domenica 19 giugno 2016

I ragionamenti del professor Garibozzi attorno ai mammut e allo shopping



Ero seduto a uno dei tavolini del Bar in La Rosa, a Orta, uno dei posti in cui mi piace andare a bere un aperitivo o mangiare qualcosa nei momenti di pausa. Senza dovermi preoccupare del posteggio, oltretutto, perché ne hanno uno interno enorme. Mentre gustavo una cioccolata, che in questa estate piovosa ha sempre il suo perché, stavo sfruttando la rete wi-fi per navigare sul web.

- Buongiorno Alfonso, pioggia a parte naturalmente!
Alzai gli occhi e mi trovai di fronte il professor Garibozzi che sorrideva da sotto i baffetti. I suoi occhietti brillavano nel volto suino e compresi che aveva voglia di chiacchierare. 
- Buongiorno. Vuole sedersi?
Indicai la sedia.
- Che legge di bello?
- Un articolo sull’evoluzione umana...
- Argomento interessante... e mi dica, parla dei mammut? Perché i mammut sono importantissimi...
- No, non parla di mammut. Ma perché sarebbero così importanti?
Devo dirvi a questo punto che in realtà non ho idea di quale laurea abbia, ammesso che sia dottore, il buon Garibozzi. Di certo non in paleontologia. Più probabilmente in tuttologia perché lo sento argomentare su qualsiasi argomento. Per questo lo chiamiamo “professore”.
In genere tendo a evitare gli indigeni (come i forestieri del resto) troppo saputi, ma Garibozzi ha un suo modo di raccontarti le cose per cui non riesci mai a capire se c’è o ci fa. Così mi accinsi all’ascolto, dando il giusto peso alle sue parole. 
- I mammut sono fondamentali!
L’intero bar sembrò fermarsi in attesa della rivelazione insita in questa premessa.
- Vede, un tempo l’umanità viveva principalmente della raccolta dei frutti, delle radici, delle erbe. E chi deteneva questo sapere era la Grande Madre. Erano le donne insomma a conoscere cosa raccogliere e cosa no. 
“Vieni ad aiutarmi” dicevano. E gli uomini dietro. E mentre la moglie frugava e cercava, l’uomo seguiva con aria annoiata, portando la cesta. 
“Va bene questa?” chiedevano di tanto in tanto, giusto per sentirsi utili, prendendo una cosa a caso. 
“Sei matto? Quella è velenosissima!”
“Allora questa?”
“Quella va bene solo se soffri di stitichezza...”
“Abbiamo finito?”
“No, devo ancora andare dove crescono le verdure fresche!”
E andavano avanti così per ore, lei rovistando la savana e lui sbuffando e gemendo.
Una sera però, mentre gli uomini stavano radunati in branco attorno al fuoco a bere idromele, uno di essi, probabilmente il più ubriaco, disse la frase che rivoluzionò la storia dell’umanità.
“Io domani non vado con mia moglie a cercare erbe!”
“A no? E dove vai? E soprattutto cosa le dici?”
Che a quei tempi mica uno poteva dire alla moglie semplicemente “non ti accompagno a raccattare erbe”. O meglio, poteva farlo, ma a proprio rischio e pericolo.
“Che ho cose più importanti da fare?”
“Tipo?”
“Ecco... io devo... io voglio... andare a caccia del mammut!”
Un brusio percorse il cerchio.
“Del mammut? Ma quello ti prende con la proboscide, ti lancia per aria e poi ti calpesta fino a trasformarti in una polpetta buona solo per gli sciacalli!”
“Non importa. Piuttosto che andare ancora a raccogliere bacche, preferisco il mammut!”
Il silenzio seguì a quelle parole. I neuroni sopravvissuti all’alcol analizzavano le alternative.
“Sai che ti dico?” disse un secondo. “Vengo con te. Pure io voglio cacciare il mammut!”
Gli altri si scambiarono sguardi increduli. Era la follia che dilagava o una nuova strada era stata tracciata?
“Vengo con voi!” disse un terzo.
“Pure io. Cacciare il mammut... è una cosa da veri uomini!”
A questo punto la resistenza degli altri crollò. Non poteva esistere una cosa da veri uomini da cui loro erano esclusi. 
“Ma come si caccia un mammut?” 
Era l’unico che non avesse ancora parlato. Un tipetto magrolino e dalla vista corta che era sopravvissuto fino a quel momento solo grazie alla moglie, che era capace di portare una catasta di legna in testa, un bambino nella fascia e contemporaneamente usare le mani per raccogliere ogni frutto commestibile esistente nel suo raggio visivo a 360°.
Era una domanda di buon senso, ma era dettata dalla paura. Una sfida che andava raccolta.
“Troveremo il modo!” 
La risposta era di quelle che tracciano un solco per terra. O sei di qua, proiettato verso l’avventura, o te ne stai di là, seduto per terra con la testa piena delle tue paure. Ma poi non chiederci di bere ancora con noi l’idromele attorno al fuoco...
“Allora... vengo anch’io...”
“Bene, è deciso! Domattina invece di raccogliere erbe andiamo a caccia!”
Quella notte ci furono molte discussioni nei giacigli. Le donne non capivano per quale motivo gli uomini dovessero rischiare la vita in quel modo stupido. 
“E poi cosa ce ne facciamo di un mammut?”
Gli uomini allora descrissero la montagna di carne che avrebbero avuto per sfamare i bambini, la pelle per creare begli abiti, le zanne per farne piccoli gioielli che avrebbero reso le donne ancora più belle di quel che erano. Insomma, fecero quel che alla fine riusciva loro meglio, intortando le proprie compagne con mille parole.
E siccome alla fine erano persino riusciti a tornare col mammut (quasi tutti perché il magrolino era rimasto infilzato da una zanna) e recavano pure delle belle ferite capaci di risvegliare lo spirito da curandera anche nella moglie meno convinta, da quel giorno gli uomini decisero che non sarebbero più andati a raccogliere erbe, ma sempre a caccia. 
- Professore, mi sa che io e lei a caccia di mammut avremmo fatto una brutta fine!
- Vede che ho ragione?
Strizzò l’occhietto porcino e rise.
- Con l’estinzione del mammut e poi degli altri animali, gradualmente gli uomini dovettero abbandonare questa occupazione salutare e selettiva. Così oggi vengono strappati da morbidi divani solo per girare nei supermercati appoggiati ai carrelli. Oppure li vedi esausti nei negozi di abbigliamento, cercando di non farsi notare dalle loro donne impegnate in shopping forsennati. E la pancia cresce, caro Alfonso, lo si vede bene!





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