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lunedì 14 febbraio 2022

Luoghi per innamorati

 



Ci sono nel bosco certi luoghi che un tempo si credeva vibrassero di misteriose energie soprannaturali. Sorgenti, specchi d’acqua, grotte, alberi e rocce erano la dimora di spiriti che potevano essere pericolosi o benefici, amicalmente servizievoli o crudelmente beffardi.

Contro queste tradizioni per secoli i Vescovi e i preti tuonarono dai pulpiti inutilmente. Più o meno nascostamente le persone continuarono a recarsi nei boschi, sino a epoche sorprendentemente recenti. E questo accadeva anche dalle nostre parti.

Tra le varie tradizioni una prevedeva che gli innamorati portassero l’amata presso una di queste rocce particolari e lì dichiarassero il loro amore.  Una tradizione che continua anche oggi? Parrebbe di sì a giudicare da quel che dicono i boschi, muti testimoni di passeggiate di coppia. 

Con quali risultati è difficile dirlo. Scatterà la scintilla? Durerà un mese, un anno o tutta la vita? Saranno parole d’amore scolpite nella pietra o scritte sulla sabbia? Tante, troppe sono le variabili per dare la responsabilità a un povero sassone che un antico ghiacciaio ha perduto nel bosco un po' a caso.

I Greci, che come ben sapeva Jung se ne intendevano di psicologia, consideravano Eros il più potente degli dei, giacché nessuno degli immortali poteva dirsi immune al suo potere. Ma Eros è un dio capriccioso e dispettoso, a cui piace creare una gran confusione e si diverte un mondo quando riesce a creare le attrazioni più strane e talora incompatibili.

Ma del resto che importa? Come dice il Buddha alla fine solo tre cose contano: quanto hai amato, come gentilmente hai vissuto e con quanta grazia hai lasciato andare cose non destinate a te.

I Greci comunque avevano intuito anche il legame tra Amore e i sassi. Il Santuario di Afrodite a Paphos nell'Isola di Cipro fu il più importante e il più antico dei santuari della dea, risalente alla tarda età del bronzo e in uso fino al IV secolo d.C. quando fu chiuso per decreto del cattolicissimo imperatore Teodosio. Il luogo non era casuale, perché secondo il mito Afrodite emerse dalla spuma del mare proprio di fronte a Paphos. All’interno della struttura, tuttavia, non c’era una statua. Il culto infatti era aniconico e veniva adorato un betilo, una pietra arrotondata approssimativamente conica. Scavi condotti nelle rovine del Santuario hanno effettivamente messo in luce una pietra di basalto che si ritiene potesse essere l’oggetto del culto. Se voleste vederla si trova nel locale museo.

A ben vedere, comunque, anche ai nostri tempi il legame tra l’amore e la pietra resiste, benché questa sia stata ridimensionata e collegata a certi tipi che stanno bene su un anello e si dice durino per sempre. Cosa tipica della nostra società consumistica, del resto, per la quale per dare valore a un sentimento che non ha prezzo si deve mettere mano alla carta di credito.

Nella foto il masso erratico che sorge dalle acque del Rio Zuffolone, che quelli di Suno chiamano “Preja da Scalavè” e quelli di Mezzomerico "Prion d'la Val dal Sec".


domenica 1 aprile 2012

I piedi sulla roccia

La roccia è simbolo di qualcosa di stabile ed immutevole. Passano le generazioni degli uomini, ma le rocce rimangono al loro posto, a differenza della sabbia in cui i segni scompaiono nel giro di una manciata di minuti. Per questo motivo trovare impronte sulle rocce è per molti aspetti sconvolgente e fonte di miti e leggende.
Talora si tratta di antichissime impronte di ominidi, come quelle scoperte a Laetoli, in Africa, che rappresentano un’istantanea di 3,7 milioni di anni fa, impressa per sempre sulla cenere vulcanica solidificata.

Impronte come queste possono generare curiose leggende. È il caso delle “Ciampate del Diavolo”, a Tora e Piccilli, un piccolo comune dell’Alto Casertano dove si trovano delle impronte che tradizionalmente si credeva fossero state lasciate da Lucifero su una colata di lava incandescente.
In realtà si tratta delle impronte lasciate da uno dei primi uomini giunti in Europa. Tra 385.000 e  325.000 anni fa un Homo Erectus camminò su uno stato di fanghiglia vulcanica. Dalla loro misurazione sappiamo che era  alto circa 1,60 m e di piede avrebbe potuto indossare scarpe di numero 35-36.

Altre volte le impronte hanno forme strane e particolari. La loro forma, la distanza tra un’orma e l’altra suggeriscono che non siano state lasciate da esseri umani.
E infatti si tratta in certi casi di impronte di dinosauri, che dalle epoche più remote giungono a noi impresse nella pietra. Impronte che assieme al ritrovamento di ossa fossili hanno contribuito a far nascere i miti dei draghi e dei giganti.

Ci sono anche impronte collegate a personaggi importanti, capaci di imprimere nella roccia la forma del proprio piede, a testimonianza di eventi miracolosi.
Così, al Sasso Gambello, all’imbocco della Valle Strona c’è una roccia su cui si trova l’impronta del piede di San Giuseppe. In fuga dagli ariani con la Sacra Famiglia nella piana di Cireggio, avrebbe preso la Madonna e Gesù Bambino in braccio, spiccando un gran balzo oltre il torrente Strona. Lasciando il suo segno nella roccia.

Anche San Giulio, personaggio molto legato al lago d’Orta, lasciò il segno su una roccia, dalle parti di San Maurizio d’Opaglio. Precisamente alla Fontana di san Giulio (nella foto), una sorgente perenne considerata miracolosa, dove da tutto il Novarese si andava in processione a prendere l’acqua limpidissima per bagnare i campi in tempo di siccità per invocare la pioggia.
Narra la leggenda che il santo, andando verso l’isola che sorge in mezzo al lago si sia fermato lungo la costa occidentale e chinandosi a bere a questa fonte abbia impresso l’impronta del suo sandalo su una pietra in cui è ancora visibile…

giovedì 30 luglio 2009

La Preia Batizaa


Esiste una pietra a Bugnate, sulle colline sopra Gozzano, non lontano dal Colle della Madonna della Guardia da cui, si dice, gli uomini debbano stare lontani. Avvicinandosi troppo potrebbero sentire infatti il pianto dei bambini che le donne in età fertile andavano a prendere in quel luogo.

Il masso è denominato Preia Batizaa (Pietra Battezzata) forse per via delle numerose coppelle che ne ornano la sommità.

mercoledì 29 luglio 2009

Lo scanna brag


Ad Omegna tra le case della frazione di Cranna c'è un masso, gelosamente difeso dagli abitanti, chiamato lo “scanna brag" (che potremmo tradurre "il rompi calzoni").
Su di esso generazioni di ragazzi si sono lasciati scivolare, incuranti delle numerose coppelle che lo decorano... e dei rimproveri delle madri preoccupate per le toppe da applicare al fondo schiena.
Anche in questo caso è probabile che l'origine dell'usanza sia legata ad antichi culti della fertilità praticati dalle donne in età fertile in tutta Europa.
Nel Belgio Vallone esiste un masso simile, accanto ad una cappella chiamata, in modo irriverente, "Notre Dame de Ride-Cul" (Nostra Signora del Grattaculo).


Una nota curiosa: il termine brag, usato in dialetto per indicare i calzoni, deriva dalle "bracae", vestito indossato dai Celti ai tempi in cui i romani portavano invece la gonna e irridevano i barbari perché avevano "paura femminea" a mostrare le gambe.

martedì 28 luglio 2009

Le coppelle del Monte Zuoli


Su un'altura sopra Omegna, chiamata Monte Zuoli, vi sono alcune rocce in cui furono scavate, in tempi antichi, piccole conchette chiamate coppelle.
Nelle vicinanze si trovano anche due rocce levigate che i bambini utilizzavano come scivoli. Si racconta però che anche le donne che non riuscivano ad avere figli vi si sedessero e, alzate le vesti, si lasciassero scivolare per concepire un figlio direttamente dalla potenza generatrice della Terra.

domenica 4 maggio 2008

Metodi sicuri per far nascere i bambini

Ci sono luoghi da cui è bene che gli uomini stiano alla larga.
Questo veniva ripetuto nei racconti attorno al fuoco o nelle stalle, quando alla sera ci si radunava per chiacchierare, sbrigando gli ultimi lavori della giornata.
Non che quei luoghi fossero malvagi. Non tutti perlomeno. Non che il divieto fosse effettivamente esteso a tutti.
Erano i maschi adulti a doverne stare lontani.

Perché lì, sui massi, le donne andavano a prendere i bambini. I quali potevano anche tornarci, per giocare allo scivolo sulla pietra liscia che li aveva generati. Ma gli uomini no.
Per loro quello era territorio proibito e portava male avvicinarsi. Una serie di racconti raccapriccianti descrivevano, in maniera dettagliata, cosa era capitato a quei pochi, incoscienti, pazzi o empi, che avevano osato sfidare il divieto.
Decisamente meglio non rischiare, pertanto. Tanto quelle erano cose di donne di cui gli uomini nulla capivano o potevano capire.

Poiché il valore di una donna si misurava soprattutto dai figli che riusciva a partorire, un ritardo eccessivo nel rimanere incinta cominciava ad essere oggetto di commenti e rimproveri più o meno aperti. Quale donna si poteva permettere di rischiare, allora? Chi poteva rifiutare l’aiuto della pietra che generazioni di donne, da tempo immemorabile, avevano invocato?

Nessuno ricorda più ciò che veniva compiuto; né come potessero prendere i bambini dalla roccia, perché quei riti anche allora erano avvolti dal mistero che solo alcune vecchie conoscevano e rivelavano a persone fidate. Perché i Vescovi, da secoli, avevano proibito quei culti antichi, anche se i preti preferivano non vedere e far finta di non sapere, purché le donne andassero a messa la domenica e le altre feste comandate. A nessuno interessava avere Inquisitori per il paese a far domande e ficcare il naso dove non avrebbero dovuto, perché si sa che a furia di scavare qualcosa alla fine si trova.
Ma poiché ci sono molte ore in un giorno e molti giorni in una settimana, non era difficile per le donne trovare il momento giusto per andare a fare una visita al masso. Qualcuna forse si lasciava scivolare sulla superficie; qualcun'altra forse deponeva offerte nelle piccole coppelle. Ciascuna sperando di poter essere madre.

Lì cominciava la seconda parte della storia. In un’epoca in cui non c’erano né medici, né ospedali le uniche a poter dare una mano erano le madri più anziane, alcune delle quali finivano con l’aiutare le più giovani dopo aver aiutato sé stesse, magari partorendo da sole in una vigna o in un pascolo.
Del resto come fai a tirarti indietro quando puoi assistere al compiersi di un nuovo piccolo grande miracolo come la nascita di un bambino?
Se si ha da fare si fa, dicevano. Senza pensarci. Così quando veniva il tempo e le mandavano a chiamare prendevano in mano la situazione: davano ordini perché tutto fosse pronto e tutte avessero il loro ruolo; allontanavano gli uomini, che in quei momenti di ruolo non potevano averne ed erano solo d’intralcio; calmavano la paura e davano indicazioni. Infine prestavano le prime cure al bambino, prima di riconsegnarlo alla madre.
Oppure dovevano mandare a chiamare il prete, perché le cose erano andate male e la madre o il bambino o entrambi non ce l’avevano fatta. Cosa che purtroppo accadeva troppo spesso…

lunedì 28 aprile 2008

I massi coppellati






Tra i luoghi più enigmatici del lago d’Orta, un posto di diritto occupano le numerose pietre, su cui sono incisi segni la cui interpretazione costituisce una vera sfida.
Cosa rappresentano, realmente, quei piccoli buchi scavati nella roccia, chiamati comunemente “coppelle”? Perché su alcune rocce sono incise delle canalette che collegano tra loro le coppelle? E delle linee, talora combinate a formare croci, quadrati, stelle? Per quale motivo in certi luoghi vi sono tracce di incisioni profonde, come quelle lasciate da una lama passata e ripassata più volte nello stesso punto? Per quale motivo alcune rocce risultano levigate come se qualcosa vi fosse stato sfregato ripetutamente? E le “impronte” che la tradizione vuole lasciate dai Santi o dalla Madonna? O le scritte, talora incise in un alfabeto incomprensibile, che si rinvengono su lastre di pietra?
A queste domande, da tempo, tentano di trovare risposte archeologi e storici. Con molta buona volontà gruppi di appassionati si sono messi ad esplorare i boschi e le vallate alla ricerca di segni sulle rocce, ricavandone un notevole elenco di segnalazioni.

È bene dire che non si tratta di un fenomeno esclusivo dell’area cusiana. Si può dire, anzi, che in tutto il mondo le rocce sono la lavagna naturale su cui l’umanità libera il desiderio di eternare un segno. È altrettanto utile ricordare che l’intelletto dell’uomo non è l’unico attore in questo campo: anche la natura modella la pietra col vento, l’acqua e il calore. E che sarebbe pertanto vano cercare un’interpretazione esclusivamente in chiave umana di fenomeni che sono, in parte, naturali. Per altro, rocce dalla forma significativa, ancorché naturale, hanno sempre attirato l’attenzione e l’interesse della nostra specie, che ha riservato loro forme di culto o venerazione.

A complicare ogni tentativo di interpretazione è la perdita, spesso totale, di ogni nostra conoscenza sull’immaginario religioso e simbolico delle popolazioni che ci hanno preceduto. Per rendersi conto della forza distruttiva di questo processo di rimozione, tuttora in corso, basta un semplice esperimento.
Si entri in una chiesa che abbia qualche secolo di vita e si osservino attentamente gli affreschi, gli arredi e i quadri. Dopodiché si cerchi di spiegare che cosa rappresentino i singoli elementi raffigurati e il perché della collocazione all’interno dell’edificio. I più giovani, in particolare, incontreranno enormi difficoltà a rispondere. È invece probabile che i più anziani, in particolare tra le donne, conservino ancora qualche capacità di spiegare, ad esempio, chi siano i santi e da quali elementi (animali, oggetti, strumenti di tortura, piaghe, ecc.) derivino quel significato.
Se questa è la nostra, ben misera, capacità di interpretare i segni, relativamente moderni, di una religione cui buona parte della popolazione italiana aderisce, è facile immaginare quanto risulti complicato comprendere il senso di segni ed immagini che appartengono ad un mondo agropastorale lontano nel tempo e legato ad antichissime ritualità pagane o paganeggianti.

Da qui discende, in larga misura il mistero e il fascino, dell’arte rupestre.

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.