domenica 4 ottobre 2015

Il Gastaldo. Capitolo 1.1

Cavaliere, lastrina in bronzo dorato
dello Scudo di Stabio, VII secolo.
BernaHistorisches Museum.
Sette mesi di siccità avevano ridotto la pianura umida e fertile in una steppa in cui solo le locuste prosperavano e si moltiplicavano. Dall’inizio dell’anno non cadeva una sola goccia di pioggia. Fatto straordinario, dicevano i contadini, innalzando inutilmente preghiere al loro Dio.

Una lunga nube di polvere inseguiva i cavalieri sulla strada verso la città. Gli zoccoli dei cavalli rimbalzavano sulla terra cotta dal sole, mentre attraversavano distese di erba ingiallita. Uno dei tre si passò il dorso della mano sul volto per tergersi il sudore e guardò i guerrieri che lo scortavano galoppando al suo fianco. Pensò che avrebbe preferito restare nel castello di Seprium, attorno al quale c’erano boschi nella cui ombra era possibile cercare un po’ di refrigerio. Pensò che non gli piacevano le città, luoghi circondati da mura che impedivano di vedere l’orizzonte, pieni di fango quando pioveva, di puzza quando faceva caldo e di sporcizia in ogni stagione dell’anno. Ne comprendeva la necessità, naturalmente, dal momento che un re aveva bisogno di una corte, di guardie, di magazzini e di artigiani.
Capiva l’utilità delle mura, che potevano tenere a bada eserciti numerosi anche per anni. Nonostante questo le città non gli piacevano e Mediolanum, per quanto fosse la città in cui l’aveva convocato il re, non solo non faceva eccezione, ma confermava in pieno la sua opinione.
La città era la più grande che avesse mai visto. Sapeva, per averlo sentito nelle lunghe sere in cui i vecchi raccontavano storie attorno al fuoco, che era stata la capitale dei Romani, dopo Roma e prima di Ravenna. Adesso invece a Ravenna stava l’Esarca dell’Impero, a Roma il Pontefice dei cattolici e a Mediolanum, da venti anni, stavano loro, gli Uomini dalle lunghe barbe.
Anche il cavaliere portava la barba lunga, come tutti quelli della sua gente che seguivano il costume tradizionale. Aveva la testa rasata dalla fronte alla nuca e i capelli biondi, divisi in due, pendevano lunghi fino all’altezza della bocca. Indossava un variopinto vestito di lino, a balze ampie e calzari aperti sino all’alluce con lacci di cuoio intrecciati. Al fianco teneva la spada e uno scramasax, una daga a lama larga che poteva essere utilizzata sia per il lavoro che in combattimento. Con la destra reggeva una lunga lancia con la cuspide a forma di foglia di salice, l’arma che, assieme alla spada, i guerrieri longobardi si addestravano ad usare fin da piccoli. Sulla schiena portava uno scudo circolare, di un braccio di diametro, in legno ricoperto di cuoio, con un umbone conico di ferro al centro ed una lamina di metallo lungo tutto il bordo, per proteggerlo dai colpi di taglio degli avversari.
L’elmo pendeva dalla sella sul fianco grigio e sudato di Graum. Faceva troppo caldo e Aribert, questo era il nome del guerriero, non aveva motivo per indossarlo. La guerra coi Franchi era terminata l’anno precedente, quando il re Autaris era riuscito a sconfiggere l’esercito franco che aveva invaso il regno. Non era stata una grande battaglia, poco più di una scaramuccia, ma i Franchi ne avevano abbastanza del caldo, delle alluvioni e della dissenteria. Così il loro re, Childelberto, aveva accettato di buon grado di trattare la pace per ritirare le truppe oltre le Alpi, lasciando solo l’esarca a combattere i Longobardi.
Proprio allora, però, era accaduto l’imprevisto: Autaris era morto, improvvisamente, e si sospettava che fosse stato avvelenato. Del resto nessun re longobardo era mai morto naturalmente, sebbene nessuno di loro fosse caduto sul campo di battaglia.


Questo è il primo capitolo de "Il gastaldo" ambientato nell'anno 590, che negli annali fu ricordato per una lunghissima siccità.



1 commento:

  1. Ed ancora oggi ci sono persone del Seprium a cui andare a Mediolanum fa più o meno lo stesso effetto! :D

    RispondiElimina

Lasciate una traccia del vostro passaggio, come un'onda sulle acque del Lago dei Misteri...

Post più popolari

"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.