Questo è un blog di racconti, leggende, storie raccontate dagli ubriachi nelle osterie e di cialtronesche invenzioni che ruotano attorno al lago d'Orta. Se cercate la Verità, qualunque sia quella che v’illudete di trovare, avete sbagliato indirizzo.
mercoledì 17 giugno 2015
Il ponte del bosco
lunedì 28 luglio 2008
La vecchina e i leoni
Una valle che prende il nome dal torrente Strona, ma poiché di Strona ce n’è più di una, è bene specificare che la valle in cui abitava si trova nella provincia di Verbania…
Ooops, scusate ogni tanto mi scappa!
Devo precisare, a beneficio dei lettori che seguono questo blog da varie parti d’Italia e del mondo, che gli autoctoni, in specie i cusiani e gli ossolani si offendono molto se la provincia è chiamata col nome del capoluogo. Poiché ci tengo a mantenere sane relazioni sociali debbo precisare che il nome della provincia è "Verbano Cusio Ossola".
Questo nonostante la targa sia “VB”. La quale, badate bene, non indica Vibo Valentia. Lo sottolineo perché da un errore banale possono derivare conseguenze serie. Alcuni anni or sono la Gazzetta Ufficiale scambiò VB (Verbania, ovvero Verbano Cusio Ossola) con VV (Vibo Valentia, appunto). Il risultato fu che all’apertura delle liste per l’iscrizione degli insegnanti nel neonato Provveditorato agli Studi della provincia di Verbania, si presentarono migliaia (!) di aspiranti insegnanti dal Mezzogiorno.
Ora, se coltivi il sogno del posto fisso nella scuola, ti sei fatto un migliaio di chilometri di viaggio, hai prenotato l’albergo e sei in coda da ore davanti allo sportello, l’ultima cosa che vuoi sentirti dire è: “Guardate che la Gazzetta Ufficiale ha sbagliato. VB è Verbania non Vibo…”
Venne fuori una mezza rivoluzione, con i Carabinieri costretti a difendere gli impiegati dal linciaggio.
Racconto l’episodio a beneficio degli studenti, perché studino queste benedette provincie, se ancora a scuola le insegnano, ché poi potrebbero finire col fare, non dico i concorsi come insegnante, ma gli impiegati alla Gazzetta Ufficiale.
Verbano Cusio Ossola. Come si arrivò ad un nome così lungo? È presto detto: circa quindici anni fa gli abitanti del nord della provincia di Novara decisero che non era conveniente dover andare fino a Novara per ogni pratica di competenza provinciale. Nacque così la secessione del nord, che volle costituirsi in Provincia con un proprio Presidente, Assessori, Consiglieri e i necessari uffici burocratici per far funzionare la macchina provinciale.
Gli ossolani, da buoni montanari, vengono generalmente considerati gente dura, così cominciarono immediatamente a impuntarsi sul fatto che la nuova Provincia non potesse chiamarsi semplicemente “Verbania” (che sta, appunto sul Verbano) e pretesero la menzione dell’Ossola. Naturalmente i Cusiani si sentirono discriminati e chiesero che allora non si omettesse nemmeno il Cusio. Dopo alcuni tentativi cacofonici ne scaturì il nome attuale. Questa almeno è la versione che circola sul Cusio. È possibile che in Ossola circoli una versione alternativa in cui sono i Cusiani a fare la parte dei capatosta, mentre quelli del Verbano considerano probabilmente entrambi dei protervi rompiscatole.
Come in ogni secessione che si rispetti, ci fu una contro secessione da parte dei comuni che sarebbero stati i più meridionali della nuova provincia. Una parte della popolazione propose di farli diventare invece i più settentrionali della nuova (e ridotta) Provincia di Novara.
Poiché le popolazioni del Cusio non sono sanguigne come quelle di altri parti del mondo e soprattutto hanno la fortuna di vivere in uno stato democratico, la questione fu sancita ai bussolotti. Con le urne e le schede, intendo.
Fu così che il lago d’Orta e il lago Maggiore vennero segati a metà. Il Verbano c’era abituato: se sei diviso tra svizzeri (per quanto ticinesi) e italiani (per quanto lombardi e piemontesi), puoi sopportare che questi ultimi si dividano ulteriormente.
Ma il povero Cusio, dopo tanti anni di ritrovata unità, tornò ad essere diviso come ai tempi della Riviera di San Giulio, con Omegna che se ne andava per i fatti suoi.
A complicare le cose ci si misero le ripicche. La provincia di Novara, che prima si vantava di andare “dal Riso al Rosa” stampò una stizzita mappa della nuova provincia indicando, oltre il confine settentrionale “Hic sunt leones”: terra incognita, dove circolano i leoni.
La provincia del nord restituì la cortesia alla prima occasione propizia. Questa volta, si può dire, con alcune ragioni, dal momento che a sud i leoni ci sono davvero: al Safari Park di Pombia, che è in Provincia di Novara, per quanto vicina alla Lombardia.
Alcuni cusiani, stanchi di questa situazione, hanno pensato bene di risolvere salomonicamente la questione mettendo i leoni sia a nord di Gravellona Toce (VB) che a sud di Gozzano (NO). I cusiani, del resto, sono noti nel mondo per lo spirito d'iniziativa...
Attualmente, se navigate sul Cusio, da Omegna a Orta o da Pella ad Omegna, vi capiterà ad un certo punto di incontrare un gradino nell’acqua. Ecco, quello è il confine tra la Provincia di Novara e quella del Verbano Cusio Ossola. Talora, per quanto vi sforziate, non vi sarà in alcun modo possibile superarlo e dovrete tornarvene da dove siete venuti, con le pive nel sacco.
Alcuni cusiani, gente intraprendente come si è detto, stanno progettando un ponte per scavalcare il gradino, ma attualmente si discute se debba partire da Pella o piuttosto da Orta...
La nostra vecchina però, di tutto questo era ignara, essendo vissuta molto tempo prima di questi fatti…
domenica 27 luglio 2008
La vecchina e il torrente
C’era una volta una vecchina che viveva in una valle piemontese…
Una valle che prendeva, e tuttora prende, il nome dal torrente che la discende tutta, saltellando e caracollando di roccia in roccia da quel ragazzaccio cattivo e dispettoso che è. Il suo nome, del torrente intendo, è Strona, voce che si vuol far derivare da un’antica parola celtica, la stessa che sta alla base dell’inglese “stream”.
E di rumore lo Strona ne fa davvero tanto, scendendo a perdifiato da Campello Monti fin giù ad Omegna. Lì il monello pare sul punto di gettarsi nel lago d’Orta, ma con un repentino cambio di direzione, complice un affioramento roccioso, punta decisamente verso nord, verso le Alpi. In questo modo il birbante, invece di comportarsi da virtuoso affluente del lago, costringe le stesse acque del lago a confluire nelle sue, attraverso il brevissimo canale chiamato Nigoglia.
E siccome era ed è veramente un briccone, un giorno decise di non poter sopportare più l’idea di essere affluente del Verbano.
«Come!» esclamò. «Ho rifiutato d’affluir nel Cusio, dove sarei stato il maggiore degli affluenti e ora mi ritrovo ad essere il minore degli affluenti del Maggiore?»
Come avrete capito il disgraziato amava esibirsi in ignobili bisticci di parole. E ci rideva pure di gusto, il ribaldo, che subito dopo prese a fare il matto a più non posso. Tanto disse, tanto fece, che riuscì a fare un’altra capriola.
E così, per il puro gusto di far dispetto ai geografi, gli riuscì di diventare, a poche centinaia di metri dal Lago Maggiore, l’ultimo affluente del Toce, anzi della Toce.
Sì perché i nomi dei fiumi, da queste parti, si considerano femminili, all’uso celtico: la Toce, la Sesia e naturalmente anche la Strona.
Che così riuscì a fare il suo ultimo, almeno per ora, scherzo: cambiare sesso.
sabato 5 luglio 2008
Il misterioso barcone che viaggiava ad ufo
Il barcone ottocentesco, da alcuni definito pomposamente “galeone”, è un’imbarcazione in legno lunga circa 22 metri per 7 di larghezza. La fiancata sinistra, nelle immagini filmate presentate il 28 giugno dai Carabinieri, appare in buono stato di conservazione, mentre quella destra è distrutta, anche per il peso del carico.
La barca trasportava infatti blocchi di marmo, verosimilmente provenienti dalle cave di Candoglia e destinati alla Fabbrica del Duomo di Milano. Il tragitto di queste pietre è noto: erano trasportate via acqua sul Lago Maggiore, il Ticino e i navigli fino alla darsena del Laghetto (oggi in via Laghetto, vicino all’Università Statale).
I materiali, tradizionalmente viaggiavano “ad ufo”. Niente a che vedere coi dischi volanti, naturalmente. Queste barche erano esentate dal pagamento dei dazi, essendo il Duomo di Milano, un’opera pubblica. Le merci erano contrassegnate dalla scritta “ad usum fabricae”, abbreviata “ad U. F.”. L’espressione popolare viaggiare “ad uf” (in italiano “ad ufo”) si usa tuttora per dire “gratis”.
Le cause dell’affondamento dell’imbarcazione dei marmi che viaggiava ad ufo sono, al momento, ancora misteriose.
venerdì 13 giugno 2008
Notte da fiaba

Per la seconda edizione della Notte Bianca di Verbania la Biblioteca Ceretti esce da Villa Majoni e propone un appuntamento di narrazione rivolto al pubblico sia dei grandi che dei piccoli, che si svolgerà nel parco di Villa Giulia a Pallanza.
Sarà uno spettacolo di storytelling, ovvero di narrazione teatrale di storie, ideato e condotto dall'attrice torinese Silvia Iannazzo, con testi tratti dalla tradizione. I racconti “Cola Pesce” e “E sette!” sono tratti dalle Fiabe Italiane di Italo Calvino; il racconto “Donna Scheletro” proviene invece dalle pagine di Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estès.
L'occasione della notte bianca è fra le più indicate per avvicinarsi al mondo delle fiabe. Infatti le fiabe hanno molto in comune con il sogno notturno: sono occasioni in cui si manifesta l'inconscio di ognuno di noi, le paure, le insicurezze, le prove da superare, i “riti” da compiere. Per questo l'appuntamento è rivolto sia ai piccoli che agli adulti. Le fiabe scelte per questa serata, poi, hanno anche un'ambientazione “acquatica”, che ben si adatta ad un suggestivo appuntamento in riva al lago.
Silvia Iannazzo, attrice e narratrice, si è diplomata al Teatro Stabile di Torino con Luca Ronconi. Ha lavorato in diversi spettacoli di Ronconi, fra cui Calderon e Pilade di Pasolini e Medea di Euripide. Fra gli altri spettacoli, ha lavorato con Marco Baliani in Le Antigoni della città. Tiene regolarmente stages e laboratori teatrali, di voce e di storytelling in tutta Italia.
Lo spettacolo Notte da fiaba si svolgerà sabato 14 giugno al gazebo del parco di Villa Giulia, con inizio alle ore 21.00. In caso di maltempo si svolgerà all'interno della Villa.
L'ingresso è gratuito.
Si allega il materiale informativo, ringraziando per la diffusione
Info: Biblioteca Civica tel. 0323 401510
e-mail: direzione.verbania@bibliotecheVCO.it
domenica 1 giugno 2008
L’Uriana
L’Uriana è vecchia, calva, brutta, ha gli occhi rossi e lunghi denti gialli e affilati, una lingua lunga che agita come una frusta, la parte inferiore del corpo coperta di squame.
Il suo cibo preferito? I bambini che si avvicinano troppo all’acqua.
«Stai lontano dall’acqua che l’Uriana ti mangia!» gridano le donne ai bambini che paiono irresistibilmente attratti dai viscidi sassi sulle sponde del torrente. «State molto lontani dalle rive, bambini, che esce l’Uriana col rastrello e vi tira dentro».
Molti giurano di averla vista emergere dalle acque gelide, con il suo aspetto spaventoso, i suoi artigli affilati, l’insaziabile fame di tenera carne di bambino. Lascia la grotta in cui, si dice, nasconde un tesoro favoloso, e si apposta nel fiume, col rastrello in mano, pronta a ghermire le sue prede.
L’Uriana però è di bocca buona e può accontentarsi anche di pesci, soprattutto quando i bambini si mostrano saggi e ubbidiscono agli ordini degli adulti. Per questo motivo infesta anche le lanche più pescose del torrente. Zone del torrente da cui anche gli adulti fanno bene a stare lontano. Così almeno raccontano certi pescatori…
domenica 18 maggio 2008
La seconda isola
Leggo sul volto del Filosofo la mia stessa espressione. Ci mettiamo comodi e sorseggiamo le nostra bevanda. Un bianco lui, un analcolico io. Non ho idea di cosa ci sia nel bicchiere di Caronte e francamente non so se ho voglia di scoprirlo…
«Era la fine di ottobre. Ne sono certo, perché ero andato sull’isola per la messa di suffragio del Gino. Non che il Gino ci andasse molto in chiesa, ma questo non ha importanza, credo…
Bene, sono venuto via prima, da solo, con la Carolina, la mia barca, perché dovevo fare un servizio.
Dopo pochi metri si era alzata la nebbia e non si vedeva più nulla. Nulla vi dico. Riuscivo a malapena a vedere l’acqua sotto lo scafo e a volte neanche quella, perché ormai si faceva buio. Ho provato a chiamare, ma non si sentivano più nemmeno i rumori.
Ero assurdamente perso in un lago largo un chilometro e mezzo. Ho pensato che forse stavo andando a nord, verso Omegna, o a sud verso Gozzano…
Fu allora che vidi le luci. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi da quella parte. Le luci erano tremolanti e sembravano precedermi. Pensai fosse una processione di barche, così mi accodai, finché vidi molte luci davanti a me. Riconobbi la sagoma dell’isola o almeno così mi parve. Riuscivo a vedere molte persone con delle torce in mano.
Pensando che stessero cercando me stavo per dare loro la voce, quando la nebbia cominciò a diradarsi.
Non erano torce quelle che ardevano nella nebbia. Erano le dita delle loro mani a bruciare!
Osservai impietrito le orbite vuote e le bocche aperte in un urlo silenzioso finché non vidi il Gino, meglio conservato degli altri, che mi faceva cenno di andarmene, disegnando segni di fuoco con le mani.
Allora virai di colpo, mettendo al massimo il motore della Carolina, guardandomi indietro di continuo per vedere se mi stessero seguendo.
Infine, non so come, riuscii a raggiungere Orta.
lunedì 28 aprile 2008
I misteri del rubinetto

Prendete un oggetto di uso quotidiano che tutti teniamo in casa, come un rubinetto.
Con un gesto distratto lo apriamo, lasciamo correre l’acqua e infine lo chiudiamo.
Difficilmente ci rendiamo conto di come quei semplici gesti mettano in moto meccanismi di cui siamo fondamentalmente ignoranti. Tanto meno riusciamo a cogliere quanta storia millenaria sia racchiusa in quel pezzo di metallo cromato o verniciato.
Finalmente, però, da qualche tempo un sito ha deciso di svelare i misteri del rubinetto ai profani. Su www.museodelrubinetto.it è stata aperta una sezione dedicata alle “curiosità idrauliche”. Come una sorta di “sala delle meraviglie” seicentesca, in essa si vanno raccogliendo le testimonianze di una storia nota finora solo agli specialisti.
Se poi avete piacere di scoprire chi sia la misteriosa autrice di questa galleria virtuale, non avete che da visitare il suo blog...
domenica 27 aprile 2008
La Pissa dei Dannati
I due uomini in precedenza erano stati ladri e assassini. Imbrogliando i Canonici avevano pensato di trovare in quel luogo appartato un rifugio sicuro, in cui esercitare la loro indole malvagia.
Pochissimo interessati al lavoro nei pascoli, erano invece principalmente occupati a compiere ogni genere di sopruso ai danni degli altri alpigiani. Spostavano i termini dei confini, tagliavano le piante e facevano sparire le greggi. E le donne e i ragazzi dovevano stare ben alla larga da loro, se non volevano finire molto male.
Le lamentele per le loro iniquità giunsero infine agli orecchi dei Canonici, che decisero di andare di persona a controllare ciò che stava accadendo in quei luoghi.
Due di loro salparono all’alba dall’Isola di san Giulio e, sbarcati ad Omegna, risalirono la valle a piedi. Quando giunsero a Capello videro coi loro occhi i due intenti a rubare della legna nel bosco. Allora si avvicinarono e cominciarono a rimproverarli aspramente, ricordando loro le pene che attendevano i peccatori dopo la morte.
I due però risero alle loro parole e bestemmiando gridarono di non avere alcuna paura né degli uomini, né di Dio. Infine, afferrati bastoni e coltelli, si avvicinarono minacciosi ai due Canonici per togliere di mezzo quegli importuni testimoni.
All’improvviso però si alzò una nebbia fittissima e i due banditi non riuscirono più in alcun modo a scorgere i Canonici. La foschia era così densa da non consentite loro nemmeno di vedere i propri piedi, così cominciarono a brancolare come ciechi, chiamandosi l’un l’altro.
Infine riuscirono a trovarsi e si abbracciarono felici, ridendo e bestemmiando Dio, che nulla poteva contro di loro.
Ma non appena uno dei due mosse un passo, trovò il vuoto invece del terreno erboso. Aggrappandosi disperatamente al compagno lo trascinò con sé nella caduta. I loro corpi caddero sulle rocce sottostanti e finirono nel torrente, che li trascinò via.
Quando infine i loro corpi vennero trovati, incastrati sotto una cascata, si diffuse una voce. Le loro anime, a punizione dei loro peccati, sarebbero rimaste per sempre sotto quelle acque gelide e turbinose, eternamente battute e rivoltate dalla corrente.
Per questo motivo la cascata prese il nome, che ancora conserva, di “Pissa dei Dannati”.
giovedì 24 aprile 2008
I racconti del Barcaiolo. I pescatori di uomini.
«Certo che me li ricordo, io, i pescatori di uomini!»
Il suo pugno si abbatte sul bancone facendo tintinnare il bicchiere. Il Filosofo mi guarda e sorride, con quella sua aria enigmatica dietro le lenti spesse.
«Non mi credete, vero?» ci guarda con aria torva. «Giovani di oggi…»
Non vogliamo farlo arrabbiare troppo, così cerchiamo di calmarlo, assicurandogli che si, certo, gli crediamo. Soddisfatto, vuota d’un fiato il bicchiere e mi guarda, chiudendo un occhio e appoggiando una mano al ginocchio e il gomito al bancone.
«Dovevano intervenire almeno una o due volte l’anno, se non di più. Soprattutto d’estate, ma non solo. I mulinelli non perdonano.»
«Mulinelli?» sorrido. «Avete veramente visto i mulinelli sul lago? Tutti ne parlano, ma non mi sembra che nessuno li abbia mai visti. Del resto, non c’è corrente…»
«Sentitelo, il laureato!» mi sghignazza in faccia con l’alito che puzza di vino. «Nel lago non ci sono correnti! Le si vede ad occhio nudo le correnti, altro che! E talora qualcosa si muove sul fondo e produce dei vortici, capaci di risucchiare chiunque!»
«Forse il terreno frana» annuisco. «In effetti questo è capitato al padre di un mio amico. Stava facendo il bagno davanti alla spiaggia del Miami e ha sentito il fondo che cedeva, risucchiandolo. Si è salvato a stento. D’altro canto lì tutta la riva è instabile, perché si è formata con la frana provocata dall’inondazione…»
«Vedi che inizi a ragionare» mi punta contro il suo grosso dito, sorridendo soddisfatto. «Me la ricordo io l’inondazione. In una notte è venuto giù tutto. È stato un caso che non sia morto nessuno. Comunque io non lo so cosa c’è sul fondo del lago, però so che ogni tanto qualcuno, senza motivo, scompare nell’acqua. Una volta non c’erano i subacquei, cosi spesso il cadavere non si trovava. Del resto anche oggi, talvolta… In ogni caso, quando il corpo non veniva a galla, intervenivano loro, i pescatori. Avevano lunghi ferri, con cui scandagliavano il fondo, almeno nelle parti dove potevano arrivare, perché il lago in alcuni punti è così profondo che nessuno, perfino oggi, ci è mai sceso… Con quei lunghi uncini riuscivano ad agganciarli e a ripescarli. Così almeno si poteva dare loro sepoltura.»
Ripenso alle tante risorgive che abbondano nelle acqua del lago e al brivido che improvvisamente si prova nelle afose giornate d’estate quando, nuotando, ci entri senza saperlo; all’acqua tiepida che diventa gelata e alle conseguenze che ciò può avere, specie se si è così incoscienti da gettarsi in acqua dopo pranzo.
E mi chiedo, la colonna di acqua fredda potrebbe innescare qualche altro meccanismo e “risucchiare” il nuotatore? Troverò qualcuno in grado di rispondere a questa domanda?
I racconti del barcaiolo. L’isola nella nebbia
È il Filosofo a presentarmelo. Il Filosofo una sorta di collega di Caronte, perché lavora all’ufficio turistico di Orta che è un porto di mare, dove incontri persone provenienti da tutte le parti del mondo. Anche il Filosofo ne avrebbe da raccontare di storie, ma ci saranno altre occasioni per farlo.
Caronte mi guarda, con l’occhio indagatore di chi sa indovinare al volo chi ha di fronte. Ed estrae dalla sua inesauribile borsa di storie quella che va bene per me.
«Era il gennaio del 2005» comincia. «Sono sicuro, perché la settimana dopo c’era la festa di San Giulio. C’era una nebbia spaventosa, quella mattina, da non vedere l’isola. Avevamo capito che non ci sarebbe stato molto lavoro. Così ce ne stavamo tutti al bar, quando entrò un tizio, magro e pallido come la nebbia.
“Scusate, devo andare all’isola.”
I modi erano gentili, ma con il tono era così deciso da non ammettere risposte negativi. Gli dissi che avrei finito di bere il mio amaro e poi l’avrei portato io. Mi rispose che avrebbe aspettato fuori. Lo ritrovai sul molo, infatti. Si guardava continuamente attorno, come se aspettasse l’arrivo di qualcuno. Quando accesi il motore e mi staccai dalla riva, tirò un sospiro di sollievo.
“C’è una gran nebbia, oggi” dissi, cercando di avviare una conversazione con quell’enigmatico passeggero. «Si fermerà molto? Glielo chiedo perché normalmente basta che le persone si affaccino al molo e noi veniamo a prenderle, ma oggi…”
“Penso che mi fermerò parecchio” rispose.
Guardai dinnanzi a me, cercando d’individuare la sagoma dell’isola, ma la nebbia sembrava infittirsi.
“Non vi ricordate di me, vero?” mi chiese improvvisamente.
“Cosa volete” sorrisi indulgente “trasportiamo migliaia di persone all’anno...”
“Esattamente un anno fa mi avete portato indietro” insisté. “C’era anche una ragazza.”
“Mi spiace, ma trasporto centinaia di coppie di fidanzati, sposi, eccetera.”
“Non era certo la mia fidanzata, quella!”
A quel punto la mia curiosità prevalse. In ogni caso è meglio assecondarli, i matti.
“Sentite, perché non vi spiegate meglio? Così magari mi viene in mente…”
“Si certo” annuì. “A voi posso dirlo, dopotutto.”
Si avvicinò, per poter parlare senza dover sovrastare il rumore del motore urlando.
“Tre giorni a pane ed acqua” sorrise. “E per tre giorni trovai tutte le porte delle chiese chiuse. Finché il triduo di penitenza terminò e venni all’isola per confessarmi. Feci una confessione completa, da quando ricordavo i primi peccati. Mi aprii, fui assolto e fui sollevato. Quando ebbi finito andai nella Basilica a pregare sulla tomba del Santo Giulio, il grande esorcista. Felice lasciai la chiesa e mi diressi al molo. Fu lì che vidi la ragazza. Non c’era nessun altro oltre a noi. Io e lei, su un isola apparentemente deserta. Era carina, eravamo soli, sarebbe stata l’occasione ideale per attaccare bottone. Ma mi ero appena confessato ed ero già impegnato… Notai il suo sguardo un po’ deluso quando, dopo un po’ la barca salpò da Orta e venne a prenderci. C’eravate voi alla guida, me lo ricordo bene.”
“Può essere…” risposi più per farlo contento che per convinzione.
“Voi, comprensibilmente attratto, cominciaste a parlare con lei. Io ero seduto dentro e sentivo solo parte del vostro dialogo. Ad un certo punto però udii distintamente le vostre parole.
‘Venite spesso sull’isola?’
‘Solo se costretta’ scosse la testa lei. ‘L’acqua mi fa paura.’
A quel punto mi guardò e io riconobbi quello sguardo. In quel momento sentii la paura corrermi ad onde lungo la schiena. Vedete, c’’è un’antica leggenda che spiega come i demoni temano l’acqua e non possano attraversarla. Un tempo l’isola era infestata da loro, ma il Santo li cacciò, bandendoli per sempre da qui. Quel giorno un altro demone era stato cacciato e se ne andava dall’isola. Per questo ho deciso che tutti gli anni sarei tornato a confessarmi qui.”
Improvvisamente vidi la terra di fronte a me, ma con un brivido mi accorsi che non si trattava dell’isola, ma di Orta. Non so come, ma nella nebbia mi ero perso ed ero tornato indietro. Prima di poter dire qualsiasi cosa, vidi la ragazza in attesa sul molo.
Allora la riconobbi. Sorrise, ma il suo era un sorriso crudele.
Preso dal panico virai immediatamente, puntando al largo, mentre l’uomo accanto a me cominciava a pregare e invocare il Santo.
Vi giuro che non sto scherzando: la nebbia si alzò e vidi l’isola, mentre il sole iniziava a scintillare sull’acqua. Il mio passeggero si accasciò su un sedile, tenendosi la testa tra le mani e ringraziando San Giulio. Quando mi voltai verso il porto non c’era nessuno sul molo.»
Metodi sicuri per far tornare il sole
Sapeva invocare la pioggia quando c'era la siccità, ma sapeva anche cosa fare quando pioveva troppo.
In quel caso le donne si recavano ad un grande masso vicino alla strada per Miasino. La Lina forse non sapeva che quel masso era stato deposto lì dal ghiacciaio migliaia di anni prima.
O forse lo sapeva.
Ciò che sapeva per certo, però, era che per far smettere di piovere bisognava implorare l'immagine della Madonna di Crana, conservata in una cappella lì vicino.
Metodi sicuri per invocare la pioggia - 2

I pellegrini, peraltro, si radunavano a Buccione non solo prima che la ferrovia raggiungesse il Cusio, ma addirittura prima che quell’inglese inventasse il cavallo a vapore.
Da tempo immemorabile venivano, fin dai più sperduti casolari del novarese in pellegrinaggio alla Fonde di San Giulio alle cui acque persino San Carlo Borromeo aveva bevuto.
I pescatori remavano e intanto chiacchieravano con i pellegrini, scambiando notizie e raccontando aneddoti. I più giovani cercavano di far colpo sulle ragazze esibendo le braccia dure come il legno con cui sfioravano appena il pelo dell’acqua, facendo avanzare le barche.
I più anziani si divertivano a raccontare le loro imprese di pesca e i pericoli scampati in modo miracoloso.
«Tutto il giorno ho lottato per prenderlo. Un luccio così lungo e pesante che a fatica sono riuscito ad issarlo sulla barca».
«Quando il vento viene dal Mesma lo chiamiamo Traversone. Si alza all’improvviso, nelle calde giornate d’estate, come questa. In pochi minuti ci sono onde alte come cavalli!. Ma questo è nulla. Quando il Traversone si scontra con il vento della Valsesia allora il lago sembra impazzito. Le onde si scontrano con le onde e l’acqua pare ribollire, come se un Drago rotolasse sul fondo del lago, agitando la coda. Una barca può affondare in pochi minuti e l’unica cosa da fare e raggiungere la terra il più in fretta possibile pregando San Giulio di avere il tempo per farlo.»
Racconti come quelli aumentavano la gratitudine degli spaventati pellegrini, ben pochi dei quali sapevano nuotare, che spesso aggiungevano una moneta al compenso pattuito.
Perché andare alla Fonte non era solo l’occasione per una gita sul lago. Era una necessità nei tempi di siccità o quando le locuste invadevano i campi. Erano note infatti le proprietà della sorgente, miracolosamente fatta sgorgare dal santo assetato nel suo cammino verso la punta Casario, da cui sarebbe partito per il suo viaggio miracoloso.
«Stese il mantello sull’acqua e vi navigò sicuro come su una barca, utilizzando il remo come mantello.»
Perciò, pieni di fede i pellegrini sbarcarono nella piccola spiaggia per prendere quell’acqua freschissima e perenne. Sparsa sui campi, avrebbe fatto piovere finalmente, dopo tanta siccità, e sarebbe stata rimedio infallibile per cacciare i parassiti che ormai infestavano i raccolti.
Metodi sicuri per invocare la pioggia - 1
«Ancora qualche giorno così e il raccolto andrà in malora.»
«E noi faremo la fame»
Gli uomini scuotevano la testa e guardavano il cappello di nuvole che volteggiava sulla vetta del Mottarone.
«Quando il Mottarone ha il cappello» sentenziò un vecchio «o che piove o che fa bello.»
Nessuno contraddisse l’antica sapienza dell’uomo.
«Dobbiamo andare dalla Lina» conclusero «e chiederle di fare qualcosa.»
La Lina era la maestra del paese, ma la sapienza a cui doveva fare ricorso in quella circostanza aveva ben poco a che fare con la grammatica e l’aritmetica.
Riunì le donne del paese e le guidò in una processione senza insegne religiose, mormorando una preghiera che ai più sembrava un'Ave Maria e a pochi una litania le cui parole, tramandate di donna in donna, erano difficilmente comprensibili.
Giunte al Ponte del Bosco, presso la confluenza del torrente Ondella nell’Agogna, attinse l’acqua con una brocca e diede a tutte da bere, intimando di non berne, né sputarne, nemmeno una goccia. Poi si riempì a sua volta la bocca e a cenni guidò le donne in processione verso l’immagine della Madonna, passando sul ponte.
Giunte davanti alla cappella, ad una ad una, cominciando dalla Lina, cominciarono a versare l’acqua, implorando la pioggia.
Infine, fiduciose, si diressero verso il paese, scrutando il cielo per scorgere i nuvolosi carichi di quella pioggia così tanto attesa.
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Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.