mercoledì 28 ottobre 2015

La Festa delle streghe



Volete festeggiare le streghe? Quale posto migliore della Valle Strona, ai piedi delle grotte che portano il loro nome? E quale data migliore del 31 ottobre?

venerdì 23 ottobre 2015

Tolkien e la modernità

Saruman arringa il suo esercito in una scena de "Il Signore degli Anelli"

Tolkien, pur apprezzandone alcune comodità e vantaggi, non amava la modernità, la cui peggiore incarnazione era per lui la “Macchina”. 

Forse questa avversione era nata sul fronte di battaglia della Grande Guerra e si era rafforzata durante la Seconda Guerra Mondiale, quando aveva avuto modo di osservare gli effetti tragici e disumanizzanti della tecnologia. 

Anche la ricostruzione post bellica, con la distruzione di molti dei paesaggi a lui cari influì su questa visione, che nel Signore degli Anelli appare incarnata nella figura di Saruman, lo Stregone corrotto, che come uno scienziato folle distrugge la Natura per costruire le proprie macchine e le proprie mostruose creature. 

mercoledì 21 ottobre 2015

Si parla di streghe



Si parlerà di streghe in Valstrona, sabato prossimo. Un viaggio tra roghi ed erbe condotto dai Viaggiatori Ignoranti in un museo che sorge ai piedi delle grotte delle streghe. 

Creature ben diverse dalle poverette che finirono sui roghi, quelle che vivevano nelle grotte di Sambughetto. Oggi le chiameremmo più correttamente "fate" come del testo richiama il loro nome dialettale.

Ne ho parlato varie volte, dopo l'incontro con la Maga, richiamando le loro acrobatiche esibizioni (c'è anche un video) e la storia del prete che osò discendere in quegli oscuri cunicoli.

Tornando alle "streghe" in carne ed ossa, sembra che la nostra Diocesi vanti il primato di essere stata la prima a porre un freno ai roghi. Grazie a Vescovi illuminati che compresero presto che quando non si trattava di vendette private, le denuncie colpivano persone che avevano l'unica colpa di essere un po' eccentriche, sole e "alternative". 

Probabilmente tra queste si nascondeva anche qualche portatrice di antiche tradizioni pagane, ma certo non c'era nessun patto col Diavolo...




domenica 18 ottobre 2015

Il Gastaldo. Capitolo 1.2

L'assassinio di Alboino in un dipinto di Charles Landseer

Alboin aveva guidato l’invasione dell’Italia ed era stato assassinato in una congiura ordita dalla moglie. Il re, ubriaco come spesso gli accadeva, durante una notte di baldoria nel palazzo reale di Verona, aveva costretto la moglie Rosamunde a bere da una coppa costruita con il teschio di Cunimond, il re dei Gepidi che Alboin aveva sconfitto e ucciso in battaglia. Rosamunde, che era figlia di Cunimond e aveva dovuto sposare il vincitore, aveva bevuto, ma giurando vendetta. 
Dapprima si era concessa ad Elmilch, fratello di latte del re, facendone il suo amante e complice. Poi, necessitando di ulteriore aiuto, aveva deciso di attrarre alla sua causa un altro uomo, un fortissimo guerriero gepido di nome Peredeos. Poiché l’uomo appariva incrollabile nella fedeltà giurata al re, la donna era ricorsa all’inganno. Una notte, complice l’oscurità, si era infilata nel letto di Peredeos, fingendosi la sua donna, che aveva fatto allontanare dal palazzo con un pretesto. Soltanto quando Peredeos ebbe finito di unirsi a lei, la regina gli aveva rivelato la sua vera identità, mettendolo di fronte ad una scelta diabolica: pagare con la vita l’adulterio o unirsi ai congiurati. Peredeos, vinto, aveva ceduto. 
Così, la notte convenuta, Rosamunde aveva fissato con una corda la spada del re alla testata del letto, quindi, appena Alboin si era addormentato, aveva aperto la porta a Peredeos e ad Elmilch. Il re, che aveva i sensi sempre all’erta, si era svegliato e aveva tentato vanamente di estrarre la spada. Allora aveva cominciato a gridare, tentando di difendersi con uno sgabello, ma nulla aveva potuto contro i suoi assassini.
Elmilch avrebbe voluto diventare re, ma lo sdegno tra i Longobardi per un’azione così vile era stato tale da costringere i congiurati a fuggire, portando con loro il tesoro reale, a Ravenna, dove però Elmilch e Rosamunde avevano trovato la morte. Si raccontava che Peredeos, portato a Costantinopoli, avesse ancora dato dimostrazione della sua forza uccidendo un leone davanti all’imperatore.
Poiché con la morte di Alboin si era estinta la dinastia dei Gausi, i duchi avevano proclamato re Clefis, della stirpe dei Beleos. Il suo regno, tuttavia, era durato solo diciotto mesi, perché una guardia del corpo, corrotta dall’Impero, aveva sgozzato nel letto lui e la moglie Masane. Il figlio di Clefis, Autaris, era sopravvissuto, ma era ancora un bambino. Così i più potenti tra i duchi si erano accordati, dividendosi il potere finché il fanciullo non fosse stato in grado di salire al trono. 
Erano stati tempi di ferro e di sangue i dieci anni dalla morte di Clefis all’incoronazione di Autaris. Dieci anni in cui i duchi avevano spadroneggiato, uccidendo e cacciando i grandi latifondisti romani, saccheggiando le loro ville ed impadronendosi delle loro terre.
Raggiunta la maggiore età, Autaris era salito al trono e i duchi erano stati costretti a cedere al re il controllo su metà delle loro terre e delle loro fare, gli estesi gruppi familiari in cui era diviso il popolo longobardo.
Dopo la morte di Autaris, Agilulf il turingio, due mesi dopo essere stato proclamato re, aveva mandato a chiamare il guerriero e lo attendeva nel grande palazzo reale, dentro le mura di Mediolanum. 



mercoledì 14 ottobre 2015

Il pozzo e il treno



L'altro giorno, giungendo in trasferta dalle parti di Gattico, grazioso paesino dal nome simpatico che si trova nel Novarese, vidi uno strano edificio da cui fuoriusciva vapore. Ero di fretta e non mi fermai a fare foto, ma giunto a destinazione trovai altri amici che si stavano ponendo la stessa domanda: cosa sarà mai quel misterioso pozzo? 

Grazie a un amico, grande esperto di storie locali, scoprii che l'edificio faceva parte di una serie di opere realizzate per costruire una linea ferroviaria e che sotto i nostri piedi correva una galleria di alcuni chilometri.

L'opera, realizzata agli inizi del Novecento, permetteva il collegamento ferroviario da Santhià ad Arona, superando ostacoli naturali non indifferenti. Proprio per accelerare i lavori vennero realizzati questi pozzi che consentivano di moltiplicare i punti di escavazione sotterranea.

E per evitare che qualche buontempone potesse gettare sassi sui convogli i pozzi furono escavati a una certa distanza dalla galleria, assicurandone l'aerazione e l'accesso in caso di necessità.






venerdì 9 ottobre 2015

Tolkien e le lezioni su Beowulf



Nel 1925 Tolkien ottenne la cattedra di anglosassone a Oxford. Le sue lezioni erano molto popolari. 

Durante il corso era solito entrare silenziosamente nell’aula e urlare all’improvviso: “Ascoltate adesso! Abbiamo udito narrare, noi, la gloria dei re dei Danesi delle Lance, di come quei principi, nei giorni che furono, compirono gesta valorose.” 

Era l’inizio delle lezioni sul Beowulf, uno degli argomenti che amava maggiormente. Il ricordo della sua voce e del suo viso che si contorceva mentre pronunciava gli antichi versi anglosassoni s’imprimevano nella memoria degli studenti che li ricordavano a decenni di distanza.


mercoledì 7 ottobre 2015

Poetry on the lake



Dal 9 al 11 ottobre si terrà la XV edizione di questo importante premio di poesia inglese che si svolge sull'isola di San Giulio e in altre località del lago d'Orta. 

Potete trovare il programma su www.poetryonthelake.org

domenica 4 ottobre 2015

Il Gastaldo. Capitolo 1.1

Cavaliere, lastrina in bronzo dorato
dello Scudo di Stabio, VII secolo.
BernaHistorisches Museum.
Sette mesi di siccità avevano ridotto la pianura umida e fertile in una steppa in cui solo le locuste prosperavano e si moltiplicavano. Dall’inizio dell’anno non cadeva una sola goccia di pioggia. Fatto straordinario, dicevano i contadini, innalzando inutilmente preghiere al loro Dio.

Una lunga nube di polvere inseguiva i cavalieri sulla strada verso la città. Gli zoccoli dei cavalli rimbalzavano sulla terra cotta dal sole, mentre attraversavano distese di erba ingiallita. Uno dei tre si passò il dorso della mano sul volto per tergersi il sudore e guardò i guerrieri che lo scortavano galoppando al suo fianco. Pensò che avrebbe preferito restare nel castello di Seprium, attorno al quale c’erano boschi nella cui ombra era possibile cercare un po’ di refrigerio. Pensò che non gli piacevano le città, luoghi circondati da mura che impedivano di vedere l’orizzonte, pieni di fango quando pioveva, di puzza quando faceva caldo e di sporcizia in ogni stagione dell’anno. Ne comprendeva la necessità, naturalmente, dal momento che un re aveva bisogno di una corte, di guardie, di magazzini e di artigiani.
Capiva l’utilità delle mura, che potevano tenere a bada eserciti numerosi anche per anni. Nonostante questo le città non gli piacevano e Mediolanum, per quanto fosse la città in cui l’aveva convocato il re, non solo non faceva eccezione, ma confermava in pieno la sua opinione.
La città era la più grande che avesse mai visto. Sapeva, per averlo sentito nelle lunghe sere in cui i vecchi raccontavano storie attorno al fuoco, che era stata la capitale dei Romani, dopo Roma e prima di Ravenna. Adesso invece a Ravenna stava l’Esarca dell’Impero, a Roma il Pontefice dei cattolici e a Mediolanum, da venti anni, stavano loro, gli Uomini dalle lunghe barbe.
Anche il cavaliere portava la barba lunga, come tutti quelli della sua gente che seguivano il costume tradizionale. Aveva la testa rasata dalla fronte alla nuca e i capelli biondi, divisi in due, pendevano lunghi fino all’altezza della bocca. Indossava un variopinto vestito di lino, a balze ampie e calzari aperti sino all’alluce con lacci di cuoio intrecciati. Al fianco teneva la spada e uno scramasax, una daga a lama larga che poteva essere utilizzata sia per il lavoro che in combattimento. Con la destra reggeva una lunga lancia con la cuspide a forma di foglia di salice, l’arma che, assieme alla spada, i guerrieri longobardi si addestravano ad usare fin da piccoli. Sulla schiena portava uno scudo circolare, di un braccio di diametro, in legno ricoperto di cuoio, con un umbone conico di ferro al centro ed una lamina di metallo lungo tutto il bordo, per proteggerlo dai colpi di taglio degli avversari.
L’elmo pendeva dalla sella sul fianco grigio e sudato di Graum. Faceva troppo caldo e Aribert, questo era il nome del guerriero, non aveva motivo per indossarlo. La guerra coi Franchi era terminata l’anno precedente, quando il re Autaris era riuscito a sconfiggere l’esercito franco che aveva invaso il regno. Non era stata una grande battaglia, poco più di una scaramuccia, ma i Franchi ne avevano abbastanza del caldo, delle alluvioni e della dissenteria. Così il loro re, Childelberto, aveva accettato di buon grado di trattare la pace per ritirare le truppe oltre le Alpi, lasciando solo l’esarca a combattere i Longobardi.
Proprio allora, però, era accaduto l’imprevisto: Autaris era morto, improvvisamente, e si sospettava che fosse stato avvelenato. Del resto nessun re longobardo era mai morto naturalmente, sebbene nessuno di loro fosse caduto sul campo di battaglia.


Questo è il primo capitolo de "Il gastaldo" ambientato nell'anno 590, che negli annali fu ricordato per una lunghissima siccità.



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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.