Era una sera di uno degli ultimi anni del Medioevo. O forse era un giorno di mercato, giornata in cui le voci e le dicerie volano come foglie al vento. Non lo sappiamo con esattezza. Di certo Colombo non era ancora salpato per le Indie e in Italia fioriva l’umanesimo. Sulla Riviera di San Giulio governava il Vescovo Conte di Novara, il cui Castellano amministrava la giustizia dalla fortezza dell’isola di San Giulio, un tetro carcere e luogo di esecuzioni. Normale amministrazione in un’epoca di violenza, dove la giustizia era amministrata in modo sempre esemplare e spesso casuale.
La voce corse rapidamente: per celia o per far dispetto a quelli dell’Isola di San Giulio, che se ne stavano rinchiusi dietro il Muro della Regina e scuotevano la testa guardando Orta, alcuni giovani, di Orta naturalmente, avevano cominciato a chiamare il lago “d’Orta”, non più “di San Giulio”.
Del resto, lo dicevano tutti, Orta era molto cresciuta negli ultimi cinque secoli e ormai prevaleva sulla piccola Isola, abitata soprattutto dai Canonici, dagli uomini del Vescovo e dalla loro servitù.
I più sorrisero di quella nuova moda, i giovani, si sa, sono sempre alla ricerca di novità. Gli anziani scuotevano la testa: da più di mille anni il lago era detto di San Giulio, non sarebbero stati certo alcuni giovani a cambiare il mondo.
La cosa però giunse all’orecchio di qualcuno che non scosse la testa; qualcuno di quelli che sanno cogliere i segni dell’aurora ben prima che il sole inizi a fare capolino; qualcuno che comprese che dietro quella piccola, apparentemente banale frase, si poteva celare una minaccia. Forse, addirittura, un complotto teso a spazzare via un ordine secolare.
Perché dopo mille anni qualcuno aveva deciso di cambiare quel nome?
“Le parole sono importanti”, spiegò a quanti lo guardavano stupiti. “I nomi danno il senso alle cose. Quando il Santo Giulio giunse sul lago, più di dieci secoli fa, cancellò per sempre il nome antico che i pagani avevano dato a queste acque, spazzandolo via assieme ai draghi, ai serpenti e agli dei falsi e bugiardi!”
La sua voce tuonava nella basilica dell’Isola e chi lo ascoltava andava con lo sguardo agli affreschi, come per cercare protezione in quella figura armata di bastone che navigava sicuro sul proprio mantello, alla volta di un’isola infestata come una bolgia infernale. Un brivido percorreva la schiena di quanti avevano visto l’enorme vertebra appesa nella sacrestia, che alcuni giuravano, soprattutto quando ad ascoltarli erano creduli curiosi giunti in pellegrinaggio sull’isola, essere appartenuta ad uno di quei draghi.
“Il Signore di questo lago, del Lago di San Giulio, è il Vescovo di Novara. Solo la protezione della Santa Chiesa assicura la libertà di queste terre dalle mire del Duca di Milano e dei suoi vassalli, che volentieri imporrebbero le loro tasse su questa piccola patria, come già fa ad Omegna.”
Questo argomento fece presa su molti ascoltatori, che scossero la testa, pensando alle loro ricchezze, inesorabilmente divorate dalle pretese dei feudatari laici. Il Vescovo di Novara teneva famiglia, come tutti, questo era vero, ma quanto meno non aveva modo di fare guerre a nessuno. E le guerre si sa costano e per sostenere gli eserciti si devono imporre tasse, taglie, dazi, balzelli e confische; e quando tutto ciò non basta più e le casse sono vuote si passa facilmente al sequestro dei notabili e al saccheggio.
“Chiamare il lago 'd’Orta' e non di 'San Giulio' è un modo per insinuare che il potere può essere laico e non religioso. È un modo per insinuare che il Vescovo può essere sostituito da un feudatario laico. Di più è un modo per aprire la strada al Duca di Milano e alle sue tasse!”
La misura era colma, non si poteva rimanere inerti di fronte ad una simile minaccia! Occorreva fare qualcosa, subito. Si implorò il vescovo di porre mano alla cosa ed egli, benignamente, emise una grida, con cui si vietava ai sudditi della Riviera di San Giulio, sotto pena di sanzione, di chiamare il lago o scriverne il nome su qualunque documento, altro che "Lago di San Giulio".
I giovani di Orta però non si impressionarono più di tanto. Divenuti anziani ancora continuavano a chiamare il lago “d’Orta” nelle loro chiacchiere, benché nei documenti ufficiali scrivessero “lago di San Giulio”.
Alla fine gli eventi resero anacronistico il potere del Vescovo, che spontaneamente consegnò il feudo, in cambio di una ricca buonuscita, nelle mani non di un Duca, ma di un Re. E questi, come aveva facilmente profetizzato il predicatore duecento anni prima, subito impose nuove tasse.
La voce corse rapidamente: per celia o per far dispetto a quelli dell’Isola di San Giulio, che se ne stavano rinchiusi dietro il Muro della Regina e scuotevano la testa guardando Orta, alcuni giovani, di Orta naturalmente, avevano cominciato a chiamare il lago “d’Orta”, non più “di San Giulio”.
Del resto, lo dicevano tutti, Orta era molto cresciuta negli ultimi cinque secoli e ormai prevaleva sulla piccola Isola, abitata soprattutto dai Canonici, dagli uomini del Vescovo e dalla loro servitù.
I più sorrisero di quella nuova moda, i giovani, si sa, sono sempre alla ricerca di novità. Gli anziani scuotevano la testa: da più di mille anni il lago era detto di San Giulio, non sarebbero stati certo alcuni giovani a cambiare il mondo.
La cosa però giunse all’orecchio di qualcuno che non scosse la testa; qualcuno di quelli che sanno cogliere i segni dell’aurora ben prima che il sole inizi a fare capolino; qualcuno che comprese che dietro quella piccola, apparentemente banale frase, si poteva celare una minaccia. Forse, addirittura, un complotto teso a spazzare via un ordine secolare.
Perché dopo mille anni qualcuno aveva deciso di cambiare quel nome?
“Le parole sono importanti”, spiegò a quanti lo guardavano stupiti. “I nomi danno il senso alle cose. Quando il Santo Giulio giunse sul lago, più di dieci secoli fa, cancellò per sempre il nome antico che i pagani avevano dato a queste acque, spazzandolo via assieme ai draghi, ai serpenti e agli dei falsi e bugiardi!”
La sua voce tuonava nella basilica dell’Isola e chi lo ascoltava andava con lo sguardo agli affreschi, come per cercare protezione in quella figura armata di bastone che navigava sicuro sul proprio mantello, alla volta di un’isola infestata come una bolgia infernale. Un brivido percorreva la schiena di quanti avevano visto l’enorme vertebra appesa nella sacrestia, che alcuni giuravano, soprattutto quando ad ascoltarli erano creduli curiosi giunti in pellegrinaggio sull’isola, essere appartenuta ad uno di quei draghi.
“Il Signore di questo lago, del Lago di San Giulio, è il Vescovo di Novara. Solo la protezione della Santa Chiesa assicura la libertà di queste terre dalle mire del Duca di Milano e dei suoi vassalli, che volentieri imporrebbero le loro tasse su questa piccola patria, come già fa ad Omegna.”
Questo argomento fece presa su molti ascoltatori, che scossero la testa, pensando alle loro ricchezze, inesorabilmente divorate dalle pretese dei feudatari laici. Il Vescovo di Novara teneva famiglia, come tutti, questo era vero, ma quanto meno non aveva modo di fare guerre a nessuno. E le guerre si sa costano e per sostenere gli eserciti si devono imporre tasse, taglie, dazi, balzelli e confische; e quando tutto ciò non basta più e le casse sono vuote si passa facilmente al sequestro dei notabili e al saccheggio.
“Chiamare il lago 'd’Orta' e non di 'San Giulio' è un modo per insinuare che il potere può essere laico e non religioso. È un modo per insinuare che il Vescovo può essere sostituito da un feudatario laico. Di più è un modo per aprire la strada al Duca di Milano e alle sue tasse!”
La misura era colma, non si poteva rimanere inerti di fronte ad una simile minaccia! Occorreva fare qualcosa, subito. Si implorò il vescovo di porre mano alla cosa ed egli, benignamente, emise una grida, con cui si vietava ai sudditi della Riviera di San Giulio, sotto pena di sanzione, di chiamare il lago o scriverne il nome su qualunque documento, altro che "Lago di San Giulio".
I giovani di Orta però non si impressionarono più di tanto. Divenuti anziani ancora continuavano a chiamare il lago “d’Orta” nelle loro chiacchiere, benché nei documenti ufficiali scrivessero “lago di San Giulio”.
Alla fine gli eventi resero anacronistico il potere del Vescovo, che spontaneamente consegnò il feudo, in cambio di una ricca buonuscita, nelle mani non di un Duca, ma di un Re. E questi, come aveva facilmente profetizzato il predicatore duecento anni prima, subito impose nuove tasse.
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