Eterna, Santa, Città per eccellenza, la città che ho deciso di visitare è oltre la leggenda . Le sue stesse origini provocano un senso di vertigine per quanto affondano nella storia.
Fondata da uomini leggendari, discendenti da un eroe figlio di una divinità mitologica, nato in una città il cui nome era già mito quando venne inventata l’epica, si comprende come per secoli gli uomini abbiano osannato, invocato e maledetto il nome di Roma.
Capitale di un Impero, di una Chiesa, di una Nazione, Roma non può infatti che suscitare sentimenti forti, come l’amore (forse perché, notoriamente, il suo nome anagrammato suona “amor”?) e l’odio.
“Odio e amo”, cantava un Gallo romanizzato o forse, meglio, un Romano di origine gallica divenuto poeta dentro le sue mura. I versi di Catullo erano dedicati ad una nobildonna di facili costumi, ma avrebbero potuto essere dedicati alla stessa Roma che lo accolse tra le sue braccia, ma non l’amò mai fino in fondo.
Nel nome di Roma legioni di ferrei soldati estesero i suoi confini dall’Atlantico al Golfo Persico, dalla Scozia all’Arabia. Un impero immenso e millenario, creato dal gladio e tenuto insieme dalla legge. Per secoli Roma fu, semplicemente, lo Stato. Al di fuori del suo Ordine non c’era altro se non il Caos. Questo fu il mito di Roma, un mito che sopravvisse a lungo alla caduta del suo impero.
Inseguendo questo mito il grande Re Franco Carlo volle essere incoronato Imperatore del risorto Sacro Romano Impero proprio nell’Urbe. Quello di Carlo Magno non fu il caduco sogno visionario di un pazzo: molti imperatori gli successero per secoli. E non dimentichiamo che, contemporaneamente, a Bizanzio un imperatore romano governò fino al 1453; a Mosca, la terza Roma, un Cesare (Czar) regnò fino al 1917.
Roma, come ho detto, si poteva e si può anche odiare, come fecero Annibale, Calgaco, Boudicca, Zenobia, Mitridate, Arminio e i tanti che giurarono di abbattere il potere della città, che chiamava “pace” il deserto lasciato dalle sue armate. “Grande meretrice che siede sopra le sette teste della bestia” è detta nell’Apocalisse. Ben misera ingiuria suona, al confronto, il “Roma ladrona” di oggi.
I popoli che premevano alle frontiere dell’impero odiavano Roma, ma al tempo stesso, come spasimanti respinti, l’ammiravano e la desideravano. Quando decine migliaia di Visigoti e altri guerrieri germanici, ne scalarono le mura nel millecentosessantatreesimo anno dalla sua fondazione, il loro fu come la violenza ai danni di un’antica nobildonna, a lungo desiderata.
Per conquistare Roma si poteva uccidere, ma anche morire per difenderla. Come fece la guardia svizzera del Papa Re nel 1527, resistendo fino all’ultimo uomo contro i lanzichenecchi protestanti del cattolicissimo Imperatore Carlo V.
“O Roma o morte” giuravano i patrioti con Garibaldi. Non erano vuote parole gridate al vento, quelle, perché in molti caddero veramente sotto il fuoco nemico. Come quel Goffredo Mameli cui dobbiamo l’Inno nazionale. Roma capitale fu una chimera a lungo accarezzata dai giovani, per lo più lombardi e piemontesi, di un’intera generazione; un sogno che si avverò quando i bersaglieri aprirono una breccia nelle mura, vicino a Porta Pia, il 20 settembre 1870. Quel giorno i soldati liberarono il Papa dal pesante fardello di un Regno terreno e lui, invece di offrire l’altra guancia, li fulminò con la scomunica, chiudendo loro le porte del Regno celeste.
Tra quei “maledetti” c’era anche un ottonaio cusiano, un soldato di leva che si trovò, non sappiamo con quanta convinzione, a partecipare a quel fatto storico. Proprio il desiderio di seguire le tracce dei molti cusiani giunti a Roma nelle varie epoche, mi ha spinto a compiere questo viaggio.
A Roma ho trovato antichi misteri, come gli archivi del Santo Uffizio, più inaccessibili di quelli del KGB, e nuovi segreti, sepolti nei Ministeri sonnacchiosi e nei tanti “Porti delle Nebbie” dove i fascicoli sovente scompaiono, occultati da qualche invisibile “manina”.
Ho ammirato i fasti del mito antico e ho riso delle leggende moderne, come quella che vuole i romani scansafatiche e arguti. Una leggenda, certamente; con un fondo di verità, probabilmente, come dimostra il cartello che ho messo in apertura, fotografato dall’amica Sara, che ringrazio per la cortesia.
Di Sara torneremo a parlare, perché a Roma, lo anticipo oggi, ma lo spiegherò meglio dopodomani, ho incontrato anche tanti amici e amiche blogger…
1. Amor Romae
2. Viaggio a Roma
3. Vacanze romane
Fondata da uomini leggendari, discendenti da un eroe figlio di una divinità mitologica, nato in una città il cui nome era già mito quando venne inventata l’epica, si comprende come per secoli gli uomini abbiano osannato, invocato e maledetto il nome di Roma.
Capitale di un Impero, di una Chiesa, di una Nazione, Roma non può infatti che suscitare sentimenti forti, come l’amore (forse perché, notoriamente, il suo nome anagrammato suona “amor”?) e l’odio.
“Odio e amo”, cantava un Gallo romanizzato o forse, meglio, un Romano di origine gallica divenuto poeta dentro le sue mura. I versi di Catullo erano dedicati ad una nobildonna di facili costumi, ma avrebbero potuto essere dedicati alla stessa Roma che lo accolse tra le sue braccia, ma non l’amò mai fino in fondo.
Nel nome di Roma legioni di ferrei soldati estesero i suoi confini dall’Atlantico al Golfo Persico, dalla Scozia all’Arabia. Un impero immenso e millenario, creato dal gladio e tenuto insieme dalla legge. Per secoli Roma fu, semplicemente, lo Stato. Al di fuori del suo Ordine non c’era altro se non il Caos. Questo fu il mito di Roma, un mito che sopravvisse a lungo alla caduta del suo impero.
Inseguendo questo mito il grande Re Franco Carlo volle essere incoronato Imperatore del risorto Sacro Romano Impero proprio nell’Urbe. Quello di Carlo Magno non fu il caduco sogno visionario di un pazzo: molti imperatori gli successero per secoli. E non dimentichiamo che, contemporaneamente, a Bizanzio un imperatore romano governò fino al 1453; a Mosca, la terza Roma, un Cesare (Czar) regnò fino al 1917.
Roma, come ho detto, si poteva e si può anche odiare, come fecero Annibale, Calgaco, Boudicca, Zenobia, Mitridate, Arminio e i tanti che giurarono di abbattere il potere della città, che chiamava “pace” il deserto lasciato dalle sue armate. “Grande meretrice che siede sopra le sette teste della bestia” è detta nell’Apocalisse. Ben misera ingiuria suona, al confronto, il “Roma ladrona” di oggi.
I popoli che premevano alle frontiere dell’impero odiavano Roma, ma al tempo stesso, come spasimanti respinti, l’ammiravano e la desideravano. Quando decine migliaia di Visigoti e altri guerrieri germanici, ne scalarono le mura nel millecentosessantatreesimo anno dalla sua fondazione, il loro fu come la violenza ai danni di un’antica nobildonna, a lungo desiderata.
Per conquistare Roma si poteva uccidere, ma anche morire per difenderla. Come fece la guardia svizzera del Papa Re nel 1527, resistendo fino all’ultimo uomo contro i lanzichenecchi protestanti del cattolicissimo Imperatore Carlo V.
“O Roma o morte” giuravano i patrioti con Garibaldi. Non erano vuote parole gridate al vento, quelle, perché in molti caddero veramente sotto il fuoco nemico. Come quel Goffredo Mameli cui dobbiamo l’Inno nazionale. Roma capitale fu una chimera a lungo accarezzata dai giovani, per lo più lombardi e piemontesi, di un’intera generazione; un sogno che si avverò quando i bersaglieri aprirono una breccia nelle mura, vicino a Porta Pia, il 20 settembre 1870. Quel giorno i soldati liberarono il Papa dal pesante fardello di un Regno terreno e lui, invece di offrire l’altra guancia, li fulminò con la scomunica, chiudendo loro le porte del Regno celeste.
Tra quei “maledetti” c’era anche un ottonaio cusiano, un soldato di leva che si trovò, non sappiamo con quanta convinzione, a partecipare a quel fatto storico. Proprio il desiderio di seguire le tracce dei molti cusiani giunti a Roma nelle varie epoche, mi ha spinto a compiere questo viaggio.
A Roma ho trovato antichi misteri, come gli archivi del Santo Uffizio, più inaccessibili di quelli del KGB, e nuovi segreti, sepolti nei Ministeri sonnacchiosi e nei tanti “Porti delle Nebbie” dove i fascicoli sovente scompaiono, occultati da qualche invisibile “manina”.
Ho ammirato i fasti del mito antico e ho riso delle leggende moderne, come quella che vuole i romani scansafatiche e arguti. Una leggenda, certamente; con un fondo di verità, probabilmente, come dimostra il cartello che ho messo in apertura, fotografato dall’amica Sara, che ringrazio per la cortesia.
Di Sara torneremo a parlare, perché a Roma, lo anticipo oggi, ma lo spiegherò meglio dopodomani, ho incontrato anche tanti amici e amiche blogger…
1. Amor Romae
2. Viaggio a Roma
3. Vacanze romane
Ero venuta a trovarti per ringraziarti di avere linkato il mio blog...ma ora sento di doverlo fare anche per il bellissimo post che hai dedicato alla mia città!
RispondiEliminaTi auguro di passare ore felici a Roma e, (come potrei non farlo?) ti consiglio di andare a vedere la Porta Magica di Piazza Vittorio....
Stefalga
Allora ci avevo azzeccato! Ah Roma una città che amo infinitamente... e d'altro canto come si può non amarla?
RispondiEliminache bel post! non ci avevo pensato a questa città.... pensavo fosse scontata... ma tutti , prima o poi, passano dalla capitale... eheheheh
RispondiEliminaanch'io sono andata a Roma in terza media è stato bello se non fosse stato per la pioggia!
RispondiEliminaAhhhh, Roma... Roma... Roma...
RispondiElimina... la mia città! Ahò....
;-)
... e da romana, non potevo non passare.. e congratularmi per le belle parole spese per la mia amata città :)
RispondiEliminae grazie anche per l'omaggio fotografico :)
Amor e odio: questo è Roma anche oggi.. tutti la criticano (da lontano).. tutti la bramano.. poi basta sedersi un istante.. sul selciato di 2000 anni fa... ed osservare senza parole il Colosseo... e tutto tace... tutto scompare.. perchè Roma è Roma :)
grazie :)
@ Stefalga: grazie e benvenuta.
RispondiElimina@ Tarkan: stavolta sì!
@ Pupottina: eh sì.
@ Terry: Roma è bella anche sotto la pioggia.
@ Silvia: ;)
@ SaDiCa: grazie a te.