piuttosto al fatto di essere stata ben progettata e di avere ben due piani sotterranei che danno solidità a tutto l'edificio? 

Di ricorso a simbologie esoteriche del resto si parla parecchio quando vengono analizzate le costruzioni dell'Antonelli. Non ho elementi per confermarlo né smentirlo, ma è stato ipotizzato che fosse iscritto alla Massoneria. La stessa cupola del San Gaudenzio a Novara sarebbe niente meno che una costruzione "in codice" per i numerosi elementi esoterici che vi ricorrono. Un vero simbolo massonico che si sovrappone alla chiesa cinquecentesca, di cui i profani non sarebbero consapevoli, ma perfettamente leggibile da parte degli iniziati...


La foto del San Gaudenzio a Novara è una cortesia di Elena Grossini.

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