martedì 26 maggio 2009

Disfida 2 (beta). Due storie Casalesi

Vi propongo due storie che provengono da Casale Corte Cerro, comune composto da numerose frazioni, sovente impegnate a sbeffeggiarsi l’un l’altra. Entrambe le storie sono state raccolte, anni fa, dal Bunin di Casale.


Rimedi sicuri per riavere un bambino

La prima storia racconta la vicenda di una creatura leggendaria, una femmina selvatica, che viveva secondo la tradizione sopra il paese di Casale.


Quante volte le mamme esasperate hanno gridato: «Se non la smetti ti do via e ne prendo un altro!»
Immaginate ora di essere l’altra madre, quella vittima dello scambio…

Un fatto del genere è accaduto molto tempo fa a Casale Corte Cerro. Non mi riferisco, però a uno dei disgraziati casi descritti dalla cronaca nera.
Quel giorno, quando la madre ritornò alla culla quasi svenne vedendo al posto del suo bel bambino un piccolo mostro peloso dalla pelle scura e dura come il cuoio che la fissava con due grandi occhi da selvatico.
Non sapendo cosa fare e sospettando un incantesimo, prese il bambino e corse diritta dal prete. I preti si sa, fanno la “fisica”, la magia dotta. E possono quindi contrastare gli altri incantesimi.
Infatti, quando il prete vide la creatura comprese immediatamente cosa fosse accaduto.
«Ma questo è uno stregoncino! Deve essere il figlio della Cusc...»
Sopra Casale c’era una grotta, presso il luogo ove sorge ora il Getzemani, dove viveva una strana donna. Il suo corpo era peloso e il suo volto aveva poco di umano. Tutti pensavano che fosse una strega e dicevano fosse immortale, perché viveva in quel luogo da tempo immemorabile. Il suo nome era appunto Cusc.
«La Cusc deve aver partorito un piccolo stregoncino» spiegò il prete «ma vedendolo così brutto e peloso ha provato invidia per i bambini teneri e paffuti delle donne. Probabilmente viene a spiarvi mentre andate al riale a lavare i panni. Così, senza essere vista, si è avvicinata alla culla e, rapida come un gatto, ha preso il bambino sostituendolo con il proprio stregoncino.»
«Come posso fare a riavere il mio bambino?» domandò disperata la donna. «Io proprio non riesco a dare il seno a questa bestia e se penso al mio piccolo tra le mani di quella strega…»
«C’è solo una cosa da fare» l’ammonì il prete. «Torna a casa e non dargli nulla da mangiare. Lascia che pianga, finché la Cusc lo senta.»
La donna tornò a casa e fece come il prete le aveva detto. Quando il piccolo incominciò a strillare per la fame, la donna si tappò le orecchie per non sentirlo gridare. Forte, sempre più forte…
Finché la porta si spalancò e la Cusc entrò nella casa. Diede un fagotto con il bambino alla madre e corse alla culla afferrando lo stregoncino. Poi, stringendolo al petto, si dileguò rapidissima su per la montagna.





Inseguendo la luna

Il secondo racconto è ambientato a Montebuglio, luogo da cui si può osservare la luna sorgere da dietro il Mottarone. Anche in questo caso è una storia tradizionale, nata probabilmente per prendere in giro i Montebugliesi, considerati un po’ strani.. Ad ogni buon conto l’inseguire la luna diviene il simbolo della capacità di sognare.
Allora potremmo dire, come Edoardo Bennato (L’isola che non c’è): “E ti prendono in giro / se continui a cercarla / ma non darti per vinto perché / chi ci ha già rinunciato /
e ti ride alle spalle / forse è ancora più pazzo di te!”


Sembrava una normale sera quella sera a Montebuglio. Il piccolo abitato, una frazione di Casale Corte Cerro, vedeva ripetere il solito copione da parte dei frequentatori del circolo. Un bicchiere di vino, una partita a carte, una partita un bicchiere. Questa regola in realtà conosceva diverse varianti. C’era chi beveva un solo bicchiere per più partite e chi, per riequilibrare la media, più bicchieri nella stessa partita.

Ad ogni modo la tranquillità di quella sera venne scossa dall’unico uomo che non stava giocando. Se ne stava, come da un po’ di sere a quella parte, seduto a fissare il Mergozzolo. La montagna, che oggi è più nota come Mottarone, sta proprio di fronte a Montebuglio, dall’altra parte della valle.
«Eccola che sorge!» esclamò l’uomo indicando il bagliore che si alzava da dietro il monte.
«E allora?» rispose un altro che stava giocando. «È la luna che sorge…»
«Come è bella» continuò il primo. «Ed è così vicina che pare di poterla prendere… Basterebbe salire in cima al Mergozzolo.»
«Ma che dici?» rise l’altro. «Mica sta appoggiata sulla montagna!»
«Certo che no! Dovremmo avere delle scale. Delle scale lunghe e delle corde, per poterla legare. Ma si può fare, se solo riusciamo a sorprenderla mentre passa dietro la montagna.»
«Ma va là!» rispose l’altro, che come avrete capito era uno di quegli uomini che hanno smesso da tempo di sognare.
L’uomo della luna però non voleva rinunciare al suo sogno. Saltò sulla sedia e cominciò a parlare.
«Ascoltatemi tutti. Pensate come sarebbe bello avere la luna qui sopra il circolo. Vi farebbe luce mentre giocate e bevete. Si risparmierebbero le candele e poi tutti gli altri paesi ci invidierebbero un’insegna di quel genere.»
Continuò così per molto tempo, spiegando agli uomini seduti che la luna era là, pronta per essere presa se solo avessero avuto il coraggio di alzarsi e farlo. Disse loro che l’uomo non è fatto per vivere guardando a terra, ma che nelle stelle sta scritto il suo destino e al cielo deve quindi volgere il viso. Che una grande impresa va tentata anche se appare impossibile, anzi proprio perché sembra impossibile, altrimenti non sarebbe degna di essere ricordata.
Tanto parlò che alla fine un uomo si alzò in piedi e disse: «Per me va bene!»
Uno ad uno tutti gli uomini si alzarono. Tutti tranne lo scettico, che li guardava scuotendo la testa.
«Ci occorreranno scale! »
«Io porterò le corde!»
«Dovremo partire presto, per coglierla al momento giusto.»
«Saliremo da quella parte. Conosco io il sentiero. Saremo su in meno di quanto pensiate.»
Così, in preda all’euforia, gli uomini si diedero da fare per poter essere pronti la sera dopo per la più grande caccia che l’uomo avesse mai tentato. La caccia alla luna piena.

La sera successiva partirono di buon’ora, armati di scale, uncini e corde. Discesero nella valle, attraversarono la Strona e risalirono col passo veloce dei montanari il Mergozzolo. Col fiato in gola arrivarono sulla cima… giusto per vedere che la luna era già alta in cielo.
«Le nostre scale sono troppo corte.»
«E anche le corde…»
Così, scornati, se ne tornarono a Montebuglio.

Se pensate però che il sogno che inseguivano quegli uomini fosse la folle chimera di un pazzo vi sbagliate. Perché in un modo o nell’altro essi infine riuscirono a prendere la luna. Che ancora oggi fa bella mostra di sé sull’insegna del Circolo di Montebuglio.

1 commento:

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.