Come nasce una leggenda?
Esiste una versione “originale”, “autentica” della leggenda?
È molto difficile dare risposte a queste domande.
In questo blog non si tenta nemmeno una ricostruzione “filologica” delle leggende. Sarebbe un’impresa impari per le modeste forze dello scrivano e, forse, sarebbe uno sforzo comunque vano.
Una leggenda è qualcosa di etereo, di cangiante, di mutevole. Passa di bocca in bocca senza che nessuno si preoccupi di accertarne, indicarne, riportarne la fonte. Le versioni cambiano, arricchendosi di nuovi dettagli e perdendone altri, a secondo della fantasia del narratore e dell’attenzione degli ascoltatori.
Quello che importa, del resto, è la storia, non le parole con cui è narrata. Ognuno se ne appropria, la fa sua e la trasmette agli altri, cercando di trasmettere con essa un’emozione: meraviglia, paura, commozione, passione, ilarità…
Sotto l’etichetta “leggende” trovate delle storie che qualcuno ha raccontato per la prima volta molto tempo fa. Prima che qualcun altro si prendesse la briga d’inventare il diritto d’autore. Perché a quei tempi, come ai tempi di Omero, il prezzo di una buona storia era, al massimo, un pezzo di carne e un bicchiere di buon vino.
Esiste una versione “originale”, “autentica” della leggenda?
È molto difficile dare risposte a queste domande.
In questo blog non si tenta nemmeno una ricostruzione “filologica” delle leggende. Sarebbe un’impresa impari per le modeste forze dello scrivano e, forse, sarebbe uno sforzo comunque vano.
Una leggenda è qualcosa di etereo, di cangiante, di mutevole. Passa di bocca in bocca senza che nessuno si preoccupi di accertarne, indicarne, riportarne la fonte. Le versioni cambiano, arricchendosi di nuovi dettagli e perdendone altri, a secondo della fantasia del narratore e dell’attenzione degli ascoltatori.
Quello che importa, del resto, è la storia, non le parole con cui è narrata. Ognuno se ne appropria, la fa sua e la trasmette agli altri, cercando di trasmettere con essa un’emozione: meraviglia, paura, commozione, passione, ilarità…
Sotto l’etichetta “leggende” trovate delle storie che qualcuno ha raccontato per la prima volta molto tempo fa. Prima che qualcun altro si prendesse la briga d’inventare il diritto d’autore. Perché a quei tempi, come ai tempi di Omero, il prezzo di una buona storia era, al massimo, un pezzo di carne e un bicchiere di buon vino.
Eppure a me piace tanto indagare sull'origine delle leggende, a patto però di riuscire a scindere il cervell in due. Una parte che ragiona da scienziato e una da bimba che ama le storie. Scoprire le possibili realtà dietro una leggenda non deve, insomma, togliermi il piacere semplice della leggend ain sè
RispondiEliminaIn effetti è interessante cercare di scoprire quando possa essere nata una leggenda.
RispondiEliminaMolto però dipende dalle fonti scritte a disposizione, che hanno fissato una certa versione nel tempo.
Se non ricordo male avevi scritto un post in questo senso sul tuo blog, a proposito della leggenda di Artù.
Le leggende, come le canzoni popolari, hanno il grosso merito di non essere prodotti realizzati, impacchettati e finiti: vengono manipolate all'infinito e finiscono per assimilare i paradigmi di comportamento e le credenze che si stratificano lentamente nella cultura dei popoli.
RispondiEliminaI miti, favole e leggende popolari appartengono davvero a tutti i membri di una comunità!
Chissà quante volte inconsciamente ci riferiamo ai loro personaggi mentre riflettiamo su ciò che ci capita :-)
La cosa per molti versi divertente è che anche oggi, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto, nascono cotinuamente leggende.
RispondiEliminaCi sono le incredibili "leggende urbane", ma non mancano persino "leggende nere" come quelle che un tempo portavano la gente a bruciare le donne sui roghi come streghe. Oggi non si brucia più nessuno, ma quando qualcuno viene preso di mira da queste storie rischia comunque di finire male...
Capito su questo blog attratta dai cunicoli, su cui sto sudando da tempo..... Si' per via della mia tesi in psicologia: la faccio breve, insomma vorrei chiedere a qualcuno di voi se non ha mai trovato cose che possano confermare l'idea di un legame archetipico fra cunicolo (o comunque cavità sotterranee in cui ci si può infilare) e tabù della penetrazione.
RispondiEliminaQualsiasi indicazione potrà essermi di grande aiuto...
E complimenti per l'interessante blog!
Ciao Malikà!
RispondiEliminaCertamente esiste un nesso con l'idea archetipa della Madre Terra. Fin dalla preistoria gli uomini si infilavano nei cunicoli e nelle grotte per "lasciare un segno". Poteva essere il puro e semplice segno di una mano, oppure un vero e proprio affresco.
Una teoria, suffragata dagli studi, parla di rituali di iniziazione. Le raffigurazioni preistoriche intendono raffigurare il principio maschile e femminile, incarnati e simboleggiati da figure animali, mentre non c'é nesso con le specie cacciate realmente (non erano rituali propiziatori per la caccia, insomma).
Dal punto di vista psicologico l'esperienza dell'ingresso nelle grotte provoca a molti uno stato di sottile inquietudine e paura, legato all'idea di essere dentro il ventre della terra, con la possibilità di non poterne più uscire.
Questi (detti molto velocemente) sono alcuni aspetti legati all'esplorazione del sottosuolo.
I cunicoli di cui parliamo in questo caso hanno però una valenza aggiuntiva. Collegano dei castelli, dei luoghi fortificati, anche a grandi distanze. E nessuno li ha mai percorsi, se non per poche decine di metri. Sono dei "luoghi segreti" il cui accesso è riservato a degli "iniziati" (i padroni delle fortezze quanto meno).
Grazie, anche per la rapidità!
RispondiEliminaMolti dettagli che mi dai sono interessanti in effetti!
E visto anche che il blog è dedicato alle leggende, vorrei parlare di una davvero molto curiosa (di nuovo, a me serve per le implicazioni che potrebbe avere con l'idea della terra come corpo che è passibile di violazioni, o che si oppone all'accoglimento passivo di un principio che tenta un ingresso).
Dunque: la leggenda riguarderebbe un uccello, descritto come menomato nelle zampe, che scende planando su ampie steppe rocciose e che, al momento di atterrare, letteralmente "rimbalza" al suolo due tre volte emettendo grida che i nomadi delle steppe interpretano come urla di dolore o vere e proprie imprecazioni. Provabilmente, credo io, si tratta non di atterraggi mal riusciti, ovviamente, ma di una particolare tecnica di caccia.
A mio avviso, però, è interessante che l'uomo proietti in questa leggenda il proprio timore di vedersi respinto, offeso, non accolto.
Che ne pensate?
scusate, il commento precedente ovviamente era mio
RispondiEliminaTi riferisci, probabilmente, al Ku - Khan (dal caratteristico grido che emette rimbalzando), uccello dalle zampe cortissime e dai genitali ipertrofici...
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