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lunedì 14 febbraio 2022

Luoghi per innamorati

 



Ci sono nel bosco certi luoghi che un tempo si credeva vibrassero di misteriose energie soprannaturali. Sorgenti, specchi d’acqua, grotte, alberi e rocce erano la dimora di spiriti che potevano essere pericolosi o benefici, amicalmente servizievoli o crudelmente beffardi.

Contro queste tradizioni per secoli i Vescovi e i preti tuonarono dai pulpiti inutilmente. Più o meno nascostamente le persone continuarono a recarsi nei boschi, sino a epoche sorprendentemente recenti. E questo accadeva anche dalle nostre parti.

Tra le varie tradizioni una prevedeva che gli innamorati portassero l’amata presso una di queste rocce particolari e lì dichiarassero il loro amore.  Una tradizione che continua anche oggi? Parrebbe di sì a giudicare da quel che dicono i boschi, muti testimoni di passeggiate di coppia. 

Con quali risultati è difficile dirlo. Scatterà la scintilla? Durerà un mese, un anno o tutta la vita? Saranno parole d’amore scolpite nella pietra o scritte sulla sabbia? Tante, troppe sono le variabili per dare la responsabilità a un povero sassone che un antico ghiacciaio ha perduto nel bosco un po' a caso.

I Greci, che come ben sapeva Jung se ne intendevano di psicologia, consideravano Eros il più potente degli dei, giacché nessuno degli immortali poteva dirsi immune al suo potere. Ma Eros è un dio capriccioso e dispettoso, a cui piace creare una gran confusione e si diverte un mondo quando riesce a creare le attrazioni più strane e talora incompatibili.

Ma del resto che importa? Come dice il Buddha alla fine solo tre cose contano: quanto hai amato, come gentilmente hai vissuto e con quanta grazia hai lasciato andare cose non destinate a te.

I Greci comunque avevano intuito anche il legame tra Amore e i sassi. Il Santuario di Afrodite a Paphos nell'Isola di Cipro fu il più importante e il più antico dei santuari della dea, risalente alla tarda età del bronzo e in uso fino al IV secolo d.C. quando fu chiuso per decreto del cattolicissimo imperatore Teodosio. Il luogo non era casuale, perché secondo il mito Afrodite emerse dalla spuma del mare proprio di fronte a Paphos. All’interno della struttura, tuttavia, non c’era una statua. Il culto infatti era aniconico e veniva adorato un betilo, una pietra arrotondata approssimativamente conica. Scavi condotti nelle rovine del Santuario hanno effettivamente messo in luce una pietra di basalto che si ritiene potesse essere l’oggetto del culto. Se voleste vederla si trova nel locale museo.

A ben vedere, comunque, anche ai nostri tempi il legame tra l’amore e la pietra resiste, benché questa sia stata ridimensionata e collegata a certi tipi che stanno bene su un anello e si dice durino per sempre. Cosa tipica della nostra società consumistica, del resto, per la quale per dare valore a un sentimento che non ha prezzo si deve mettere mano alla carta di credito.

Nella foto il masso erratico che sorge dalle acque del Rio Zuffolone, che quelli di Suno chiamano “Preja da Scalavè” e quelli di Mezzomerico "Prion d'la Val dal Sec".


mercoledì 26 gennaio 2022

Un'antica chiesa di Gozzano



Un viaggiatore che scendesse alla nuova stazione di Gozzano, sulla linea Novara Domodossola, avrebbe due alternative. Dirigersi verso il centro, oppure voltare le spalle alla cittadina e andare alla scoperta di un misterioso edificio.

Se siete viaggiatori di questo secondo tipo potete seguirci. 

Occorre passare sotto il ponte ferroviario e riemergere dall’altra parte. Sulla destra un’area verde attira immediatamente lo sguardo. Al centro di una radura sorge una chiesetta romanica, dedicata a San Lorenzo.

Il luogo è decisamente antico. Secondo un'antica tradizione i santi Giulio e Giuliano fondarono in questo luogo la loro novantanovesima chiesa. Verosimilmente lo fecero sui resti di un antico luogo di culto pagano, perché quella era la loro missione, per la quale avevano lettere firmate dal cattolicissimo imperatore Teodosio I, colui che impose il cristianesimo niceno come credo ufficiale dell’impero romano, proibendo tutti i culti pagani.


Scavi archeologici condotti all'interno della chiesa, che è aperta solo in alcune occasioni, hanno messo in luce varie sepolture di età longobarda. Hanno individuato anche un cenotafio dove in antico si conservavano le reliquie di San Giuliano. Non sono più lì da oltre mille anni, perché nel X secolo furono traslate nella nuova chiesa a lui dedicata, che si trova sulla rocca, protetta dalle mura dell'antico castello.


La copertura di una delle tombe altomedievali era costituita da una grande lastra di pietra. Con grande sorpresa, una volta sollevato questo coperchio si scoprirono sulla superficie inferiore misteriose lettere incise. Non si trattava di un’iscrizione longobarda e tantomeno medievale. Rispetto alla tomba era circa mille anni più antiche. I caratteri infatti erano incisi nell’alfabeto celtico d’Italia e l’iscrizione, una volta tradotta, recitava “Ad Autesa dedicò Petua…”. 


La scritta era interrotta per la rottura della pietra, per cui non sappiamo se Petua, certamente una donna, fosse sola nella dedica. Il fatto che il suo fosse il primo nome fa pensare che, ammesso vi fossero citate altre persone, dovessero essere tutte di sesso femminile. Donne quindi che dedicano a una donna. Il cui nome tuttavia è mancante del patronimico, vale a dire il nome del padre, il modo con cui i Celti indicavano quello che noi chiameremmo cognome.


Chi era dunque questa Autesa? Una defunta, oppure qualcuna il cui nome poteva essere indicato senza possibilità di errore? Una dea forse? Nel Novarese ci sono varie iscrizioni celtiche in cui personaggi della comunità dedicano uno spazio sacro a una divinità.

E cosa rappresentano i misteriosi segni incisi sotto la scritta? Una ruota a quattro raggi, che richiama le famose croci celtiche ed è un simbolo antichissimo connesso alla ruota solare. E un altro segno decisamente più enigmatico, con due semicerchi sovrapposti e contrapposti.

Una divinità del cielo, come ipotizzano alcuni? La Madre di Lug, la cui festa cadeva ai primi di agosto, giorni in cui forse non casualmente si colloca la festa di San Lorenzo? 

Ed è un caso che la dedicazione antica della chiesa, secondo il Vescovo Bascapé, non fosse a San Lorenzo, ma alla Beata Vergine?

Non basta. Lug il Luminoso, che i Romani interpretavano come Mercurio e che Giulio Cesare diceva essere la più importante divinità tra i Galli in realtà è forse più assimilabile al re degli dei germanici, Wotan/Odino, con cui condivideva l’arma che portava in battaglia, una lancia simboleggiante il fulmine.

Ed è sempre un caso che i vecchi dicessero di stare lontani dalla chiesa di San Lorenzo durante i temporali? E per suffragare questo avvertimento raccontavano questa storia.


All’inizio del Novecento un fabbro che stava conducendo una mucca scomparve durante una tempesta. Fu ritrovato il giorno dopo in stato confusionale, il braccio carbonizzato. L’animale invece fu trovato morto vicino alla chiesa, ucciso dal fulmine.


mercoledì 27 maggio 2015

mercoledì 3 dicembre 2014

Pitagorici cusiani




Transitavo tranquillo pensando ai fatti miei, quando all’improvviso mi si parò dinnanzi una struttura che non poté non attirare la mia attenzione, non tanto per le dimensioni, peraltro notevoli, quanto per la forma. Come potete vedere chiaramente dalla foto, presso la rotonda di Orta sono apparse due stelle, poste parallelamente e orientate rispettivamente verso sud e verso nord.


“Cosa c’è di strano?” domanderà forse qualche lettore “il Natale si avvicina, per non parlare dell’arte contemporanea un po’ eccentrica che sovente abbellisce le rotonde…”

Arte contemporanea, certo… il Natale, può essere… però mi permetto di far osservare che mancano le luminarie e, a parte questo, vi invito ad osservare attentamente la figura. Al centro della “stella” compare inequivocabilmente un pentagono rovesciato.

Pertanto quella che abbiamo di fronte non è una stella natalizia, ma un Pentalfa. Ma, a parte la simpatia istintiva che Alfa può provare per un tale nome, di cosa stiamo parlando? 

Per prima cosa v’invito a dimenticare tutto ciò che vi hanno detto sui diavoli e sulle streghe (anche se, per pura coincidenza, i miei informatori mi dicono che l’incrocio dove ora sorge la rotonda era un tempo luogo d’incontro delle streghe di Orta, ma questa è un’altra storia…).

Dobbiamo andare molto indietro, sei secoli prima del primo e più famoso Natale che festeggeremo prossimamente. Qualcuno fa risalire l’origine del Pentalfa agli Egizi, dove compare nel geroglifico che indicava la stella Sirio, la più importante perché era sulla sua levata che si basava il calendario egizio. In ogni caso è indubbio che la grande affermazione del simbolo sia legata alla figura di un filosofo che dovrebbe certamente comparire nella top ten delle persone più influenti della storia, qualora qualcuno avesse voglia di scriverla. 

Sto parlando, naturalmente, di Pitagora. Figura insieme storica e leggendaria è impossibile proporne qui più di qualche cenno.

Normalmente lo si studia a scuola per il teorema che porta il suo nome. Geometria, roba noiosa, dirà qualcuno. Quello che non si dice di Pitagora a scuola, perché lo si è dimenticato, o lo si è voluto dimenticare, è tutto il resto.

Pitagora “praticò la ricerca più di tutti gli altri uomini”, viaggiò e visitò terre lontane, giungendo fino in India per studiare la filosofia orientale; fu il primo in Occidente a praticare e propugnare il vegetarianismo, a credere che anche gli animali avessero un’anima e nella reincarnazione; inventò la scala musicale; elaborò (lui o la sua scuola) una teoria eliocentrica che faceva della Terra un pianeta come gli altri circa duemila anni prima di Keplero, che peraltro al pensiero pitagorico s’ispirò esplicitamente.

Non lasciò libri scritti, ma fondò a Crotone una scuola iniziatica da cui si generò un movimento che era insieme matematico, filosofico, religioso, politico, artistico, misterico ed esoterico. Un pensiero forte, in larga misura trasmesso solo agli iniziati, che influenzò potentemente filosofi come Platone (nota per quelli che "la filosofia che roba noiosa!": Platone è il primo che parlò di Atlantide), per fare un solo esempio, a cui la cultura occidentale deve tantissimo. 

Ebbene il simbolo di questo movimento, che studiava la magia dei numeri e la traduceva in azione, era proprio il Pentalfa. Pitagora lo chiamò così perché può essere descritto come 5 alfa (A) intersecate tra loro. Egli comprese che questa figura, che può essere disegnata dentro un pentagono regolare e a sua volta contenere un numero infinito di pentagoni e Pentalfa più piccoli, si basa su un rapporto matematico noto come “sezione aurea”. 

Si tratta di un “rapporto fra due lunghezze disuguali, delle quali la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due”. Il valore di questo rapporto è approssimativamente 1,6180 (ma la sequenza dei numeri decimali continua all'infinito e ricorre misteriosamente in molti aspetti della natura. Inoltre è il "rapporto della bellezza", in quanto ai nostri occhi un’opera architettonica (ma anche un volto) che rispetti la “divina proporzione” appare irresistibilmente bello. 

Il Pentalfa, usato come simbolo di riconoscimento tra gli adepti della setta, indicava anche i cinque elementi fondamentali: Aria, Terra, Fuoco, Acqua e l’Idea. Il simbolo, proprio per i profondi significati che poteva esprimere, in seguito fu ripreso e utilizzato da molte altre correnti di pensiero filosofico, magico e iniziatico come, per citare la più famosa, la Massoneria (anche in questo caso si tratta di coincidenze, evidentemente).

Ora il Pentalfa è apparso a Orta. Perché e a quale scopo? Col vostro aiuto forse verremo a capo anche di questo mistero...


Aggiornamento del 10 dicembre.
Il Pentalfa è stato "rivestito". Un buon modo per augurarvi buone feste, non credete?



sabato 12 luglio 2014

La misteriosa porta di Miasino


Ho scoperto grazie a Giorgio Rava, un amico che è un infaticabile trovatore di draghi, che a Miasino c’è una porta (foto) che riporta l’immagine di un drago. Qualcuno mi ha detto che è un piccolo sportello, troppo piccolo per far passare un essere umano. Una chiusura per un pozzo forse…

Forse le cose stanno così davvero. Ma se apparteneste al Piccolo Popolo e voleste segnalare ai vostri amici la via di accesso al mondo di sotto (e quale migliore accesso di un pozzo?), non scegliereste proprio l’immagine di un drago? I draghi sono custodi di misteriosi tesori e chi meglio di uno di loro potrebbe difendere l’accesso?

Provare dunque ad aprire quella porta e troverete veramente il condotto di un pozzo. Calandovi di sotto, metro dopo metro, scoprirete…

Fermiamoci qui! Se siete persone di buon senso non sarete andati oltre la porta. Calarsi in un pozzo può essere estremamente pericoloso, se non se ne conoscono i segreti. E poi, avete idea di quali trucchi e trappole possa disporre un folletto per proteggere la sua casa? Più di quelli che potete immaginare. Quindi lasciate perdere.

Ma dove il vostro grosso e goffo corpaccione umano non può arrivare, ecco, la fantasia può spingersi. Chiudete gli occhi, respirate profondamente, rilassatevi e scendete con la mente in quel pozzo…

Mi raccomando, tornate indietro, però, voglio ascoltare il vostro racconto!

mercoledì 22 gennaio 2014

Un arco misterioso



Oggi vorrei provare un gioco con voi.
Quello che vedete è l’ingresso di un misterioso edificio: raccontate la storia che si nasconde dietro questo luogo.

giovedì 16 dicembre 2010

L’ultimo rifugio dei Templari




Nel 1307 il re di Francia Filippo il Bello, necessitando di denaro per saldare i creditori, pensò di reperirne in grande quantità andando a cercarlo dove poteva trovarne in abbondanza.

L’Ordine dei "Pauperes commilitones Christi templique Salomonis" (Poveri Compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone) era sorto come ordine di monaci guerrieri negli anni 1118-1120 per difendere i pellegrini europei che visitavano Gerusalemme, allora in mano cristiana. Riconosciuto nel 1129 era cresciuto in ricchezza e potenza, suscitando non poche gelosie e ostilità.

Il re di Francia istruì un processo vergognoso in cui l’ordine Templare fu accusato di ogni sorta di nefandezza. Molti cavalieri furono arrestati e condannati (l’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay,  dopo torture indicibili per indurlo alla confessione, fu arso sul rogo il 18 marzo 1314) e le sue ricchezze confiscate. Il Papa Clemente V (che era stato eletto per le ingerenze del re francese nel conclave e che aveva scelto di spostare la sede papale ad Avignone) non solo non seppe o non volle opporsi a questa infamia, ma soppresse l’ordine nel 1312.

Gli autori di questa congiura contro l’Ordine templare non sopravvissero di molto al Gran Maestro Jacques de Molay. Clemente V morì un mese dopo, il 20 aprile 1314. Filippo il Bello il 29 novembre 1314 durante una battuta di caccia. Di un ictus, si disse.

Nonostante la soppressione, non tutti i sovrani decisero di perseguitare i cavalieri Templari. In Scozia e in Spagna essi trovarono rifugi sicuri. Ma fu un paese, più di altri, a diventare l’ultimo vero rifugio del Templari.
Nel 1319 venne fondato in Portogallo l’Ordine del Cristo. Ad esso erano state trasferite le ricchezze dei Templari, che in Portogallo avevano a lungo combattuto a fianco della corona contro i Mori che occupavano una parte del paese. Non solo, le file dell’Ordine del Cristo si andarono rapidamente ingrossando dei Templari superstiti, che portarono con loro le ricchezze e le conoscenze dell’Ordine. In breve tempo l’ordine, ormai dipendente direttamente dal Re del Portogallo e non più dal Papa, raggiunse grande potenza e prestigio.
   
Un secolo dopo la soppressione dei Templari, il Gran Maestro dell’Ordine del Cristo, il Principe Enrico, avviava la conquista dell’Atlantico trasformando un paese di montanari in un regno di navigatori. Per farlo creò quello che oggi definiremmo un “centro di ricerca” a Sagres, accanto al Capo San Vincenzo, nell'Algarve, all'estremità sudoccidentale del Portogallo. 

In breve la città diventò un polo di eccellenza nel campo della ricerca della navigazione e della cartografia. Vennero costruiti un osservatorio astronomico e una scuola per insegnare la nuova scienza della navigazione e a Lagos, poco distante dalla città venne realizzato un arsenale per le navi.
Per trasformare le aule vuote in una vera scuola fu adottata quella che potremmo chiamare la vera “filosofia templare”: l’idea che la conoscenza fosse un’arma più efficace della spada. Così furono chiamati maestri esperti per insegnare  nella scuola di Sagres. Come l’ebreo Jehuda Cresques, chiamato a raccogliere tutte le conoscenze geografiche degli antichi e dei moderni e ad insegnare ai portoghesi come realizzare carte affidabili.

Furono gli investimenti nella ricerca a consentire di sviluppare un nuovo tipo di nave, più adatta alla navigazione oceanica delle tradizionali imbarcazioni mediterranee. Nel 1441 fu varata la prima caravella. Tre anni dopo una flotta di cinquanta caravelle scendeva lungo la costa africana per aprire una nuova rotta verso sud.

Il principale obiettivo del principe Enrico, che passò alla storia come “il Navigatore”, era raggiungere le ricchezze dell’Africa sub sahariana, tagliando fuori le rotte carovaniere controllate dagli Arabi. Otto anni prima della sua morte, Enrico il Navigatore fu in grado di coniare le prime monete con l’oro africano. Ma il grande sogno era quello di poter raggiungere l’India, circumnavigando l’Africa.
Del resto c’erano già riusciti i Fenici, molti secoli prima. Secondo Erodoto, infatti: «Il re d'Egitto Neco (...) inviò dei Fenici su delle navi con l'incarico di attraversare le Colonne d'Eracle sulla via del ritorno, fino a giungere nel mare settentrionale e così in Egitto. I Fenici, pertanto, partiti dal Mare Eritreo, navigavano nel mare meridionale; (...) cosicché al terzo anno dopo due trascorsi in viaggio doppiarono le Colonne d'Eracle e giunsero in Egitto.» (Erodoto, Storie - Libro quarto).

Ventotto anni dopo la morte di Enrico il Navigatore, Bartolomeu Dias (che ricevette il titolo di Cavaliere dell’Ordine del Cristo per i suoi meriti marinareschi) doppiò il capo di Buona Speranza, l’estremità meridionale del continente africano. E il 20 maggio 1498 Vasco da Gama coronò quel sogno, sbarcando a Calicut, in India.


Le foto ritraggono il Convento del Cristo a Tomar. Costruita nel 1160 dai Templari, questa imprendibile fortezza (nel 1190 l’esercito del re del Marocco nel tentativo di conquistarlo ne uscì quasi distrutto) dal 1357 fu la sede dell’Ordine del Cristo. 

Da notare: 
  1. la chiesa ottagonale dove, secondo la leggenda, i Templari assistevano alla messa in armi e sui loro cavalli.
  2. la decorazione architettonica, nello stile "manuelino".
  3. la sfera armillare, simbolo delle conquiste marittime.

domenica 18 luglio 2010

La lancia e la svastica



La lancia sacra di San Maurizio divenne uno degli oggetti simbolici più importanti d’Europa. Dai tempi di Ottone il Grande, il vincitore degli Ungari a Lechfeld nel 955, fino al 1806, quando Napoleone decretò la fine del Sacro Romano Impero, essa fu utilizzata nelle cerimonie di incoronazione degli Imperatori. Anche in seguito,  la lancia venne adoperata per l’incoronazione degli Imperatori austriaci e austro ungarici fino al  fino 1916, quando Carlo I d’Asburgo successe a Francesco Giuseppe.

domenica 11 luglio 2010

La leggenda della legione egiziana accampata ai piedi delle Alpi


Secondo la Passio Acaunensium martyrum (Passione dei martiri di Acauno), scritta da Eucherio vescovo di Lione (Lione 380 – 449/50) Maurizio era il generale di un'unità dell’esercito romano che portava il nome di “Legione Tebea”. Questo nome era dovuto al fatto che i suoi effettivi erano stati arruolati in Egitto, nella regione della città di Tebe. Eucherio raccontò la storia della Legione Tebea e dei suoi martiri, indicando il luogo del martirio in Agaunum (Saint Maurice-en-Valais) dove ancora oggi si trova l'Abbazia territoriale di San Maurizio d'Agauno.

Ecco a grandi linee la storia.

L’impero romano nel terzo secolo d.C. si era rivelato troppo vasto per essere guidato da un solo imperatore. Così era stato deciso che a governarlo fossero quattro tetrarchi (una loro statua è tuttora visibile a Venezia): due “augusti” aiutati ciascuno da un “cesare”, che dovevano regnare in armonia. Dei due augusti, tuttavia, uno spiccava per autorità. Era l’augusto Diocleziano, un soldato che aveva fatto carriera ed era salito al trono nel 284 d.C. dopo una serie di congiure di palazzo e violente guerre civili. Ora, secondo il racconto agiografico, Diocleziano ordinò alla Legione Tebea di lasciare la parte orientale dell’impero per difendere, agli ordini dell’augusto Massimiano, i confini occidentali di Roma dalle invasioni dei popoli barbarici.
Possiamo immaginare la meraviglia di questi uomini del deserto – che avevano attraversato il mare e poi percorso la verde Pianura Padana – quando si trovarono accampati ai piedi della barriera formidabile costituita dalle Alpi. Ma i Romani, questo è noto, avevano costruito un’ottima rete di strade, così per la legione non fu un problema valicare le montagne e passare dall’altra parte, nella terra chiamata Gallia.
Un tempo essa era stata patria di guerrieri valorosi , chiamati Galli, ma ora, più di trecento anni dopo la conquista realizzata da Giulio Cesare, era una terra pacifica di città ricche e industriose. Così prospera da suscitare il desiderio di razzia da parte delle tribù dei feroci Germani, che vivevano oltre il fiume Reno, in una terra in cui non esistevano città, ma solo villaggi isolati, circondati da selve e paludi.

La Legione del generale Maurizio si batté valorosamente contro i Germani, riuscendo infine a ricacciarli nelle loro terre oltre il fiume. A quel punto, tuttavia, l’augusto Massimiano, invece di rimandare a casa la legione, decise di utilizzarla per una missione imprevista. Nella valle del Rodano si era insediata una comunità cristiana. A quel tempo la fede in Cristo costituiva un gravissimo delitto, contro il quale erano comminate le sanzioni più gravi, compresa la pena capitale.
Ai Tebani fu ordinato di rastrellare i cristiani presenti in quelle terre perché fossero portati davanti al giudice e condannati. Qui però sorse un problema. I legionari erano tutti cristiani e dal comandante in giù si rifiutarono di eseguire questo ordine inumano contro i loro fratelli nella fede.
«Siamo tuoi soldati» scrisse Maurizio all’imperatore «ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l'integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita [...]. Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti [...]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio... Ecco deponiamo le armi [...] preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli [...] non neghiamo di essere cristiani [...] perciò non possiamo perseguitare i cristiani».
Massimiano, dopo aver vanamente minacciato i ribelli ,ordinò di frustarli e poi di decimare la legione: un uomo ogni dieci fu messo a morte, secondo un’antica punizione dell’esercito. Poiché i soldati non si piegavano fu ordinata una nuova decimazione. Infine, vista inutile ogni minaccia, l’intera legione fu messa a morte. Solo pochissimi riuscirono a fuggire, riparando a sud delle Alpi.

È interessante conoscere anche le loro storie…

Parte 2 (continua)


parte 1
parte 2
parte 3
parte 4
Parte 5
Parte 6
Parte 7
Parte 8
Parte 9

sabato 10 luglio 2010

Il santo patrono del paese dei rubinetti

Sulla sponda occidentale del Cusio, dove il lago fa una grande curva per allontanarsi dai paesaggi scoscesi dei monti e circondarsi invece di dolci colline boscose, in una grande piana un tempo dedicata al pascolo, sorge un paese il cui nome è famoso in tutto il mondo per la sua specialità.
Non sto parlando di dolciumi, o salami, o di qualche varietà d’ortaggio. Sto parlando di uno strumento prezioso, che ciascuno di noi utilizza più volte al giorno: il rubinetto.
San Maurizio d'Opaglio, così si chiama questo comune di poco più di tremila anime (in crescita, ci tengono a precisare i sammauriziesi), ha fatto della produzione di rubinetti e valvole la sua principale attività. A dire il vero non si fanno rubinetti solo in questo paese, ma in qualche modo esso detiene un primato produttivo che lo rende di fatto “la capitale” di un distretto industriale molto vasto e ancora combattivo, nonostante i mille problemi della crisi economica attuale.

sabato 19 giugno 2010

I morti che parlano e i misteri delle guide misteriose

 L'orecchio dei morti ad Orta
Nell’ottobre del 2008 mi recai in un luogo misterioso ad Orta, dove secondo la tradizione i morti parlerebbero. Accostando l’orecchio al muro del cimitero sarebbe possibile infatti udire misteriosi bisbigli.

Poiché non conoscevo con esattezza il luogo mi affidai al volumetto di William Facchinetti Kerdudo, “Guida ai Misteri del Lago Maggiore” (che i lettori più affezionati ricorderanno essere stata recensita su questo blog) che alla pagina 38 parla della “chiesa che bisbiglia” di Orta.

Vi era anche una fotografia del luogo, ma con mia grande sorpresa durante il sopralluogo trovai una ben poco misteriosa e alquanto rumorosa cassetta dell’ENEL.

Credevo che la questione fosse chiusa ed invece, grazie alla mia nuova amica e informatrice, “Paesesommerso”, ecco un colpo di scena.

Il punto in cui i morti parlerebbero non sarebbe affatto quello indicato dalla guida e che vedete in questa foto

Paese sommerso mi ha anche inviato delle foto che individuano chiaramente un grosso e misterioso incavo nella parete di pietra. Sarebbe quello l’orecchio dei morti!


Non mi resta che tornare sul posto per un nuovo sopralluogo…

Prima parte 
Terza parte

martedì 1 giugno 2010

Le pose dei morti


Un lettore ha avuto la bontà di segnalarmi un errore contenuto in questo post.

Effettivamente quando scrissi il racconto, una mia libera interpretazione di una storia tramandata per vera, parlai delle “pose dei morti” come di “catafalchi” costruiti lungo il percorso, per poter sostare e riposare un poco, prima di riprendere la marcia.

Il lettore, che si chiama Marco Reis e che ha scritto un libro dal titolo “Il Mistero di Besso. Tra Cogne e Campiglia le radici di un popolo”, Editore Lampi di Stampa (collana TuttiAUTORI), 2006 fornisce una spiegazione molto interessante di queste “pose”. Vi riporto le sue parole.

«La faccenda in realtà è ancor più interessante: le ‘pose’ non sono semplicemente un punto di riposo, e non sono disseminate lungo i percorsi (“vie dei morti”). Si trovano normalmente in un solo punto della “via”: al limitare del paese in cui i morti dovevano tornare.
La faccenda infatti funzionava così: se da un centro si partiva per “colonizzare” una vallata o un alpeggio vicino (inizialmente magari solo stagionalmente, poi, spesso, in modo stabile), era lì, nella… patria di origine, che bisognava ritornare da morti; più precisamente ancora: nella terra consacrata della propria comunità. Per questo le normali vie di comunicazione (itinerari delle mandrie, sentieri commerciali e di collegamento…) vengono anche chiamate “vie dei morti” quando segnano questo genere di legame profondo tra due località.
Giunti nei pressi del centro di arrivo, ecco che si ‘posava’ il morto per una sorta di rito di accoglienza (e, direi, anche di purificazione): in quel punto –nella ‘posa’- il prete e i valligiani andavano ad accogliere il defunto che tornava, e da lì si muoveva tutti per il luogo di sepoltura. Da lì si faceva il funerale vero e proprio, insomma. Pensa che in qualche luogo (conosco il caso di Cogne), magari senza saperlo, si ripete il rito della ‘posa’: oggi passa per una normale benedizione della bara, in realtà la cerimonia ha queste radici profonde.
Va da sé che nei periodi invernali, con i passi chiusi dalla neve, non restava che aspettare: si portava allora il morto più in alto possibile a… frollare nella neve. E poi col disgelo si completava il tragitto.
La cosa è interessante dal punto di vista della antropologia alpina perché, appunto, indica (a ritroso) i percorsi di colonizzazione. Così, dunque se da Campello/Kampel si riportavano i morti a Rimella, questo indica che Rimella era la comunità di origine di quella gente di là dal colle.
Naturalmente di solito questo vale finché nella nuova comunità non ci si stabilizza per lungo tempo, e soprattutto finché nella nuova comunità non si insedia una parrocchia e dunque la terra consacrata per le sepolture.»

Marco mi invita anche, e io ben lieto mi presto, a lanciare una sorta di censimento delle “pose dei morti”

«Potrebbe essere interessante se tu, parlando delle pose nel tuo blog, incoraggiassi a scoprirne altre. Di regola sono scomparse e dimenticate dai più, ma a volte resta il toponimo (“La posa”) o un minimo di memoria tra gli anziani. La posa di Campello, se non ricordo male, è appena a valle della frazione di San Gottardo. Non so in che condizioni sia ora, ma era bellissima, ben fatta con un lastrone orizzontale, e praticamente intatta.»

Perciò, se avete informazioni su questi elementi fatevi avanti e… segnalate!

sabato 13 marzo 2010

Un luogo enigmatico nella Bottega del Mistero


Oggi si parla della storia di uno dei luoghi più misteriosi della terra, dove il profumo della leggenda si distingue chiaramente nell'aria e si può camminare immersi in un'atmosfera sospesa tra magia e realtà.
Se volete saperne di più, non vi resta che correre subito a visitare la Bottega del Mistero, sul blog di Siamo in Onda.

giovedì 30 luglio 2009

La Preia Batizaa


Esiste una pietra a Bugnate, sulle colline sopra Gozzano, non lontano dal Colle della Madonna della Guardia da cui, si dice, gli uomini debbano stare lontani. Avvicinandosi troppo potrebbero sentire infatti il pianto dei bambini che le donne in età fertile andavano a prendere in quel luogo.

Il masso è denominato Preia Batizaa (Pietra Battezzata) forse per via delle numerose coppelle che ne ornano la sommità.

mercoledì 29 luglio 2009

Lo scanna brag


Ad Omegna tra le case della frazione di Cranna c'è un masso, gelosamente difeso dagli abitanti, chiamato lo “scanna brag" (che potremmo tradurre "il rompi calzoni").
Su di esso generazioni di ragazzi si sono lasciati scivolare, incuranti delle numerose coppelle che lo decorano... e dei rimproveri delle madri preoccupate per le toppe da applicare al fondo schiena.
Anche in questo caso è probabile che l'origine dell'usanza sia legata ad antichi culti della fertilità praticati dalle donne in età fertile in tutta Europa.
Nel Belgio Vallone esiste un masso simile, accanto ad una cappella chiamata, in modo irriverente, "Notre Dame de Ride-Cul" (Nostra Signora del Grattaculo).


Una nota curiosa: il termine brag, usato in dialetto per indicare i calzoni, deriva dalle "bracae", vestito indossato dai Celti ai tempi in cui i romani portavano invece la gonna e irridevano i barbari perché avevano "paura femminea" a mostrare le gambe.

martedì 28 luglio 2009

Le coppelle del Monte Zuoli


Su un'altura sopra Omegna, chiamata Monte Zuoli, vi sono alcune rocce in cui furono scavate, in tempi antichi, piccole conchette chiamate coppelle.
Nelle vicinanze si trovano anche due rocce levigate che i bambini utilizzavano come scivoli. Si racconta però che anche le donne che non riuscivano ad avere figli vi si sedessero e, alzate le vesti, si lasciassero scivolare per concepire un figlio direttamente dalla potenza generatrice della Terra.

sabato 20 giugno 2009

Metodi sicuri per mandare i bambini in Paradiso. La “scoperta” del “répit”.

Un problema angustiava le genti del tardo medioevo: come sottrarre i bambini, e i loro genitori, dall’angosciosa sorte del Limbo? Purtroppo la legge era chiara: non si potevano battezzare i bambini morti. Appena nati o in articulo mortis sì, morti no.
Il dilemma pareva insolubile e i bambini, che ahimè morivano numerosissimi nei primi mesi di vita, parevano condannati a non poter sfuggire alla loro triste sorte
Finché in qualche zona della Francia orientale, attorno al trecento, non cominciò a gridare al miracolo. Un bambino, dato per morto, era stato portato ad una chiesa e lì, sotto gli occhi del sacerdote, si era mosso, esalando un debole respiro. Il prete, senza perdere tempo, si era affrettato a battezzarlo, consegnando alle pietose braccia materne un piccolo defunto cristiano, perché fosse sepolto in terra consacrata. Per lui le porte del Paradiso si erano miracolosamente aperte.
La notizia, passata di bocca in bocca, diede il via ad una spasmodica ricerca dei luoghi dove questo miracolo poteva avvenire. Soprattutto nell’area alpina, dove le comunicazioni erano particolarmente difficili e le popolazioni vivevano più isolate, il fenomeno del répit si diffuse negli anni seguenti il Concilio di Trento estendendosi in alcuni casi fino all’area prealpina.
A Soriso un piccolo paese sulle colline a sud del Lago d’Orta, la Chiesa della Madonna della Gelata, luogo particolarmente freddo d’inverno, venne individuato come luogo in cui il répit poteva avvenire, dopo un evento miracoloso avvenuto agli inizi del Seicento. Un altro, nella zona del Cusio, venne individuato presso la tomba di S. Giuliano a Gozzano.
A questi luoghi si recavano le madri, stringendo i copri dei figlioletti ed invocando il miracolo. Miracolo che di tanto in tanto avveniva, moltiplicando la fede nelle proprietà salvifiche del luogo.

Il tema del répit è indubbiamente affascinate e, chi volesse approfondirlo, può leggere un libro, recentemente edito da Priuli e Verlucca e scritto da Fiorella Mattioli Carcano, Santuari à répit. Il rito del «ritorno alla vita» o «doppia morte» nei santuari alpini. Prefazione di Annibale Salsa. 2009. Qui ne trovate una recensione .


Per la chiesa della Madonna della Gelata potete invece leggere qui

venerdì 19 giugno 2009

Metodi sicuri per mandare i bambini in Paradiso. La “scoperta” del Limbo.


Un problema angustiava le genti del Medioevo. La Chiesa asseriva, infatti, che solo le persone battezzate sarebbero potute entrare nel Regno dei Cieli. Nessuno, o quasi, si preoccupava all’epoca per la sorte dei milioni di mussulmani, indù, buddisti, animasti, e così via, sparsi per il mondo e impossibilitati anche solo a sentir parlare del Vangelo e quindi a salvarsi.
D’altro canto, non era possibile negarlo, molti di essi erano persone giuste. In particolare, di quale colpa si sarebbe mai potuto accusare un bambino appena nato e, come spesso accadeva, morto poco dopo il parto? Questo peraltro era un problema che toccava molte famiglie cristiane, in un’epoca in cui la mortalità infantile era altissima e le pievi dove i bambini potevano essere battezzati erano distanti dalla borgate, con strade insicure e molto spesso impraticabili.
Immaginatevi dunque l’angoscia delle povere madri, nel sapere che i figli tolti loro prematuramente dal destino, non avrebbero nemmeno goduto del conforto del Paradiso.
Poiché ciò appariva anche a molti teologi in netto contrasto con il volere del Dio dell’Amore annunciato dal Cristo, una soluzione fu trovata. Se le porte del Paradiso non si potevano aprire ai non battezzati, nemmeno quelle degli Inferi li avrebbero inghiottiti!
Nacque così il Limbo una “zona” dove i morti senza colpa ma senza battesimo avrebbero potuto trovare una collocazione, sfuggendo quanto meno ai terribili tormenti infernali illustrati con dovizia di particolari agghiaccianti dai predicatori.
Anche la sorte del Limbo, per quanto esente dalle pene infernali, appariva però a molti come dolorosa. Così ad esempio Dante, che aveva a cuore il problema, non potendo negare l’esistenza del Limbo scrisse:

Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi
Però che gente di molto valore
Conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi.
(Inferno IV 43-45)

Il Limbo appariva quindi un rimedio ancora inadeguato a rispondere al bisogno di dare speranza ai genitori. Si cercò quindi un’altra soluzione…

(continua)

lunedì 8 giugno 2009

Il mistero del cinema sui muri di Legro




Alcuni anni fa un comitato di cittadini decise di dar vita ad una singolare iniziativa. Raffigurare sui muri della frazione ortese di Legro dei murales ispirati ai film girati sul Lago d’Orta.

Ecco così che sui muri di Legro è possibile rivedere, realizzati da vari artisti e ultimamente anche dai detenuti del carcere, dei “quadri” ispirati più o meno liberamente ai film.
Ai murales nel tempo si sono affiancate anche opere realizzate con materiali diversi, sculture e installazioni.

Ecco un paio di esempi:




Altri saranno pubblicati questa settimana su Immagini del Lago d'Orta.


I titoli dei film?
Impossibile ricordarli tutti, perché sono decine le pellicole, più o meno celebri girate, in tutto o in parte sul lago. In alcuni casi è la stessa storia ad essere ambientata sul lago. In altri si utilizza la location per girare alcune scene in esterno o interno.

Ecco un sommario elenco: “Addio alle armi” di Charles Vidor con Rock Hudson, Jennifer Jones, Vittorio De Sica, Alberto Sordi; “Riso amaro” di Giuseppe De Santis, con Silvana Mangano, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Carlo Mazzarella; “La stanza del vescovo” di Dino Risi, con Ugo Tognazzi, Ornella Muti; “Il piatto piange”, di Paolo Nuzzi, con Agostina Belli, Macario, Aldo Maccione; “La voglia di vincere”, di Vittorio Sindoni, con Gianni Morandi, Catherine Spaak, Milly Carlucci; “Il balordo” di Pino Passalacqua, con Tino Buazzelli, Teo Teocoli; “Una spina nel cuore” di Alberto Lattuada, con Anthony Delon, Sophie Duez, Antonella Lualdi; “La spia del lago”, di Mitchell leisen, con Alan Ladd, Wanda Hendrix; “I racconti del maresciallo”, di Mario Soldati, con Turi Ferro, Nino Buazzelli.

Riguardo a questi film c'è pure un mistero. Alcune delle pellicole, girate sul lago le più antiche, sono letteralmente svanite e di esse non resta che qualche notizia in archivio.

Pensate: anche il vostro film preferito potrebbe un giorno scomparire.

Se poteste preservare
tre film dalla distruzione, quali titoli scegliereste?

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.