Il Maestro non sembra essersi accorto del mio turbamento. Forse si era distratto guardando le nuvolette di fumo che danzavano nello studio. O forse se ne è accorto benissimo ed è per questo che sta ridacchiando.
«I draghi sono quindi un simbolo del diavolo e, non a caso» il Maestro torna a fissarmi «San Giulio è invocato negli esorcismi. Sull’isola ancora si conserva la gabbia in cui un tempo erano rinchiusi gli indemoniati.»
Queste parole mi fanno venire in mente una storia che ho ascoltato tempo fa dal Barcaiolo.
«Dobbiamo dunque pensare che sull’isola vi fosse una colonia di demoni infernali?» domanda retoricamente il Maestro. «Certo che no! Qui arriviamo al terzo modo di analizzare la leggenda e ci viene in soccorso lo storico. Prima di dare una risposta dobbiamo tuttavia chiarire chi fosse il prete Giulio, e cosa ci facesse un greco nativo dell’isola di Egina sul nostro lago. Una risposta ce la fornisce la stessa leggenda della vita del santo… A proposito, sai perché si chiama “leggenda”?»
«Ehm, a dire il vero…»
«Si vede che il latino non è il tuo forte!» ride. «Leggenda vuol dire che è da leggere! Erano storie delle vite dei santi che erano lette a scopo, potremmo dire, didattico educativo. La leggenda della vita del santo Giulio è piuttosto antica, anche se i manoscritti più antichi sono posteriori al 1066. Vi si trova infatti un riferimento all’uccisione del diacono Arialdo, che in quell’anno fu trucidato sull’isolino Partegora, di fronte ad Angera. Nuclei della leggenda sono però ritenuti più antichi e dovrebbero risalire al VI-VII secolo. Orbene, ascolta questo passaggio, tratto da un vecchio codice del XIII secolo. I due fratelli si sono presentati di fronte al cattolicissimo imperatore Teodosio, che a quei tempi risiedeva nell’Istria e aveva imposto per legge che tutti i sudditi dell’impero diventassero cristiani, vietando ogni forma di culto dei pagani. Lì sono accolti con rispetto dal Imperatore, che ritenendoli due esuli perseguitati domanda loro cosa desiderino, pronto a rendere loro giustizia. Ascolta cosa chiedono invece.»
Con uno dei suoi guizzi improvvisi il Maestro afferra un librettino dedicato a San Giulio Prete, edito dal Monastero Benedettino dell’isola nel 1986, aprendolo alla pagina 22.
«“Ci occorre l’appoggio delle sacre credenziali della tua clemenza e queste ti chiediamo, perché con la loro autorità, ci sia permesso distruggere tutti i simulacri profani del tuo regno, tagliare i boschi sacri e dare alle fiamme le loro are e i loro templi. In tal modo, eliminati e distrutti questi, possiamo erigere edifici consacrati a Cristo Signore, dedicarvi altari e in essi immergere nelle sacre acque battesimali le popolazioni ristorate dalla rugiada della dottrina… In questo modo noi combattiamo per la purezza della fede e tu realizzi i tuoi santi propositi.”»
Il Maestro mi indirizza uno sguardo di trionfo, prima di riprendere la lettura.
«L’imperatore, pieno di gioia, disse loro: “Vi do, secondo la vostra richiesta, le sacre lettere in modo che i patrizi, i capi dei soldati, i tribuni, i centurioni e tutti coloro che sono costituiti in autorità, obbediscano per mio ordine alle vostre parole. Il popolo conformemente a quanto voi avete stabilito vi presti aiuto con degna obbedienza e i prepositi collaborino con voi perché la santa Chiesa si moltiplichi e cresca per opera vostra. E chiunque dei nostri, disprezzando il comando, si sottrarrà alle disposizioni che abbiamo opportunamente stabilite, subirà la pena capitale.”»
Il Maestro richiude il libretto e tira una lunga boccata di tossine, prima di riprendere a parlare.
«Agli occhi dei primi cristiani gli dei pagani altro non erano se non demoni da combattere con ogni mezzo. E un tempio pagano era un’anticamera dell’inferno, da abbattere e distruggere. Se guardiamo il percorso compiuto dai due fratelli, troviamo che le loro non erano solo vuote parole. Giunti nel Lazio, dapprima si fermano nella località chiamata “Aquae Salviae”, a cinque miglia da Roma, dove, tra gli altri miracoli, mettono in fuga i demoni. Giunti in Lombardia, a Brebbia distruggono il santuario di Minerva, connesso alle sorgenti sacre. Poi si spostano ad Angera, dove esisteva un antro dedicato al dio Mitra, ma se ne vanno in gran fretta. Secondo la leggenda per aver previsto il martirio di Arialdo. Per non fare una brutta fine sospetto io. Negli stessi anni infatti alcuni missionari cristiani vennero trucidati dagli abitanti della Val di Non, inferociti perché questi stavano abbattendo i loro idoli. Se consideriamo che Mitra era sacro ai soldati, che Angera era sede della flotta romana del Verbano e che i militari dell’epoca erano per lo più barbari dal gladio facile, si intuisce che un pericolo potesse effettivamente esserci.»
La mano del Maestro passa davanti al collo, con un rapido gesto.
«Dopo di che i due fratelli giungono sul lago d’Orta e costruiscono a Gaudianum, l’odierna Gozzano, la loro novantanovesima chiesa, quello che è attualmente l’oratorio di San Lorenzo. Gli scavi compiuti all’interno della chiesa hanno evidenziato la presenza di iscrizioni celtiche e tombe romane, per ciò è probabile che nelle vicinanze del villaggio ci fosse qualche area sacra. Infine Giulio si sposta sull’isola per costruire la centesima chiesa, dove intende porre anche la sua tomba. Ti pare che avrebbe scelto uno scoglio disabitato e insignificante?»
«In effetti mi sembra improbabile» ammetto.
«Gli scavi archeologici hanno dimostrato» riprende il Maestro «che l’isola fu frequentata dal neolitico fino a tutta l’età del ferro. Non vi sono state rinvenute tracce di un’occupazione in età romana, salvo un’epigrafe che vi fu portata nell’alto medioevo come pietra di recupero. La cosa del resto è comprensibile. Durante l’età preistorica l’isola era certamente un ottimo posto per insediarsi, essendo ben difeso naturalmente e al centro di un lago pescoso. In età romana è probabile che l’isola, come molti altri centri preromani, sia stata abbandonata dalla popolazione a favore di nuovi villaggi costruiti lungo le strade principali. Ora, questa è solo un’ipotesi, ma non è così peregrina, è possibile che il luogo dell’antico insediamento sia diventato un luogo sacro, in quanto era stata la dimora degli antenati. Oltretutto, nella religiosità delle popolazioni indigene, che non dimentichiamocelo erano di stirpe celtica per quanto romanizzati, un’isola con un bosco, al centro di un lago dalle acque sorgive, offriva gli elementi ideali per essere considerata un santuario. Essi infatti adoravano le divinità nei boschi, accanto alle sorgenti e sulle isole. Non dimentichiamoci che il santuario principale dei druidi delle isole britanniche si trovava sulla piccola isola di Mona.»
«A quali divinità potrebbe essere stato dedicato un simile santuario?» domando incuriosito.
«Questo è impossibile dirlo» sbuffa il Maestro «in assenza di testimonianze archeologiche. È però interessante notare che nel Novarese era particolarmente sentito il culto di Mercurio e delle Matrone. Lo sappiamo da numerosi ritrovamenti archeologici. Si tratta di divinità celtiche, di cui ignoriamo il nome originale, che vennero romanizzate ma conservarono molti degli attributi indigeni. È interessante il fatto che sia le Matrone che Mercurio, dio dei commerci e secondo Cesare principale divinità dei Galli, nella Gallia Cisalpina (quindi anche dalle nostre parti) sono quasi sempre associati ai culti delle acque. Infine, ma questo forse è solo un caso, il simbolo di Mercurio è il Caduceo, un bastone attorno a cui sono arrotolati due serpenti o, meglio, due piccoli draghi.»
I draghi del Lago d'Orta
Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta
«I draghi sono quindi un simbolo del diavolo e, non a caso» il Maestro torna a fissarmi «San Giulio è invocato negli esorcismi. Sull’isola ancora si conserva la gabbia in cui un tempo erano rinchiusi gli indemoniati.»
Queste parole mi fanno venire in mente una storia che ho ascoltato tempo fa dal Barcaiolo.
«Dobbiamo dunque pensare che sull’isola vi fosse una colonia di demoni infernali?» domanda retoricamente il Maestro. «Certo che no! Qui arriviamo al terzo modo di analizzare la leggenda e ci viene in soccorso lo storico. Prima di dare una risposta dobbiamo tuttavia chiarire chi fosse il prete Giulio, e cosa ci facesse un greco nativo dell’isola di Egina sul nostro lago. Una risposta ce la fornisce la stessa leggenda della vita del santo… A proposito, sai perché si chiama “leggenda”?»
«Ehm, a dire il vero…»
«Si vede che il latino non è il tuo forte!» ride. «Leggenda vuol dire che è da leggere! Erano storie delle vite dei santi che erano lette a scopo, potremmo dire, didattico educativo. La leggenda della vita del santo Giulio è piuttosto antica, anche se i manoscritti più antichi sono posteriori al 1066. Vi si trova infatti un riferimento all’uccisione del diacono Arialdo, che in quell’anno fu trucidato sull’isolino Partegora, di fronte ad Angera. Nuclei della leggenda sono però ritenuti più antichi e dovrebbero risalire al VI-VII secolo. Orbene, ascolta questo passaggio, tratto da un vecchio codice del XIII secolo. I due fratelli si sono presentati di fronte al cattolicissimo imperatore Teodosio, che a quei tempi risiedeva nell’Istria e aveva imposto per legge che tutti i sudditi dell’impero diventassero cristiani, vietando ogni forma di culto dei pagani. Lì sono accolti con rispetto dal Imperatore, che ritenendoli due esuli perseguitati domanda loro cosa desiderino, pronto a rendere loro giustizia. Ascolta cosa chiedono invece.»
Con uno dei suoi guizzi improvvisi il Maestro afferra un librettino dedicato a San Giulio Prete, edito dal Monastero Benedettino dell’isola nel 1986, aprendolo alla pagina 22.
«“Ci occorre l’appoggio delle sacre credenziali della tua clemenza e queste ti chiediamo, perché con la loro autorità, ci sia permesso distruggere tutti i simulacri profani del tuo regno, tagliare i boschi sacri e dare alle fiamme le loro are e i loro templi. In tal modo, eliminati e distrutti questi, possiamo erigere edifici consacrati a Cristo Signore, dedicarvi altari e in essi immergere nelle sacre acque battesimali le popolazioni ristorate dalla rugiada della dottrina… In questo modo noi combattiamo per la purezza della fede e tu realizzi i tuoi santi propositi.”»
Il Maestro mi indirizza uno sguardo di trionfo, prima di riprendere la lettura.
«L’imperatore, pieno di gioia, disse loro: “Vi do, secondo la vostra richiesta, le sacre lettere in modo che i patrizi, i capi dei soldati, i tribuni, i centurioni e tutti coloro che sono costituiti in autorità, obbediscano per mio ordine alle vostre parole. Il popolo conformemente a quanto voi avete stabilito vi presti aiuto con degna obbedienza e i prepositi collaborino con voi perché la santa Chiesa si moltiplichi e cresca per opera vostra. E chiunque dei nostri, disprezzando il comando, si sottrarrà alle disposizioni che abbiamo opportunamente stabilite, subirà la pena capitale.”»
Il Maestro richiude il libretto e tira una lunga boccata di tossine, prima di riprendere a parlare.
«Agli occhi dei primi cristiani gli dei pagani altro non erano se non demoni da combattere con ogni mezzo. E un tempio pagano era un’anticamera dell’inferno, da abbattere e distruggere. Se guardiamo il percorso compiuto dai due fratelli, troviamo che le loro non erano solo vuote parole. Giunti nel Lazio, dapprima si fermano nella località chiamata “Aquae Salviae”, a cinque miglia da Roma, dove, tra gli altri miracoli, mettono in fuga i demoni. Giunti in Lombardia, a Brebbia distruggono il santuario di Minerva, connesso alle sorgenti sacre. Poi si spostano ad Angera, dove esisteva un antro dedicato al dio Mitra, ma se ne vanno in gran fretta. Secondo la leggenda per aver previsto il martirio di Arialdo. Per non fare una brutta fine sospetto io. Negli stessi anni infatti alcuni missionari cristiani vennero trucidati dagli abitanti della Val di Non, inferociti perché questi stavano abbattendo i loro idoli. Se consideriamo che Mitra era sacro ai soldati, che Angera era sede della flotta romana del Verbano e che i militari dell’epoca erano per lo più barbari dal gladio facile, si intuisce che un pericolo potesse effettivamente esserci.»
La mano del Maestro passa davanti al collo, con un rapido gesto.
«Dopo di che i due fratelli giungono sul lago d’Orta e costruiscono a Gaudianum, l’odierna Gozzano, la loro novantanovesima chiesa, quello che è attualmente l’oratorio di San Lorenzo. Gli scavi compiuti all’interno della chiesa hanno evidenziato la presenza di iscrizioni celtiche e tombe romane, per ciò è probabile che nelle vicinanze del villaggio ci fosse qualche area sacra. Infine Giulio si sposta sull’isola per costruire la centesima chiesa, dove intende porre anche la sua tomba. Ti pare che avrebbe scelto uno scoglio disabitato e insignificante?»
«In effetti mi sembra improbabile» ammetto.
«Gli scavi archeologici hanno dimostrato» riprende il Maestro «che l’isola fu frequentata dal neolitico fino a tutta l’età del ferro. Non vi sono state rinvenute tracce di un’occupazione in età romana, salvo un’epigrafe che vi fu portata nell’alto medioevo come pietra di recupero. La cosa del resto è comprensibile. Durante l’età preistorica l’isola era certamente un ottimo posto per insediarsi, essendo ben difeso naturalmente e al centro di un lago pescoso. In età romana è probabile che l’isola, come molti altri centri preromani, sia stata abbandonata dalla popolazione a favore di nuovi villaggi costruiti lungo le strade principali. Ora, questa è solo un’ipotesi, ma non è così peregrina, è possibile che il luogo dell’antico insediamento sia diventato un luogo sacro, in quanto era stata la dimora degli antenati. Oltretutto, nella religiosità delle popolazioni indigene, che non dimentichiamocelo erano di stirpe celtica per quanto romanizzati, un’isola con un bosco, al centro di un lago dalle acque sorgive, offriva gli elementi ideali per essere considerata un santuario. Essi infatti adoravano le divinità nei boschi, accanto alle sorgenti e sulle isole. Non dimentichiamoci che il santuario principale dei druidi delle isole britanniche si trovava sulla piccola isola di Mona.»
«A quali divinità potrebbe essere stato dedicato un simile santuario?» domando incuriosito.
«Questo è impossibile dirlo» sbuffa il Maestro «in assenza di testimonianze archeologiche. È però interessante notare che nel Novarese era particolarmente sentito il culto di Mercurio e delle Matrone. Lo sappiamo da numerosi ritrovamenti archeologici. Si tratta di divinità celtiche, di cui ignoriamo il nome originale, che vennero romanizzate ma conservarono molti degli attributi indigeni. È interessante il fatto che sia le Matrone che Mercurio, dio dei commerci e secondo Cesare principale divinità dei Galli, nella Gallia Cisalpina (quindi anche dalle nostre parti) sono quasi sempre associati ai culti delle acque. Infine, ma questo forse è solo un caso, il simbolo di Mercurio è il Caduceo, un bastone attorno a cui sono arrotolati due serpenti o, meglio, due piccoli draghi.»
I draghi del Lago d'Orta
Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta
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