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giovedì 3 febbraio 2022

Omegna tra storia e leggenda

 



I più antichi ritrovamenti del territorio omegnese vengono da Cireggio e risalgono all’età preistorica. Nonostante alcuni altri ritrovamenti di epoca romana, è solo con il Medioevo che Omegna inizia ad emergere come centro abitato, con la presenza di un munito castello sull’altipiano di Cireggio e le mura cittadine difese da cinque porte, di cui resta ben visibile la  “Porta romana”, che in realtà risale a molti secoli dopo la fine dell'impero e coi Romani non c’entra nulla.

Dopo la vittoria del Vescovo di Novara sul Comune di Novara nel 1219 il lago d’Orta andò a costituire la Riviera di San Giulio e i Novaresi furono espulsi dal lago. Sconfitti sul piano militare decisero di giocare la carta della diplomazia e dell’intrigo per assicurarsi almeno un porto sul lago. Senza quello le merci che intendevano far transitare verso le Alpi sarebbero state gravate di dazi eccessivamente onerosi.

Poiché Omegna apparteneva ai signori di Crusinallo fu eletto podestà un certo Desiderato che era loro parente. Costui, usando abilmente lusinghe e promesse, riuscì a convincerli a vendere al Comune di Novara il borgo di Omegna e le terre circostanti per 1300 lire imperiali. Inoltre i signori di Crusinallo sarebbero diventati cittadini e soldati novaresi. In cambio vennero nominati governatori di quanto avevano ceduto. Avevano in sostanza perso la proprietà, ma mantenuto l’incarico. E in più avevano rimpinguato le casse della famiglia con un bel gruzzolo. In cambio di questo soddisfacente affare, ratificato nella convenzione dell'11 agosto 1221, il castello di Omegna ricevette il nome del podestà, diventando il Castello Desiderato.

Così almeno si narra, perché attorno alla storia di Omegna girano anche tante leggende più o meno attendibili.

Ci sono infatti leggende inventate dal popolo e altre messe in giro dagli storici, o sedicenti tali. A cui spesso vengono a dare manforte gli scrittori, che per professione devono inventare. Così attorno a Omegna sono sorte alcune storie abbastanza divertenti.

A cominciare dal nome, che alcuni vorrebbero far derivare da “Vae Moenia!” grido lanciato da Giulio Cesare dopo aver vanamente tentato di conquistare la città. Ora, a parte che l’episodio non è citato in nessuna fonte, sarebbe bene ricordare che il famoso conquistatore dell’intera Gallia, il trionfatore degli Elvezi e dei Germani, che aveva portato le insegne di Roma oltre la Manica e il Reno, espugnando fortezze, campi trincerati e città difese da eserciti ben superiori alle sue forze, aveva la carica di Proconsole della Gallia Cisalpina. Di cui il territorio di Omegna, ammesso che ai suoi tempi esistesse come villaggio, faceva parte integrante. E non si comprende perché avrebbe dovuto opporsi al proprio governatore.

Secondo lo scrittore Gianni Rodari nelle acque della Nigoglia fu trovata un'iscrizione in dialetto locale che recitava: «La Nigoeuja la va in su; e la legg la fèm nu!» («La Nigoglia scorre in su; e la legge la facciamo noi!»). Un modo per sottolineare l’indipendenza degli Omegnesi, che del resto si ritrova in un’altra leggenda.

Si racconta infatti che un giorno San Giulio, dopo aver cacciato i draghi dall’isola, cercò di sbarcare anche a Omegna. Ma gli abitanti non lo lasciarono avvicinare e presero a bersagliarlo con le rape. Per questo motivo nel territorio di Omegna, maledetto dal santo, le rape non crescono.


mercoledì 17 febbraio 2016

L'Omino coi Baffi se n'è andato


Qualche giorno fa se n'è andato anche l'Omino coi Baffi. O per meglio dire è morto colui che l'eveva voluto e ispirato, in quanto Paul Campani (morto nel 1991) aveva preso come modello proprio Renato Bialetti, titolare dell'omonima azienda, per disegnare quello che fu uno dei più riusciti personaggi di Carosello.

Renato Bialetti era nato nel 1923 ed era il figlio dell'inventore della Moka, Alfonso. Fu lui però a lanciare quello che divenne non solo un rivoluzionario modo per fare il caffé, ma un oggetto che da Omegna conquistò il mondo, sbarcando persino nei grandi musei come esempio del design italiano. 

Qui potete trovare un breve racconto su alcuni momenti di questa storia straordinaria.

Altri andrebbero raccontati e raccolti, come quando il giovane Renato incrociò per caso in un albergo il multimiliardario Aristotele Onassis e riuscì a convincerlo a dire ad alta voce davanti a un gruppo di scettici clienti francesi di non aver mai bevuto un caffé buono come quello uscito dalla sua caffettiera.

Della Bialetti a Omegna ormai non resta più nulla, come si è già avuto modo di dire qualche anno fa. Lo stesso Bialetti aveva venduto l'azienda nel 1986, ritirandosi a vivere in Svizzera.

Ma alla sua morte ha voluto che le sue esequie fossero celebrate in zona, a Casale Corte Cerro. Nella chiesa, davanti all'altare, spiccava una Mokona Bialetti. Al suo interno le ceneri dell'Omino coi Baffi.



mercoledì 27 novembre 2013

Scapigliati maestri

Tutto cominciò quando un pittore nemmeno ventunenne giunse nel borgo di Sulzena, con la  necessità di cercare ospitalità per la notte. La troverà nella casa del curato, ma verrà coinvolto in una serie di vicende dai contorni torbidi che hanno come teatro la valle dello Strona, sopra Omegna, sul lago d’Orta.
La storia che ho sopra accennata, contenuta ne “Le memorie del presbiterio” si deve alla mente di Emilio Praga e alla penna di Roberto Sacchetti che la portò a termine, completando il lavoro lasciato a metà dall’amico, distrutto dall’alcol, dalla droga e dalla vita sregolata a soli trentasei anni nel 1875.
L’autodistruzione di questo giovane scrittore va inquadrata, oltre che nelle vicende biografiche, nel contesto del movimento artistico a cui aderiva.

«In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui d'ambo i sessi v'è chi direbbe una certa razza di gente - fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d'ingegno quasi sempre, più avanzati del loro secolo; indipendenti come l'aquila delle Alpi, pronti al bene quanto al male, inquieti, travagliati, turbolenti - i quali - e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca, e per una loro maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per… mille e mille altre cause e mille altri effetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo - meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le altre. Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d'indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l'ho battezzata appunto: la "Scapigliatura Milanese”». 

Così scriveva nel 1862 Cletto Arrighi (Carlo Righetti) nel romanzo “La Scapigliatura”, che fu il manifesto dell’omonimo movimento artistico che si ispirava alla vita e all’opera dei Bohémiens e dei poeti maledetti d’oltralpe.
“Le memorie del presbiterio”, opera degli Scapigliati Emilio Praga e Roberto Sacchetti comparve a puntate su “Il Pungolo” tra giugno e novembre del 1877. In anni recenti il paese di Sulzena è stato identificato come il piccolo borgo di Luzzogno in Valle Strona, ma il romanzo cita ripetutamente il torrente, che viene anche magnificamente descritto.

“Scendevo così lentamente lungo le rive dello Strona, che mi affretto a presentarvi (cosa che avrei dovuto far prima), come il torrente più realista ed indocile alla moralità idrografica ch'io mi conosca. Figuratevi che egli non vuol saperne neppure per un minuto di quella linea retta, di quella misura costante che la convenienza dovrebbe insegnare anche ai torrenti per trasformarli, se Dio vuole, in quieti rigagnoli, in pingui ed onesti canali. Dimentico dei suoi doveri, del grande scopo della creazione che è quello di impinguare le tasche del negoziante di grano e di bestiame, sta asciutto la maggior parte dell'anno; poi, ad un tratto, quando il ghiribizzo gli salta, devasta pascoli e distrugge vigneti, cosa contraria all'economia politica; abbatte baite e casolari, attentato iniquo, come ognun vede, all'ordine a alla sacra prosperità della famiglia.
E il monello fa l'arte per l'arte; scende a balzelloni, rotolando massi dalla vetta di Cornalina, gitta sprazzi al sole per trame delle iridi cangianti. Si butta nei precipizii, si nasconde fra i cespugli, scompare nelle buche del monte, poi salta fuori a sproposito per tagliare il sentiero montanino, - e s'adagia fra l'erbe, e folleggia e spumeggia e si inebbria di libertà e di licenza - con una sicurezza come facesse la cosa più seria del mondo. Così non è buono a nulla, nè a far girare una ruota di mulino nè ad irrigare un pascolo, nulla!... malgrado tutti i tentativi fatti dai buoni padri coscritti di Zugliano e di Sulzena e persino dall'illustrissimo Consiglio provinciale di Novara per correggerlo e trarne qualche costrutto. Tanta è la sua impertinenza, che se poteste intenderlo, vi direbbe che Dio l'ha fatto a quel modo e che vuol tirar innanzi in quella bizzarra sua maniera, - tutte cose che dicono gli scapestrati.”

Praga e Sacchetti non furono, comunque, gli unici Scapigliati a frequentare le terre attorno al lago d’Orta. Ma ne parleremo la prossima volta…

Nella foto, Emilio Praga con gli Scapigliati Carlo Dossi e Luigi Conconi.

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.