Correva l’anno 1551 e quel 14 aprile una lunga teoria di uomini e animali saliva da Rimella verso la Colma, trasportando molti preti e un Monsignore dalla Valsesia verso il Cusio.
Monsignor Ubertino Serazio si trovava a reggere la Diocesi di Novara, di cui non era Vescovo; ed era Vescovo di Cirene, una città che in realtà non aveva mai visto, essendone Vescovo in partibus infidelium. La città era infatti, da secoli, in mano mussulmana.
In quel viaggio disagiato, il Monsignore si trovava a dover scegliere se restare a bordo della portantina, ed essere sballottato a destra e manca come nemmeno in mare aperto, ovvero camminare su quella salita che faceva penare persino i muli. Non sappiamo quali fossero i suoi pensieri in quel frangente, ma è probabile che almeno uno sia andato alla persona che stava sostituendo.
Il Cardinale Ippolito d'Este, Vescovo, o meglio Amministratore Apostolico della Diocesi di Novara in quel momento era, come si dice in questi casi, in tutt’altre faccende affaccendato. Il Cardinale si era infatti speso molto negli anni precedenti per una nobile e giusta causa: consentire al Cardinale Giovanni Maria Ciocchi del Monte di prevalere sui candidati delle tre fazioni rivali e salire al soglio pontificio con il nome di Paolo III.
Il Conclave era durato così a lungo ed era stato così aspro che ben due dei 54 cardinali partecipanti erano morti durante le operazioni di voto. Il nuovo Pontefice, eletto nonostante non fosse gradito all’Imperatore Carlo V, si mostrò comprensibilmente grato ai suoi sostenitori, e li ricompensò ampiamente per la loro abnegazione.
Ippolito, figlio di Alfonso I d’Este e di Lucrezia Borgia, Arcivescovo di Milano dalla tenera età di dieci anni in successione allo zio omonimo, aveva giocato un ruolo fondamentale per favorire l’elezione. In dono ebbe così Tivoli, dove prontamente andò ad alloggiare, insediandosi nel convento dei francescani. Da qui scrisse al fratello lodando gli effetti benefici del clima sulla sua salute.
Dopo di che decise di migliorare ulteriormente quel luogo meraviglioso. Così si diede a trasformare l’austero monastero in una villa, che poi provvide a circondare di giardini. Già che c’era promosse anche degli scavi archeologici per abbellire il palazzo con gli arredi rinvenuti tra le rovine della vicina Villa dell’Imperatore Adriano.
Si comprende facilmente come il Cardinale non avesse certo il tempo di arrampicarsi sulle pendici delle Alpi per predicare a dei montanari che, anche spremuti come olive, non avrebbero potuto produrre che qualche formaggio e poche monetine d’oro.
Non sappiamo cosa sapesse e cosa pensasse di tutto ciò Monsignor Serazio che, dopo aver terminato la visita pastorale a Rimella, si accingeva a visitare, secondo quanto prescritto dal Concilio di Trento, le comunità cristiane della Valle Strona, dall’altra parte delle montagne. Sappiamo però che ciò che vide lo sorprese non poco.
A metà strada tra Rimella e il valico vide infatti alcune persone attorno ad un rudimentale catafalco, su cui stava… un morto. Sorpreso il Monsignore li interrogò su chi fossero e cosa stessero facendo in quel posto e con quel carico.
Gli uomini più anziani, togliendosi il cappello, risposero nel loro linguaggio, un misto di italiano e dialetto alemannico.
Signorsì erano pastori della piccola comunità walser di Kampel, situata in cima alla Valle Strona.
Signornò, il morto non era defunto nei paraggi, ma nel paese di Kampel.
Signorsì, era loro consuetudine, da buoni cristiani quali erano, seppellire i morti in terra consacrata, ma a Kampel non c’erano né cimitero, né chiesa, così si recavano a Rimella, da dove erano partiti i loro antenati circa duecento anni prima, per dargli sepoltura.
Signorsì, portavano sempre i morti in spalla, ma avevano costruito dei catafalchi, delle “pose dei morti” lungo il percorso, per poter sostare e riposare un poco, prima di riprendere la marcia.
Signornò, non andavano sempre a Rimella. D’inverno la strada era impercorribile, così mettevano i morti sotto la neve e aspettavano che la primavera permettesse il cammino…
Commosso da quelle parole (forse dentro di sé il Monsignore si vergognò un po’ di essersi lamentato per le scomoditò di quel viaggio, che erano nulla in confronto alle fatiche continue di quei poveri cristiani) li esortò a fare marcia indietro fino a Kampel, perché da quel giorno non avrebbero più dovuto andare a Rimella per seppellire i morti.
Una settimana dopo Monsignor Ubertino Serazio – Vescovo in partibus di Cirene, ausiliare del cardinale Ippolito d'Este, Vescovo di Novara – benedisse un piccolo campo vicino al torrente, facendo il nuovo cimitero. Poi benedisse anche una cappelletta, che divenne la prima chiesa di Campello.
Da allora i Campellesi smisero di portare a spalla i loro morti a Rimella.
Monsignor Ubertino Serazio si trovava a reggere la Diocesi di Novara, di cui non era Vescovo; ed era Vescovo di Cirene, una città che in realtà non aveva mai visto, essendone Vescovo in partibus infidelium. La città era infatti, da secoli, in mano mussulmana.
In quel viaggio disagiato, il Monsignore si trovava a dover scegliere se restare a bordo della portantina, ed essere sballottato a destra e manca come nemmeno in mare aperto, ovvero camminare su quella salita che faceva penare persino i muli. Non sappiamo quali fossero i suoi pensieri in quel frangente, ma è probabile che almeno uno sia andato alla persona che stava sostituendo.
Il Cardinale Ippolito d'Este, Vescovo, o meglio Amministratore Apostolico della Diocesi di Novara in quel momento era, come si dice in questi casi, in tutt’altre faccende affaccendato. Il Cardinale si era infatti speso molto negli anni precedenti per una nobile e giusta causa: consentire al Cardinale Giovanni Maria Ciocchi del Monte di prevalere sui candidati delle tre fazioni rivali e salire al soglio pontificio con il nome di Paolo III.
Il Conclave era durato così a lungo ed era stato così aspro che ben due dei 54 cardinali partecipanti erano morti durante le operazioni di voto. Il nuovo Pontefice, eletto nonostante non fosse gradito all’Imperatore Carlo V, si mostrò comprensibilmente grato ai suoi sostenitori, e li ricompensò ampiamente per la loro abnegazione.
Ippolito, figlio di Alfonso I d’Este e di Lucrezia Borgia, Arcivescovo di Milano dalla tenera età di dieci anni in successione allo zio omonimo, aveva giocato un ruolo fondamentale per favorire l’elezione. In dono ebbe così Tivoli, dove prontamente andò ad alloggiare, insediandosi nel convento dei francescani. Da qui scrisse al fratello lodando gli effetti benefici del clima sulla sua salute.
Dopo di che decise di migliorare ulteriormente quel luogo meraviglioso. Così si diede a trasformare l’austero monastero in una villa, che poi provvide a circondare di giardini. Già che c’era promosse anche degli scavi archeologici per abbellire il palazzo con gli arredi rinvenuti tra le rovine della vicina Villa dell’Imperatore Adriano.
Si comprende facilmente come il Cardinale non avesse certo il tempo di arrampicarsi sulle pendici delle Alpi per predicare a dei montanari che, anche spremuti come olive, non avrebbero potuto produrre che qualche formaggio e poche monetine d’oro.
Non sappiamo cosa sapesse e cosa pensasse di tutto ciò Monsignor Serazio che, dopo aver terminato la visita pastorale a Rimella, si accingeva a visitare, secondo quanto prescritto dal Concilio di Trento, le comunità cristiane della Valle Strona, dall’altra parte delle montagne. Sappiamo però che ciò che vide lo sorprese non poco.
A metà strada tra Rimella e il valico vide infatti alcune persone attorno ad un rudimentale catafalco, su cui stava… un morto. Sorpreso il Monsignore li interrogò su chi fossero e cosa stessero facendo in quel posto e con quel carico.
Gli uomini più anziani, togliendosi il cappello, risposero nel loro linguaggio, un misto di italiano e dialetto alemannico.
Signorsì erano pastori della piccola comunità walser di Kampel, situata in cima alla Valle Strona.
Signornò, il morto non era defunto nei paraggi, ma nel paese di Kampel.
Signorsì, era loro consuetudine, da buoni cristiani quali erano, seppellire i morti in terra consacrata, ma a Kampel non c’erano né cimitero, né chiesa, così si recavano a Rimella, da dove erano partiti i loro antenati circa duecento anni prima, per dargli sepoltura.
Signorsì, portavano sempre i morti in spalla, ma avevano costruito dei catafalchi, delle “pose dei morti” lungo il percorso, per poter sostare e riposare un poco, prima di riprendere la marcia.
Signornò, non andavano sempre a Rimella. D’inverno la strada era impercorribile, così mettevano i morti sotto la neve e aspettavano che la primavera permettesse il cammino…
Commosso da quelle parole (forse dentro di sé il Monsignore si vergognò un po’ di essersi lamentato per le scomoditò di quel viaggio, che erano nulla in confronto alle fatiche continue di quei poveri cristiani) li esortò a fare marcia indietro fino a Kampel, perché da quel giorno non avrebbero più dovuto andare a Rimella per seppellire i morti.
Una settimana dopo Monsignor Ubertino Serazio – Vescovo in partibus di Cirene, ausiliare del cardinale Ippolito d'Este, Vescovo di Novara – benedisse un piccolo campo vicino al torrente, facendo il nuovo cimitero. Poi benedisse anche una cappelletta, che divenne la prima chiesa di Campello.
Da allora i Campellesi smisero di portare a spalla i loro morti a Rimella.
Nessun commento:
Posta un commento
Lasciate una traccia del vostro passaggio, come un'onda sulle acque del Lago dei Misteri...