«Vi giuro che l’ho vista!» il volto di Caronte avvampa di rossore. «La seconda isola esiste!»
Leggo sul volto del Filosofo la mia stessa espressione. Ci mettiamo comodi e sorseggiamo le nostra bevanda. Un bianco lui, un analcolico io. Non ho idea di cosa ci sia nel bicchiere di Caronte e francamente non so se ho voglia di scoprirlo…
«Era la fine di ottobre. Ne sono certo, perché ero andato sull’isola per la messa di suffragio del Gino. Non che il Gino ci andasse molto in chiesa, ma questo non ha importanza, credo…
Bene, sono venuto via prima, da solo, con la Carolina, la mia barca, perché dovevo fare un servizio.
Dopo pochi metri si era alzata la nebbia e non si vedeva più nulla. Nulla vi dico. Riuscivo a malapena a vedere l’acqua sotto lo scafo e a volte neanche quella, perché ormai si faceva buio. Ho provato a chiamare, ma non si sentivano più nemmeno i rumori.
Ero assurdamente perso in un lago largo un chilometro e mezzo. Ho pensato che forse stavo andando a nord, verso Omegna, o a sud verso Gozzano…
Fu allora che vidi le luci. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi da quella parte. Le luci erano tremolanti e sembravano precedermi. Pensai fosse una processione di barche, così mi accodai, finché vidi molte luci davanti a me. Riconobbi la sagoma dell’isola o almeno così mi parve. Riuscivo a vedere molte persone con delle torce in mano.
Pensando che stessero cercando me stavo per dare loro la voce, quando la nebbia cominciò a diradarsi.
Non erano torce quelle che ardevano nella nebbia. Erano le dita delle loro mani a bruciare!
Osservai impietrito le orbite vuote e le bocche aperte in un urlo silenzioso finché non vidi il Gino, meglio conservato degli altri, che mi faceva cenno di andarmene, disegnando segni di fuoco con le mani.
Allora virai di colpo, mettendo al massimo il motore della Carolina, guardandomi indietro di continuo per vedere se mi stessero seguendo.
Infine, non so come, riuscii a raggiungere Orta.
Leggo sul volto del Filosofo la mia stessa espressione. Ci mettiamo comodi e sorseggiamo le nostra bevanda. Un bianco lui, un analcolico io. Non ho idea di cosa ci sia nel bicchiere di Caronte e francamente non so se ho voglia di scoprirlo…
«Era la fine di ottobre. Ne sono certo, perché ero andato sull’isola per la messa di suffragio del Gino. Non che il Gino ci andasse molto in chiesa, ma questo non ha importanza, credo…
Bene, sono venuto via prima, da solo, con la Carolina, la mia barca, perché dovevo fare un servizio.
Dopo pochi metri si era alzata la nebbia e non si vedeva più nulla. Nulla vi dico. Riuscivo a malapena a vedere l’acqua sotto lo scafo e a volte neanche quella, perché ormai si faceva buio. Ho provato a chiamare, ma non si sentivano più nemmeno i rumori.
Ero assurdamente perso in un lago largo un chilometro e mezzo. Ho pensato che forse stavo andando a nord, verso Omegna, o a sud verso Gozzano…
Fu allora che vidi le luci. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi da quella parte. Le luci erano tremolanti e sembravano precedermi. Pensai fosse una processione di barche, così mi accodai, finché vidi molte luci davanti a me. Riconobbi la sagoma dell’isola o almeno così mi parve. Riuscivo a vedere molte persone con delle torce in mano.
Pensando che stessero cercando me stavo per dare loro la voce, quando la nebbia cominciò a diradarsi.
Non erano torce quelle che ardevano nella nebbia. Erano le dita delle loro mani a bruciare!
Osservai impietrito le orbite vuote e le bocche aperte in un urlo silenzioso finché non vidi il Gino, meglio conservato degli altri, che mi faceva cenno di andarmene, disegnando segni di fuoco con le mani.
Allora virai di colpo, mettendo al massimo il motore della Carolina, guardandomi indietro di continuo per vedere se mi stessero seguendo.
Infine, non so come, riuscii a raggiungere Orta.
Questa cosa delle dita infuocate mi fa tornare in mente qualcosa di non ben definito, qualcosa che si trova tra gli anfratti del mio cervello (non molto vasto)... se solo riuscissi a ricordare cosa...
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