domenica 21 settembre 2008

I draghi del lago d’Orta - 5



Il Maestro mi osserva con aria l’aria soddisfatta, ma non ancora sazia, di un gatto che ha ancora a portata di zampa qualche topolino della famiglia che va decimando.
«Che le cose stessero come ti ho detto, si intuisce anche da un altro fatto. Gli indigeni, se così posiamo chiamarli, tengono infatti uno strano comportamento nei confronti dei due fratelli. A Gaudianum, ad esempio, alcuni uomini si trovavano a passare per la via dove si stava costruendo la chiesa. Tra parentesi: la cosa è interessante, perché noi sappiamo che l’oratorio venne costruito lungo una via che collegava Novara all’Ossola. Ad ogni modo, questi uomini hanno un timore. Ascolta cosa dice la Leggenda.»
Il Maestro riapre il librettino alla pagina 30.
«Si dissero l’un l’altro: “pensi che tali uomini costringeranno anche noi a trattenerci ad aiutarli? Per poter passare oltre facilmente con una scusa, mettiamo uno di noi sdraiato sul carro come se fosse morto; diremo di avere un cadavere; con una scusa di questo genere, infatti, passeremo subito oltre e non saremo trattenuti per un così gran lavoro. Crediamo infatti di non poter essere esonerati in altro modo.»
Il maestro chiude il libro e mi lancia un’occhiata come per sottolineare quelle parole.
«La storia continua coi due fratelli che effettivamente li fermano, invitandoli a dare una mano. Loro spiegano che devono portare il corpo dell’amico morto per dargli sepoltura. Giulio e Giuliano li ammoniscono a non mentire. Quelli insistono e vengono lasciati liberi di ripartire, ma quando infine si fermano il loro compagno non scende dal carro. Lo chiamano, gli dicono di non fare lo stupido, infine lo tirano finché si accorgono che l’uomo è morto sul serio. A parte la conclusione moralistica, quel che mi sembra significativo è il fatto che gli uomini avessero il fondato timore di essere costretti a lavorare e la consapevolezza di non poter essere esonerati in altro modo. Questo vuol dire che chi li fermava aveva autorità e potere di persuasione non solo morale. Ancora più interessante è però l’atteggiamento dei barcaioli.»
Il Maestro fa una lunga tirata di sigaro, per creare un po’ di suspence, mentre le mie cellule cerebrali ormai boccheggianti implorano un po’ di ossigeno.
«Secondo la tradizione Giulio non trova nessuno disposto a traghettarlo fino all’isola. Nelle versioni più addomesticate si parla del fatto che il santo non trova alcuna barca lungo la sponda, il che suona strano in un lago piccolo dove i pescatori erano certo numerosi. In altre versioni si dice chiaramente che i barcaioli rifiutano di portarlo sull’isola. La paura dei draghi è il motivo dichiarato. La paura di compiere un sacrilegio è invece l’ipotesi più probabile. In effetti sarebbe occorso un bel coraggio per traghettare un simile passeggero, chiaramente animato da intenzioni bellicose nei confronti delle divinità del lago, su un’isola sacra. Nota che la paura è tanta che le lettere dell’imperatore non paiono sortire effetto. Del resto un timore immediato e sicuro è sempre più forte di un timore possibile ma lontano. Così Giulio deve ricorrere alla sua arma segreta: il mantello zattera
«Mi pare di capire che non crede al miracolo…» azzardo.
«Quanto a quello di San Brendano che navigò su una barca di pelle nel mare del nord e sostò sul dorso di una balena!» ride il Maestro. «Comunque io ho una mia teoria… e non escludo che un giorno vedrai qualcuno navigare sull’acqua a bordo di un mantello! Ma questo è un trucco a cui sto lavorando e di cui ti parlerò un’altra volta, se ne avrò voglia…»
Così, lasciandomi sulle spine, il Maestro mi congeda con un gesto. Trovo a fatica l’uscita nella caligine dello studio. Solo quando sono fuori e i polmoni si dissetano di aria mi rendo conto che non sono riuscito a chiedergli nulla sulle profezie della fine del mondo. Di rientrare in quell’antro, però non se ne parla.
Almeno per ora.



I draghi del Lago d'Orta

Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
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Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.