Visualizzazione post con etichetta I racconti del barcaiolo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta I racconti del barcaiolo. Mostra tutti i post

mercoledì 3 novembre 2010

Caronte e il drago


«È lì che devi cercarlo.»
La mia ricerca mi ha portato ad Orta, ad incontrare Caronte, il barcaiolo dalle mille storie d’acqua. Ed è proprio lui ad indicarmi col dito nodoso quel luogo, sull’opposta costa del lago.
«Devi sapere» mi racconta afferrandomi per un braccio «che quando San Giulio giunse su quell’isola che vedi lì davanti, la trovò rigurgitante di serpi e draghi di ogni genere. Lo sai come ci arrivò, vero? Stese il suo mantello sulle acque, perché nessun barcaiolo o pescatore era così pazzo da avvicinarsi a meno di un tiro di freccia da quello scoglio infestata, e lo utilizzò come zattera, spingendosi con il suo bastone.»
«Doveva essere davvero impermeabile quel mantello…» azzardo.
Caronte tuttavia non sembra sentirmi e, fissandomi con il viso rubizzo, continua a narrare – rapito dal suo stesso racconto – una storia che centinaia di turisti prima di me hanno già sentito.
«Quando mise piede sull’isola costruì una piccola croce con i rami dei cespugli che vi crescevano e lanciò il suo esorcismo, bandendo per sempre da quello scoglio quelle creature figlie del Demonio. E parlo, bada bene, non di comuni bisce d’acqua e nemmeno di vipere. Erano draghi e creature velenose dalla mente malvagia quelle che dimoravano laggiù. Eppure il santo – bada bene – non le distrusse, limitandosi a cacciarle e confinarle in un luogo inaccessibile. Là, sul Monte Camosino, in mezzo ad anfratti che nessuno ha mai avuto il coraggio di esplorare, si trova la tana del più pericoloso e letale di quegli esseri malvagi: il Basilisco!»
Conosco il luogo che le parole e le mani del vecchio barcaiolo mi stanno indicando. Una rupe scoscesa davvero inospitale, dove decine di neri uccelli da preda nidificano su alberi scheletrici. Lì, tra quelle rocce sempre in procinto di franare, a cui nemmeno un gatto riuscirebbe ad arrivare da terra e a cui ben pochi oserebbero approdare per via degli scogli appuntiti sotto il pelo dell’acqua, in un dedalo di scagliose fenditure che incidono i dirupi di quella montagna franosa, si nasconderebbe dunque il Basilisco.
O forse, come direbbe il Maestro, l’altro amico ortese che trova una spiegazione razionale per ogni cosa, in quell’angolo inaccessibile, uno dei pochi del lago, gli uomini fin dai tempi più antichi hanno voluto indicare il luogo dove dimora l’inconoscibile, l’irrazionale e l’inconscio, vale a dire il drago che alberga nelle nostre anime.
Lì insomma, in quel luogo dove la ragione fa fatica a farsi strada, abita quel mistero di cui abbiamo bisogno per continuare a sognare. E proprio per questo non tenterò, stavolta, di svelarlo.

domenica 18 gennaio 2009

Donne nella tempesta



Caronte è seduto col gomito appoggiato al bancone. Per rimanere in equilibrio, appollaiato com’è sullo sgabello, si puntella con la mano destra sul ginocchio. La sinistra tiene invece ben stretto il bicchiere di rosso. Gli occhi si muovono obliquamente dal Filosofo a me e da me al Filosofo.
Sappiamo che quando fa così sta per raccontarci una storia. Infatti…
«Questa storia è accaduta molti anni fa, ai tempi di mio padre.»
Faccio un rapido conto e penso di poter situare l’episodio nei ruggenti anni Venti del Novecento…
«C’erano due donne. Due sorelle in barca sul lago. Avevano appena accompagnato ad Imolo il marito di una delle due. Da lì sarebbe salito a piedi nella piccola stazione di Corconio, che a quell’epoca ancora funzionava, per prendere il treno e tornare a Milano. Erano villeggianti, infatti, che passavano l’estate in una delle numerose ville sul lago. Il marito non aveva voluto che la moglie e la cognata salissero alla stazione con lui perché aveva notato che le nuvole si stavano radunando e un temporale era in arrivo. Così le due donne, senza perdere tempo, misero la barca in acqua e si avviarono decise verso l’altra sponda. Una remava e l’altra stava seduta a poppa. Entrambe guardavano nervosamente le nubi nere che si addensavano minacciose sul lago.
Improvvisamente quello che temevano accadde. Dal Mottarone si levò un vento fortissimo. È il vento che viene dal Maggiore e accompagna i temporali. Dura pochi minuti, ma in quei momenti la pacifica acqua del lago si trasforma in un mare in tempesta.
C’è una sola cosa peggiore. Quando il vento che arriva dal Maggiore si scontra col vento tempestoso che arriva dalla Valsesia – alle volte d’estate capita – allora le onde che giungono da oriente si infrangono contro quelle che arrivano da occidente e il lago, letteralmente, ribolle.
Ora, immaginatevi le due donne, sole in mezzo al lago, con il vento che sollevava le onde e le rovesciava dentro la barca. Nel frattempo sulla riva la gente si era accorta della scena e strepitava presagendo la sciagura. Molti urlavano consigli, qualcuno chiedeva soccorso, ma nessuno poteva fare nulla perché persino i barcaioli più esperti avevano paura ad uscire con quel tempo.
La donna che remava con le spalle alla prua, vedendo la barca sballottata da tutte le parti e le onde enormi, fu presa dal panico. Lasciò andare i remi e scoppiò a piangere, vedendosi già scomparire nelle acque del lago. La barca, senza più guida, iniziò a girare su un fianco imbarcando sempre più acqua. Fu l’altra, che non sapeva remare, a prendere in mano la situazione.
“Cosa fai, cretina!” la sgridò. “Vuoi farci morire entrambe! Non pensi al tuo bambino a casa! Prendi subito quei remi! Non senti cosa gridano i pescatori? Non dobbiamo tagliare le onde dirigendo verso casa. Dobbiamo tenere il vento alle spalle e lasciarci spingere fino ad arrivare in un punto riparato. Ci penseremo poi a tornare a casa. Non preoccuparti per l’acqua che entra, provvedo io a buttarla fuori.”
Allora la sorella, ripreso coraggio e pensando al suo bambino, mise mano ai remi. La barca, che era di quelle ben equilibrate come se ne costruivano una volta, riprese immediatamente l’assetto e cominciò a volare, spinta dalle braccia e dalle onde. Alla fine raggiunsero una zona più tranquilla, dove le onde cominciarono a diminuire. Poco tempo dopo erano a casa, davanti alla stufa a ridere e scherzare per l’avventura.»

lunedì 29 dicembre 2008

La Notte Oscura





«Tutti parlano del Natale, perché non sanno cosa avviene veramente la notte di Capodanno!»
Mentre parla ho la netta impressione che il Barcaiolo abbia iniziato presto i festeggiamenti per la fine dell’anno. È rosso in viso come non l’ho mai visto e la voce rimbomba alterata per il locale semideserto. Il Filosofo, appoggiato al bancone, sorride sornione con l’aria di chi ha voglia di godersi lo spettacolo senza esserne troppo coinvolto.
Capisco che stavolta dovrò vedermela da solo con Caronte.
«Cosa avviene la notte di Capodanno?»
La mia domanda voleva incoraggiarlo a parlare. Mi rendo subito conto che non ce n’era bisogno…
«Quella notte si aggira di tutto nelle tenebre!» gli occhi di Caronte sembrano davvero voler schizzare dalle orbite. «Io ho visto coi miei occhi la seconda isola e gli spettri che agitavano le loro dita fiammeggianti. Ho visto le lunghe file dei morti camminare sulle acque! Te lo dico io che sul lago, di notte, ci sono stato! E le streghe? Cosa mi dici delle streghe? L’hai mai vista tu una strega?»
Non ho modo di rispondergli che sì, un paio di streghe le ho incontrate in vita mia…
«Si aggirano sotto forma di animali parlanti!» il flusso delle parole di Caronte è un fiume in piena che è impossibile guadare. «Guai ad ascoltare le loro malvagie parole: potresti trovarti incantato in un istante! »
Caronte è in piedi e agita le braccia, barcollando vistosamente. Pare davvero l’infernale nocchiero dantesco intento a distribuire colpi di remo alle anime prave.
«Per fortuna i demoni temono l’acqua!» sorride sornione. Almeno da quelli siamo al sicuro, sull’acqua! Spettri, streghe, demoni! Tutti sono in giro, quella notte, te lo dico io che li ho visti!
A cosa credi che serva il rumore dei fuochi artificiali? A tenere indietro quell’orda dannata! Ma dove l’eco del rumore non giunge è bene non andare…»

domenica 18 maggio 2008

La seconda isola

«Vi giuro che l’ho vista!» il volto di Caronte avvampa di rossore. «La seconda isola esiste!»

Leggo sul volto del Filosofo la mia stessa espressione. Ci mettiamo comodi e sorseggiamo le nostra bevanda. Un bianco lui, un analcolico io. Non ho idea di cosa ci sia nel bicchiere di Caronte e francamente non so se ho voglia di scoprirlo…

«Era la fine di ottobre. Ne sono certo, perché ero andato sull’isola per la messa di suffragio del Gino. Non che il Gino ci andasse molto in chiesa, ma questo non ha importanza, credo…
Bene, sono venuto via prima, da solo, con la Carolina, la mia barca, perché dovevo fare un servizio.
Dopo pochi metri si era alzata la nebbia e non si vedeva più nulla. Nulla vi dico. Riuscivo a malapena a vedere l’acqua sotto lo scafo e a volte neanche quella, perché ormai si faceva buio. Ho provato a chiamare, ma non si sentivano più nemmeno i rumori.
Ero assurdamente perso in un lago largo un chilometro e mezzo. Ho pensato che forse stavo andando a nord, verso Omegna, o a sud verso Gozzano…
Fu allora che vidi le luci. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi da quella parte. Le luci erano tremolanti e sembravano precedermi. Pensai fosse una processione di barche, così mi accodai, finché vidi molte luci davanti a me. Riconobbi la sagoma dell’isola o almeno così mi parve. Riuscivo a vedere molte persone con delle torce in mano.
Pensando che stessero cercando me stavo per dare loro la voce, quando la nebbia cominciò a diradarsi.
Non erano torce quelle che ardevano nella nebbia. Erano le dita delle loro mani a bruciare!
Osservai impietrito le orbite vuote e le bocche aperte in un urlo silenzioso finché non vidi il Gino, meglio conservato degli altri, che mi faceva cenno di andarmene, disegnando segni di fuoco con le mani.
Allora virai di colpo, mettendo al massimo il motore della Carolina, guardandomi indietro di continuo per vedere se mi stessero seguendo.
Infine, non so come, riuscii a raggiungere Orta.

giovedì 24 aprile 2008

I racconti del Barcaiolo. I pescatori di uomini.

Caronte, oggi, mi pare più alticcio e in forma della volta precedente.
«Certo che me li ricordo, io, i pescatori di uomini!»
Il suo pugno si abbatte sul bancone facendo tintinnare il bicchiere. Il Filosofo mi guarda e sorride, con quella sua aria enigmatica dietro le lenti spesse.
«Non mi credete, vero?» ci guarda con aria torva. «Giovani di oggi…»
Non vogliamo farlo arrabbiare troppo, così cerchiamo di calmarlo, assicurandogli che si, certo, gli crediamo. Soddisfatto, vuota d’un fiato il bicchiere e mi guarda, chiudendo un occhio e appoggiando una mano al ginocchio e il gomito al bancone.
«Dovevano intervenire almeno una o due volte l’anno, se non di più. Soprattutto d’estate, ma non solo. I mulinelli non perdonano.»
«Mulinelli?» sorrido. «Avete veramente visto i mulinelli sul lago? Tutti ne parlano, ma non mi sembra che nessuno li abbia mai visti. Del resto, non c’è corrente…»
«Sentitelo, il laureato!» mi sghignazza in faccia con l’alito che puzza di vino. «Nel lago non ci sono correnti! Le si vede ad occhio nudo le correnti, altro che! E talora qualcosa si muove sul fondo e produce dei vortici, capaci di risucchiare chiunque!»
«Forse il terreno frana» annuisco. «In effetti questo è capitato al padre di un mio amico. Stava facendo il bagno davanti alla spiaggia del Miami e ha sentito il fondo che cedeva, risucchiandolo. Si è salvato a stento. D’altro canto lì tutta la riva è instabile, perché si è formata con la frana provocata dall’inondazione…»
«Vedi che inizi a ragionare» mi punta contro il suo grosso dito, sorridendo soddisfatto. «Me la ricordo io l’inondazione. In una notte è venuto giù tutto. È stato un caso che non sia morto nessuno. Comunque io non lo so cosa c’è sul fondo del lago, però so che ogni tanto qualcuno, senza motivo, scompare nell’acqua. Una volta non c’erano i subacquei, cosi spesso il cadavere non si trovava. Del resto anche oggi, talvolta… In ogni caso, quando il corpo non veniva a galla, intervenivano loro, i pescatori. Avevano lunghi ferri, con cui scandagliavano il fondo, almeno nelle parti dove potevano arrivare, perché il lago in alcuni punti è così profondo che nessuno, perfino oggi, ci è mai sceso… Con quei lunghi uncini riuscivano ad agganciarli e a ripescarli. Così almeno si poteva dare loro sepoltura.»

Ripenso alle tante risorgive che abbondano nelle acqua del lago e al brivido che improvvisamente si prova nelle afose giornate d’estate quando, nuotando, ci entri senza saperlo; all’acqua tiepida che diventa gelata e alle conseguenze che ciò può avere, specie se si è così incoscienti da gettarsi in acqua dopo pranzo.

E mi chiedo, la colonna di acqua fredda potrebbe innescare qualche altro meccanismo e “risucchiare” il nuotatore? Troverò qualcuno in grado di rispondere a questa domanda?

I racconti del barcaiolo. L’isola nella nebbia


Lo incontro in uno dei bar che si affacciano sulla piazza. Ha l’aria furba del pirata abituato all’abbordaggio. Il suo però è di un tipo particolare poiché, come un vivissimo Caronte, il suo compito è sospingere i malcapitati turisti nella sua barca, per portarli verso l’isola. Nessun pericolo ad affidarsi a lui, per carità, salvo quello che corre il portafogli, viste le tariffe.
È il Filosofo a presentarmelo. Il Filosofo una sorta di collega di Caronte, perché lavora all’ufficio turistico di Orta che è un porto di mare, dove incontri persone provenienti da tutte le parti del mondo. Anche il Filosofo ne avrebbe da raccontare di storie, ma ci saranno altre occasioni per farlo.
Caronte mi guarda, con l’occhio indagatore di chi sa indovinare al volo chi ha di fronte. Ed estrae dalla sua inesauribile borsa di storie quella che va bene per me.
«Era il gennaio del 2005» comincia. «Sono sicuro, perché la settimana dopo c’era la festa di San Giulio. C’era una nebbia spaventosa, quella mattina, da non vedere l’isola. Avevamo capito che non ci sarebbe stato molto lavoro. Così ce ne stavamo tutti al bar, quando entrò un tizio, magro e pallido come la nebbia.
“Scusate, devo andare all’isola.”
I modi erano gentili, ma con il tono era così deciso da non ammettere risposte negativi. Gli dissi che avrei finito di bere il mio amaro e poi l’avrei portato io. Mi rispose che avrebbe aspettato fuori. Lo ritrovai sul molo, infatti. Si guardava continuamente attorno, come se aspettasse l’arrivo di qualcuno. Quando accesi il motore e mi staccai dalla riva, tirò un sospiro di sollievo.
“C’è una gran nebbia, oggi” dissi, cercando di avviare una conversazione con quell’enigmatico passeggero. «Si fermerà molto? Glielo chiedo perché normalmente basta che le persone si affaccino al molo e noi veniamo a prenderle, ma oggi…”
“Penso che mi fermerò parecchio” rispose.
Guardai dinnanzi a me, cercando d’individuare la sagoma dell’isola, ma la nebbia sembrava infittirsi.
“Non vi ricordate di me, vero?” mi chiese improvvisamente.
“Cosa volete” sorrisi indulgente “trasportiamo migliaia di persone all’anno...”
“Esattamente un anno fa mi avete portato indietro” insisté. “C’era anche una ragazza.”
“Mi spiace, ma trasporto centinaia di coppie di fidanzati, sposi, eccetera.”
“Non era certo la mia fidanzata, quella!”
A quel punto la mia curiosità prevalse. In ogni caso è meglio assecondarli, i matti.
“Sentite, perché non vi spiegate meglio? Così magari mi viene in mente…”
“Si certo” annuì. “A voi posso dirlo, dopotutto.”
Si avvicinò, per poter parlare senza dover sovrastare il rumore del motore urlando.
“Tre giorni a pane ed acqua” sorrise. “E per tre giorni trovai tutte le porte delle chiese chiuse. Finché il triduo di penitenza terminò e venni all’isola per confessarmi. Feci una confessione completa, da quando ricordavo i primi peccati. Mi aprii, fui assolto e fui sollevato. Quando ebbi finito andai nella Basilica a pregare sulla tomba del Santo Giulio, il grande esorcista. Felice lasciai la chiesa e mi diressi al molo. Fu lì che vidi la ragazza. Non c’era nessun altro oltre a noi. Io e lei, su un isola apparentemente deserta. Era carina, eravamo soli, sarebbe stata l’occasione ideale per attaccare bottone. Ma mi ero appena confessato ed ero già impegnato… Notai il suo sguardo un po’ deluso quando, dopo un po’ la barca salpò da Orta e venne a prenderci. C’eravate voi alla guida, me lo ricordo bene.”
“Può essere…” risposi più per farlo contento che per convinzione.
“Voi, comprensibilmente attratto, cominciaste a parlare con lei. Io ero seduto dentro e sentivo solo parte del vostro dialogo. Ad un certo punto però udii distintamente le vostre parole.
‘Venite spesso sull’isola?’
‘Solo se costretta’ scosse la testa lei. ‘L’acqua mi fa paura.’
A quel punto mi guardò e io riconobbi quello sguardo. In quel momento sentii la paura corrermi ad onde lungo la schiena. Vedete, c’’è un’antica leggenda che spiega come i demoni temano l’acqua e non possano attraversarla. Un tempo l’isola era infestata da loro, ma il Santo li cacciò, bandendoli per sempre da qui. Quel giorno un altro demone era stato cacciato e se ne andava dall’isola. Per questo ho deciso che tutti gli anni sarei tornato a confessarmi qui.”
Improvvisamente vidi la terra di fronte a me, ma con un brivido mi accorsi che non si trattava dell’isola, ma di Orta. Non so come, ma nella nebbia mi ero perso ed ero tornato indietro. Prima di poter dire qualsiasi cosa, vidi la ragazza in attesa sul molo.
Allora la riconobbi. Sorrise, ma il suo era un sorriso crudele.
Preso dal panico virai immediatamente, puntando al largo, mentre l’uomo accanto a me cominciava a pregare e invocare il Santo.
Vi giuro che non sto scherzando: la nebbia si alzò e vidi l’isola, mentre il sole iniziava a scintillare sull’acqua. Il mio passeggero si accasciò su un sedile, tenendosi la testa tra le mani e ringraziando San Giulio. Quando mi voltai verso il porto non c’era nessuno sul molo.»

Post più popolari

"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.