Un punto, nel pieno del maccartismo, suonava particolarmente grave: il possibile movente.
Holohan, cattolico e anticomunista convinto, non avrebbe inteso rifornire di armi le formazioni partigiane comuniste, in quanto temeva che avrebbero utilizzato le armi per organizzare un colpo di stato dopo la guerra. Questa sua determinazione era rafforzata dalla buona intesa con “Giorgio” il capo del SIP, che lavorava invece per accrescere il ruolo politico delle formazioni partigiane di ispirazione democristiana.
Il sospetto che l’eliminazione di Holohan fosse stata decisa per favorire i partigiani comunisti rischiava pertanto di diventare il principale capo di accusa contro Icardi e poteva condurlo alla rovina qualunque fosse stato l'esito del processo.
A rafforzare questa idea stavano anche le iniziali dichiarazioni di LoDolce (poi smentite), secondo cui Holohan sarebbe stato assassinato a causa di una disputa sorta proprio sulla questione se rifornire o meno i comunisti.
Come se non bastasse, Vincenzo "Cino" Moscatelli, il famoso comandante delle formazioni garibaldine della Valsesia, aveva dichiarato al corrispondente romano di True che Holohan aveva “un atteggiamento anticomunista” mentre Icardi era un “valente soldato che aveva aiutato grandemente la lotta contro i tedeschi”. Si noti che Holohan aveva incontrato Moscatelli, proprio per discutere dei lanci di rifornimento, il 2 dicembre 1944, quattro giorni prima di essere ucciso.
Oltre tutto negli stessi anni il fratello del maggiore, Joseph Holahan, continuava la sua battaglia per la giustizia. Su sua sollecitazione, nel marzo del 1953, Icardi venne interrogato da una Sottocomissione per le Forze Armate della Commissione Difesa guidata da W. Sterling Cole.
Icardi giurò di essere estraneo all’omicidio di Holohan e ciò, dopo la condanna definitiva in Italia, venne giudicato sufficiente per istruire un processo per falsa testimonianza e spergiuro. L’accusa stilò anche una lista di 17 testimoni italiani.
Quando il processo iniziò, la posizione di Icardi pareva disperata.
Holohan, cattolico e anticomunista convinto, non avrebbe inteso rifornire di armi le formazioni partigiane comuniste, in quanto temeva che avrebbero utilizzato le armi per organizzare un colpo di stato dopo la guerra. Questa sua determinazione era rafforzata dalla buona intesa con “Giorgio” il capo del SIP, che lavorava invece per accrescere il ruolo politico delle formazioni partigiane di ispirazione democristiana.
Il sospetto che l’eliminazione di Holohan fosse stata decisa per favorire i partigiani comunisti rischiava pertanto di diventare il principale capo di accusa contro Icardi e poteva condurlo alla rovina qualunque fosse stato l'esito del processo.
A rafforzare questa idea stavano anche le iniziali dichiarazioni di LoDolce (poi smentite), secondo cui Holohan sarebbe stato assassinato a causa di una disputa sorta proprio sulla questione se rifornire o meno i comunisti.
Come se non bastasse, Vincenzo "Cino" Moscatelli, il famoso comandante delle formazioni garibaldine della Valsesia, aveva dichiarato al corrispondente romano di True che Holohan aveva “un atteggiamento anticomunista” mentre Icardi era un “valente soldato che aveva aiutato grandemente la lotta contro i tedeschi”. Si noti che Holohan aveva incontrato Moscatelli, proprio per discutere dei lanci di rifornimento, il 2 dicembre 1944, quattro giorni prima di essere ucciso.
Oltre tutto negli stessi anni il fratello del maggiore, Joseph Holahan, continuava la sua battaglia per la giustizia. Su sua sollecitazione, nel marzo del 1953, Icardi venne interrogato da una Sottocomissione per le Forze Armate della Commissione Difesa guidata da W. Sterling Cole.
Icardi giurò di essere estraneo all’omicidio di Holohan e ciò, dopo la condanna definitiva in Italia, venne giudicato sufficiente per istruire un processo per falsa testimonianza e spergiuro. L’accusa stilò anche una lista di 17 testimoni italiani.
Quando il processo iniziò, la posizione di Icardi pareva disperata.
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