C’era un uomo, che faceva il becchino. In tempi in cui le fosse si scavavano e si riempivano a mano capitava spesso che il lavoro finisse ben oltre il tramonto.
Poiché se avesse avuto paura dei morti il nostro non avrebbe fatto quel lavoro, l’essere da solo nel cimitero dopo il tramonto, con una pala in mano e una bara da seppellire non era per lui un problema. Certo, c’era l’umidità della notte, specie nei mesi invernali, ma un fiasco di vino era un ottimo rimedio per quello.
Così il becchino, finito il suo lavoro, se ne tornava verso casa, tutto sommato contento del suo lavoro, che gli permetteva di non emigrare. Una cosa di cui non c’era mai penuria erano i morti, per cui il suo era quasi un vivere di rendita.
Certo, c’erano cose antipatiche, come quel toccarsi quando lo incrociavano. Del resto gli uomini frugavano nei pantaloni anche quando incontravano i preti e, con più discrezione però, le suore. A suo modo il becchino si sentiva di appartenere ad una casta privilegiata, guardata sempre con timore, se non con rispetto.
«Sono un collega del prete!»
Lo raccontava ridendo all’osteria, dove non mancavano mai le occasioni per farsi offrire da bere, perché di storie da raccontare ne aveva sempre tante. I cadaveri hanno infatti comportamenti strani. Talora, riesumandoli per purgare il cimitero, si trovavano scheletri scomposti, come se si fossero rigirati più volte nella tomba. O corpi stranamente conservati. Altri ancora sembravano aver rosicchiato il sudario in cui erano stati avvolti…
Quello che gli accadeva da un po’ di tempo era però inspiegabile. Ogni volta che tornava a casa, passando dal Brentu vedeva un cavallo bianco. Aveva chiesto in giro di chi fosse, ma nessuno possedeva un animale del genere. Eppure, ogni volta, il cavallo sembrava attenderlo. Lo seguiva per un tratto di strada quasi sfidandolo a salirgli in groppa, poi, misteriosamente come era apparso, scompariva nell’oscurità della notte.
Il becchino non si fermava, perché sapeva che in questi casi era sempre meglio continuare il cammino, ma aveva cominciato ad inquietarsi.
Una notte, dopo un po’ di tempo che questa storia andava avanti, arrivato al Brentu non vide il cavallo. Non fece però in tempo a tirare un sospiro di sollievo, perché da dietro un cespuglio sbucò un cane nero che gli ringhiava contro. Allora alzò la pala e gli diede un gran colpo di piatto sulla schiena.
Il giorno successivo vide il prete che camminava tutto indolenzito con la mano sulla schiena. Da allora il cavallo bianco non si fece più vedere...
Poiché se avesse avuto paura dei morti il nostro non avrebbe fatto quel lavoro, l’essere da solo nel cimitero dopo il tramonto, con una pala in mano e una bara da seppellire non era per lui un problema. Certo, c’era l’umidità della notte, specie nei mesi invernali, ma un fiasco di vino era un ottimo rimedio per quello.
Così il becchino, finito il suo lavoro, se ne tornava verso casa, tutto sommato contento del suo lavoro, che gli permetteva di non emigrare. Una cosa di cui non c’era mai penuria erano i morti, per cui il suo era quasi un vivere di rendita.
Certo, c’erano cose antipatiche, come quel toccarsi quando lo incrociavano. Del resto gli uomini frugavano nei pantaloni anche quando incontravano i preti e, con più discrezione però, le suore. A suo modo il becchino si sentiva di appartenere ad una casta privilegiata, guardata sempre con timore, se non con rispetto.
«Sono un collega del prete!»
Lo raccontava ridendo all’osteria, dove non mancavano mai le occasioni per farsi offrire da bere, perché di storie da raccontare ne aveva sempre tante. I cadaveri hanno infatti comportamenti strani. Talora, riesumandoli per purgare il cimitero, si trovavano scheletri scomposti, come se si fossero rigirati più volte nella tomba. O corpi stranamente conservati. Altri ancora sembravano aver rosicchiato il sudario in cui erano stati avvolti…
Quello che gli accadeva da un po’ di tempo era però inspiegabile. Ogni volta che tornava a casa, passando dal Brentu vedeva un cavallo bianco. Aveva chiesto in giro di chi fosse, ma nessuno possedeva un animale del genere. Eppure, ogni volta, il cavallo sembrava attenderlo. Lo seguiva per un tratto di strada quasi sfidandolo a salirgli in groppa, poi, misteriosamente come era apparso, scompariva nell’oscurità della notte.
Il becchino non si fermava, perché sapeva che in questi casi era sempre meglio continuare il cammino, ma aveva cominciato ad inquietarsi.
Una notte, dopo un po’ di tempo che questa storia andava avanti, arrivato al Brentu non vide il cavallo. Non fece però in tempo a tirare un sospiro di sollievo, perché da dietro un cespuglio sbucò un cane nero che gli ringhiava contro. Allora alzò la pala e gli diede un gran colpo di piatto sulla schiena.
Il giorno successivo vide il prete che camminava tutto indolenzito con la mano sulla schiena. Da allora il cavallo bianco non si fece più vedere...
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