Questa è la storia di un uomo che veniva da sud.
Un tempo signori d’Italia i Rasenna avevano da tempo accettato il nuovo ordine sotto le insegne di Roma. Sotto le aquile delle legioni aveva militato anche uno dei Rasenna, il cui nome era Metelos, figlio di Maesilos.
Congedato aveva scelto di diventare mercante e si era spinto a cercare fortuna alla frontiera nord, oltre il grande fiume Eridano, nelle terre degli Insubri.
Era stato accolto con diffidenza. Per quanto ormai alleati di Roma, molti dei più anziani tra quei Galli avevano combattuto strenuamente i Romani fino a pochi decenni prima. Formidabili combattenti, guerrieri feroci e tagliatori di teste, come quel Krasan nel cui villaggio Metelos tornava spesso a vendere i suoi prodotti.
Il villaggio si trovava sulle sponde di un piccolo lago incuneato tra le montagne, i cui paesaggi talvolta ricordavano a Metelos le dolci colline della sua patria; altre volte invece le aspre montagne dell’Hispania. Erano ricordi feroci e dolorosi, questi ultimi. Le imboscate dei Celti Iberici, il lungo assedio di Numantia e il massacro finale, col sangue che scorreva a fiumi per le strade invase dai legionari coi gladi sguainati a sterminare ogni forma di vita si parasse loro davanti…
I Galli sapevano o forse intuivano. Nessuno osava toccare un romano, naturalmente, ma lo tenevano a distanza, limitandosi a comprare da lui quel tanto che bastava loro. Eppure Metelos tornava spesso in quel villaggio. Non tanto per il modesto guadagno, ma per gli occhi di quella ragazza.
Asmina era la minore delle figlie di Krasan e i suoi occhi erano gli unici in cui non leggesse una silenziosa ostilità. Aveva occhi blu come l’acqua del lago, Asmina. Del resto, i laghi non sono come gli occhi con cui la Terra guarda il Cielo?
Asmina non si limitava a guardarlo, ma gli sorrideva in un modo che gli scaldava il cuore, rendendogli leggero il viaggio ogni volta che caricava il carro di merci per salire lassù.
Così un giorno Metelos decise di affrontare il vecchio Krasan, chiedendo Asmina come moglie. Aveva portato ricchi doni per l’uomo, secondo l’usanza della sua gente. Krasan li guardò, li valutò e tornò a fissarlo severo.
«Vendete le vostre figlie, voi romani?»
Aveva pronunciato con disprezzo quell’ultima parola. Metelos guardò le teste scheletriche che pendevano dal soffitto della capanna, poi parlò.
«Amo Asmina e voglio che sia mia moglie. Secondo il costume della mia gente o secondo quello della vostra… non ha importanza.»
Krasan scosse la testa.
«Cosa potrebbe volere una di noi da uno di voi? Pensi che non ci siano uomini di valore in queste terre? Comunque, se lei vuole, fate pure. Le nostre donne sono libere di scegliersi l’uomo che desiderano. Persino un romano.»
Asmina, che aveva ascoltato tutto, entrò rapida nella capanna e disse che sì, lei lo voleva quel romano. Lei voleva Metelos dagli occhi scuri e avrebbe sposato lui e nessun altro mai.
Krasan sbuffò, alzò le braccia al cielo per invocare gli dei, ma infine le abbassò.
«Fate un po’ come volete…» borbottò.
Nei mesi e negli anni che seguirono Metelos, grazie ad Asmina, scoprì che quelli che i romani pensavano fossero selvaggi, erano invece un popolo gentile e civile, che aveva persino una propria scrittura, appresa secoli addietro proprio dai Rasenna.
Anche Krasan scoprì che il “romano” non era poi così male. Il genero gli faceva arrivare del buon vino e vasellame che la moglie di Krasan apprezzava molto. Quando, infine, la piccola Velia tese le piccole braccia al collo del nonno, questi dovette ammettere che in effetti il romano aveva portato solo cose buone nella loro casa.
Metelos e Asmina furono i primi, ma molti altri seguirono il loro esempio. Essere chiamati romani cessò pian piano di essere un’offesa. Galli e Romani scoprirono di avere cose da offrire e da ricevere dagli ex nemici. E furono lieti che i loro antenati avessero firmato la pace, decenni prima. Nemmeno cento anni dopo il matrimonio di Metelos e Asmina, i Galli oltre il grande fiume Eridano sarebbero diventati romani.
Questa è la storia, mai raccontata prima, di una storia d’amore svoltasi oltre ventuno secoli fa. Il fluire del tempo ha cancellato i protagonisti, ma non questo amore, che resta inciso su un piccolo vaso funerario, in una dedica incisa nella lingua di Asmina: “Metelui Maesilalui Venia Metelikna Asmina Krasanikna”.
“A Metelos figlio di Maesilos, Venia figlia di Metelos (e) Asmina figlia di Krasan”.
Un tempo signori d’Italia i Rasenna avevano da tempo accettato il nuovo ordine sotto le insegne di Roma. Sotto le aquile delle legioni aveva militato anche uno dei Rasenna, il cui nome era Metelos, figlio di Maesilos.
Congedato aveva scelto di diventare mercante e si era spinto a cercare fortuna alla frontiera nord, oltre il grande fiume Eridano, nelle terre degli Insubri.
Era stato accolto con diffidenza. Per quanto ormai alleati di Roma, molti dei più anziani tra quei Galli avevano combattuto strenuamente i Romani fino a pochi decenni prima. Formidabili combattenti, guerrieri feroci e tagliatori di teste, come quel Krasan nel cui villaggio Metelos tornava spesso a vendere i suoi prodotti.
Il villaggio si trovava sulle sponde di un piccolo lago incuneato tra le montagne, i cui paesaggi talvolta ricordavano a Metelos le dolci colline della sua patria; altre volte invece le aspre montagne dell’Hispania. Erano ricordi feroci e dolorosi, questi ultimi. Le imboscate dei Celti Iberici, il lungo assedio di Numantia e il massacro finale, col sangue che scorreva a fiumi per le strade invase dai legionari coi gladi sguainati a sterminare ogni forma di vita si parasse loro davanti…
I Galli sapevano o forse intuivano. Nessuno osava toccare un romano, naturalmente, ma lo tenevano a distanza, limitandosi a comprare da lui quel tanto che bastava loro. Eppure Metelos tornava spesso in quel villaggio. Non tanto per il modesto guadagno, ma per gli occhi di quella ragazza.
Asmina era la minore delle figlie di Krasan e i suoi occhi erano gli unici in cui non leggesse una silenziosa ostilità. Aveva occhi blu come l’acqua del lago, Asmina. Del resto, i laghi non sono come gli occhi con cui la Terra guarda il Cielo?
Asmina non si limitava a guardarlo, ma gli sorrideva in un modo che gli scaldava il cuore, rendendogli leggero il viaggio ogni volta che caricava il carro di merci per salire lassù.
Così un giorno Metelos decise di affrontare il vecchio Krasan, chiedendo Asmina come moglie. Aveva portato ricchi doni per l’uomo, secondo l’usanza della sua gente. Krasan li guardò, li valutò e tornò a fissarlo severo.
«Vendete le vostre figlie, voi romani?»
Aveva pronunciato con disprezzo quell’ultima parola. Metelos guardò le teste scheletriche che pendevano dal soffitto della capanna, poi parlò.
«Amo Asmina e voglio che sia mia moglie. Secondo il costume della mia gente o secondo quello della vostra… non ha importanza.»
Krasan scosse la testa.
«Cosa potrebbe volere una di noi da uno di voi? Pensi che non ci siano uomini di valore in queste terre? Comunque, se lei vuole, fate pure. Le nostre donne sono libere di scegliersi l’uomo che desiderano. Persino un romano.»
Asmina, che aveva ascoltato tutto, entrò rapida nella capanna e disse che sì, lei lo voleva quel romano. Lei voleva Metelos dagli occhi scuri e avrebbe sposato lui e nessun altro mai.
Krasan sbuffò, alzò le braccia al cielo per invocare gli dei, ma infine le abbassò.
«Fate un po’ come volete…» borbottò.
Nei mesi e negli anni che seguirono Metelos, grazie ad Asmina, scoprì che quelli che i romani pensavano fossero selvaggi, erano invece un popolo gentile e civile, che aveva persino una propria scrittura, appresa secoli addietro proprio dai Rasenna.
Anche Krasan scoprì che il “romano” non era poi così male. Il genero gli faceva arrivare del buon vino e vasellame che la moglie di Krasan apprezzava molto. Quando, infine, la piccola Velia tese le piccole braccia al collo del nonno, questi dovette ammettere che in effetti il romano aveva portato solo cose buone nella loro casa.
Metelos e Asmina furono i primi, ma molti altri seguirono il loro esempio. Essere chiamati romani cessò pian piano di essere un’offesa. Galli e Romani scoprirono di avere cose da offrire e da ricevere dagli ex nemici. E furono lieti che i loro antenati avessero firmato la pace, decenni prima. Nemmeno cento anni dopo il matrimonio di Metelos e Asmina, i Galli oltre il grande fiume Eridano sarebbero diventati romani.
Questa è la storia, mai raccontata prima, di una storia d’amore svoltasi oltre ventuno secoli fa. Il fluire del tempo ha cancellato i protagonisti, ma non questo amore, che resta inciso su un piccolo vaso funerario, in una dedica incisa nella lingua di Asmina: “Metelui Maesilalui Venia Metelikna Asmina Krasanikna”.
“A Metelos figlio di Maesilos, Venia figlia di Metelos (e) Asmina figlia di Krasan”.
il trionfo dell'amore!
RispondiElimina^______________^
buon mercoledì
Due popoli diversi uniti dall'amore nell'Italia antica.
RispondiElimina^____^
che bella storia!
RispondiEliminaChe storia straordinaria!!!bacioni.
RispondiEliminaE' proprio vero: fate l'amore... non fate la guerra!!!! (ma si può dire o siamo in fascia protetta??!!!).
RispondiEliminaUna storia magnifica....
;-)
Che storia bellissima, grazie per avercela raccontata. Veramente, mi sono emozionata: l'ambientazione, la storia d'amore, l'incontro tra due culture, l'incisione sul vaso. Suggestiva.
RispondiEliminaRingrazio le mie lettrici!
RispondiElimina^_____^
mmm, chissà dove son finiti gli uomini?
Forse il termine "matrimonio" li ha messi in fuga?
;)
Beh, veramente il termine "matrimonio" metterebbe in fuga anche me.....
RispondiElimina;-)