Questo è un blog di racconti, leggende, storie raccontate dagli ubriachi nelle osterie e di cialtronesche invenzioni che ruotano attorno al lago d'Orta. Se cercate la Verità, qualunque sia quella che v’illudete di trovare, avete sbagliato indirizzo.
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lunedì 24 dicembre 2018
La ragazza del sogno - Parte 6
Il paese che non esiste più
I paesi sorgono lentamente. Una casa isolata di contadini nella campagna, accanto a una piccolo sentiero, a cui progressivamente se ne aggiungono altre, mentre il viottolo diventa una via che va a collegare ad altri gruppi di case. Talora la crescita viene accelerata dal passaggio di viaggiatori e commercianti, che hanno bisogno di punti di sosta e ristoro, o dall'insediarsi di artigiani che trovano le giuste condizioni per produrre e vendere i propri oggetti. Talaltra il paese esplode, crescendo in maniera esponenziale per il continuo arrivo di nuove persone in cerca di condizioni migliori di vita e di lavoro. E da un piccolo centro nasce una città.
Capita però che il processo si interrompa. Può avvenire per drammatici eventi esterni. Guerre, epidemie, terremoti, epidemie, eruzioni vulcaniche possono distruggere le case e indurre le persone a trovare un luogo migliore e più sicuro dove ricostruirle. Ma ciò può accadere anche per lenta emorragia. Una famiglia se ne va, un negozio chiude, una casa abbandonata non trova persone che vogliano occuparla e poco alla volta, o rapidamente, il paese si svuota. Alla fine non restano che mura che crollano, finché la natura riprende il sopravvento. L'edera e i rovi riempiono gli spazi un tempo occupati dagli amori e dagli odi, dal lavoro e dal riposto. E cosa resta di tante vicende umane? Spesso null'altro che qualche sasso, buono per tirare su un muretto di confine di un campo. Rubato anche quello, secoli dopo nessuno potrebbe immaginare che in quel luogo un tempo sorgesse un paese.
In Cento anni di solitudine sono narrate le vicende del villaggio di Macondo, dalla sua fondazione ad opera di José Arcadio Buendía e sua moglie Ursula Iguarán, alla sua totale distruzione ai tempi della settima generazione dei Buendía, come predetto dalle antiche pergamene dello zingaro Melquíades.
Ma non occorre andare in America per trovare villaggi misteriosamente scomparsi. Mi basta risalire le vie di Bolzano Novarese. Il paese sorge su una serie di terrazze naturali che digradano sul versante occidentale delle colline che separano il Cusio dalla valle dell'Agogna. Un luogo ricco d'acqua e ben soleggiato, da cui si vedono la torre del castello di Buccione e il Monte Rosa.
Superata la casa torre medievale e le misteriose incisioni di volti umani sul lato della via, lasciata alla mia sinistra l'antica chiesa parrocchiale risalgo ancora per la stretta via, fino a raggiungere la sommità dell'altura, dove trovo fertili campi coltivati. Nessuna abitazione, nessun muro sorge in questo luogo, eppure io so che qui, mille anni fa sorgeva un piccolo paese. Cosa resta dei suoi cento e cento Natali festeggiati nelle case le cui porte si aprivano su piccole strade in terra battuta? Solo polvere e poveri resti che forse un giorno qualche archeologo scoprirà nel sottosuolo.
Lo so perché il suo nome compare in pergamene più antiche di quelle di Melquíades, che nulla però ci dicono del mistero della sua scomparsa. Fu la peste, un incendio, l'azione furente di nemici implacabili? O fu solo il lento migrare dei suoi abitanti verso il sottostante borgo di Bolzano?
Certo non fu poca cosa all'epoca. Una chiesa romanica sorge ancora, accanto al cimitero, a tramandarne il nome. Un edificio riccamente affrescato, dedicato a San Martino protettore, tra gli altri, dei viaggiatori e degli albergatori. Segno probabile che un tempo di qui passava una via ben più importante della strada che ora conduce a Invorio.
È quindi alla chiesa di San Martino di Ingravo, questo il nome del paese scomparso ma conservato in quello della chiesa, che mi recherò nella prossima tappa del mio viaggio, per tentare di dare risposta all'enigma.
Questa è la sesta parte de "La ragazza del sogno".
Settima parte
Hai perso le prime parti? eccole
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte
giovedì 26 luglio 2018
La ragazza del sogno - Parte 1
Era l'ultima notte che avrei passato nel bosco da solo, in una vecchia casa di legno e pietra sulle pendici dei monti. La pioggia che cadeva leggera sul tetto aveva trovato il modo di infiltrarsi tra le pietre e gocciolava lentamente nel secchio che avevo posizionato sulla pozza d'acqua. Ogni luce era spenta e il silenzio era interrotto solo dal cinguettio di qualche uccello tra i rami e dai richiami degli ungulati tra i cespugli.
Di tutto questo ero ignaro, preso com'ero dai sogni del tempo passato, cercando inutilmente quelli del tempo futuro. Fu allora che una mano si posò sulla maniglia e aprì la porta. Vidi la ragazza avanzare incerta coi piedi scalzi, i capelli gocciolanti e il viso, un tempo noto, che non riuscivo a ricordare.
"Aiutami" disse. "Ho bisogno del tuo aiuto."
Vidi una mano spostare un sasso accanto a una grande pietra e nascondervi un biglietto.
"Dove il filo di ferro fu battuto e si sciolse, cerca il paese che non c'è più."
Mi svegliai di colpo tentando invano di trattenere i lineamenti di quel volto dolcemente triste.
Era ormai mattina e il sole splendeva. Mi affrettai a preparare i pochi bagagli e mi diressi a passo spedito verso l'uscita dal bosco. Quando l'avevo quasi raggiunta mi tornò in mente lo strano sogno notturno e deviai dal sentiero per raggiungere il masso che avevo visto e che ben conoscevo, essendo di quelli segnati. Dalle streghe si sarebbe detto in tempi antichi. Tempi di sciocche e incredibili superstizioni avrei detto fino a pochi anni fa, prima di vederne di nuove e ben più risibili sorgere come funghi velenosi sparsi da un vento tecnologico.
Trovai facilmente il sasso. Lo sollevai con timore, trovandovi un biglietto con una breve scritta.
Aiutami. Ho bisogno del tuo aiuto!
mercoledì 18 maggio 2016
Il diario del notaio spadaccino
Nel mezzo del secolo Sedicesimo, un notaio di Orta decise di tenere un diario delle proprie vicende personali e di quelle politiche e climatiche dei suoi tempi, inframmezzando questo zibaldone con pensieri e considerazioni, ricette per curare il mal di denti e altre curiosità.
Elia Olina era un personaggio dei suoi tempi, dagli interessi enciclopedici. Un uomo di legge e d'ordine, ma con una insopprimibile tendenza all'avventura. Così, ad esempio, decise di sposarsi senza dir nulla ai parenti e pochi mesi dopo finì in carcere, per motivi che non volle rivelare.
Un uomo di lettere, che ci ha tramandato la ricetta per preparare l'inchiostro, ma dalla mano pronta a impugnare la spada, come quando a Borgomanero si trovò coinvolto in un duello che lasciò per terra due cadaveri, riuscendo il Nostro a scamparla con una ferita.
Il diario, che rappresenta un documento storico notevole per il lago d'Orta, è stato ora pubblicato in versione integrale con trascrizione del testo latino e traduzione di Carlo Carena.
Presentato a Orta sabato scorso ha riservato interessanti sorprese, coma la presenza di draghi che si attorcigliano attorno alle lettere, a ricordarci quanto questa "conca d'oro, mi dicono, sia piena di veleno" per citare le parole dell'autore.
Segno forse che pure il nostro notaio conosceva bene la vera storia del drago dell'isola...
mercoledì 11 novembre 2015
Sherlock Holmes sul lago d'Orta

Lo sapevate che nei suoi vagabondaggi per l'Europa il celeberrimo detective inglese Sherlock Holmes fu anche sul lago d'Orta?
E che, ospite del figlio del Principe di Sirdhanah che aveva dimora ad Ameno, si trovò ad indagare sulla scomparsa di un'altrettanto famosa (per lo meno qui da noi) mummia?
E che, ospite del figlio del Principe di Sirdhanah che aveva dimora ad Ameno, si trovò ad indagare sulla scomparsa di un'altrettanto famosa (per lo meno qui da noi) mummia?
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mercoledì 26 novembre 2014
Sherlock Holmes e il mistero dell’uomo meccanico
Cosa accade quando una mente geniale ne incontra un’altra? Da questa domanda si sviluppa il romanzo scritto da una nostra vecchia (si fa per dire perché è giovanissima) conoscenza. Antonella Mecenero ha recentemente pubblicato un apocrifo, “Sherlock Holmes e il mistero dell’uomo meccanico” in cui riprende vita il famosissimo investigatore inventato da sir Artur Conan Doyle.
L’azione si colloca nel 1881, quando il mito di Sherlock Holmes stava prendendo forma e il dottor Watson era appena tornato dalla guerra, ferito nel corpo e nell’animo.
L’autrice immagina che il geniale investigatore inglese si trovi a dover indagare su un caso che coinvolge le scoperte fatte da un altrettanto geniale quanto misconosciuto inventore, Innocenzo Manzetti.
La storia si fa ancora più interessante perché Manzetti è realmente esistito, anche se probabilmente la maggior parte di voi non ne ha mai sentito parlare. I suoi genitori provenivano dalla zona del lago d’Orta (da Invorio e Pogno per la precisione), ma lui nacque e visse ad Aosta tra il 1826 e il 1877. Durante la sua breve e sfortunata vita diede vita ad invenzioni che ne fanno un pioniere in molti campi. Inventò la macchina per la pasta, il primo motore pneumatico, un’autovettura a vapore in grado di circolare su strada e molto altro. Tra questo spiccano le sue ricerche sugli automi, che coltivò per moltissimi anni, che lo portarono a indagare il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, ipotizzando già nel 1843 la possibilità di trasmettere la voce con questo sistema.
Probabilmente avrete sentito parlare dello “scippo” che Bell fece a Meucci, soffiandogli il merito dell’invenzione del telefono. Bene, allora dovete sapere che lo stesso Antonio Meucci, apprese dalla stampa nel 1865 della scoperta di Manzetti e confidò ad un giornale americano: “Io non posso negare al sig. Manzetti la sua invenzione”. Che non solo era precedente,m ammolto più funzionale, perché per parlare col telefono di Meucci occorreva tenere una barretta tra i denti, mentre con quello di Manzetti si poteva utilizzare una più comoda cornetta. Una cosa univa Manzetti a Meucci, oltre al fatto di essere italiani: nessuno dei due aveva i soldi per brevettare la scoperta. Ci pensò Alexander Graham Bell che nel 1876 brevettò il suo sistema.
Da notare che il nostro governo si rifiutò di appoggiare l’invenzione di Manzetti in quanto temeva che il telefono, a differenza del telegrafo che richiedeva la presenza di un telegrafista in grado di controllare il contenuto delle conversazioni, potesse essere usato a scopo di cospirazione. Così andava l’Italia nel 1865.
mercoledì 24 settembre 2014
Mistero a Fantarona
Primo fatto. Sabato 27 e domenica 28 sul lago Maggiore si svolgerà Fantarona, prima edizione di un fantastico festival fantasy. C’è persino un sito internet: www.fantarona.eu
Secondo fatto. Esiste un programma ufficiale della manifestazione, che potete trovare qui.
E questi sono fatti noti e acclarati.
Subito dopo, però, iniziano i misteri.
Corre voce, infatti, che sabato sera, ad un’ora incerta e in un luogo imprecisato, si svolgerà una riunione segretissima e carbonara in cui si parlerà di misteri e leggende.
Si dice anche che per poter accedere a questo evento, di cui non c’è la minima traccia nel programma ufficiale, occorra ricevere un invito speciale.
Qualcuno sostiene che a portarlo sia direttamente uno gnomo. Uno di quelli che scrivono di draghi. E credo abbiate già capito a chi alluda.
Il tutto però è avvolto nel più stretto riserbo e nel mistero più fitto. Per cui è impossibile dire se veramente si svolgerà sabato sera presso la biblioteca di Arona.
D’altro canto si sussurra che a questo incontro parteciperanno Ade Capone, Livio Gambarini e Daniele Ramella, che di storie misteriose e misteri assortiti se ne intendono.
Qualcuno sostiene infine che abbiano invitato anche me, nonostante notoriamente viva su un’isoletta del lago d’Orta, per parlare dell’origine delle leggende urbane.
Non so cosa ne pensiate voi, ma francamente io credo che tutta questa storia non sia altro che una leggenda urbana.
Se però non vi fidate potete venire a controllare di persona...
sabato 14 giugno 2014
L’amore ai tempi del gladio
Quando si parla dei Romani, quelli antichi intendo non quelli che popolano Roma oggi, in genere si oscilla tra due sentimenti. Ci sono quelli che esaltano la grandezza dell’Urbe, con le sue leggi e i suoi monumenti, e quelli che sottolineano il lato sanguinario di un potere che per secoli non ebbe rivali. Eserciti di addestratissimi legionari che schiacciarono ogni resistenza da parte delle eroiche ma più deboli popolazioni confinanti. Come i Celti del nord Italia, sconfitti e oppressi dall’aquila di Roma.
Le cose, come sempre, sono più complicate e proprio per questo più interessanti. Un caso davvero intrigante è quello del vaso di Metelos, scoperto a Carcegna alla fine dell’Ottocento. Leggendo l’iscrizione che vi fu incisa si possono intravedere le tracce una storia d’amore interetnica tra il “romano” Metelos e sua moglie Asmina, che invece era di etnia celtica.
Se questa storia vi ha interessato, vi consiglio la lettura di un nuovo volume, dedicato a Carcegna, in cui vari autori ne analizzano la storia e le tradizioni. Tra queste cito il Cantarmarzo, che si svolgeva nottetempo alla fine di febbraio e animava la vita della comunità per qualche mese. Tra i vari articoli ce n’è anche uno mio dedicato alle origini di questo piccolo paese e agli interessanti ritrovamenti archeologici che vi furono effettuati.
L’appuntamento è a Carcegna, nella chiesa parrocchiale, sabato 28 giugno alle 16,45.
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mercoledì 21 maggio 2014
Mary Shelley e il sogno degli amori orfani
Quando si parla di “Frankenstein”, la novella capolavoro del gotico inglese, si parla della vita di Mary Shelley. Anzi, per dirla come Freud, “Frankenstein” è il romanzo familiare di Mary Shelley.
Mary e Victor (alter ego maschile della scrittrice), due orfani di madre, due personalità attratte dal Buio e dall'ossessione di “riversare un fiume di luce sul mondo immerso dalle Tenebre”, nati entrambi da due donne rimpiante e irraggiungibili.
Un'introduzione storica a cura della dott.ssa Piera Mazzone e uno spettacolo per scoprire come la favola nera dell'autrice inglese sia portatrice di tutti i lati oscuri dell'Ottocento, dal miraggio dell'elettricità, vista come porta per l'Infinito al Mesmerismo, dai terrori pre-Vittoriani del Nulla al potere oscuro dei desideri. “Frankenstein” parte come il canto di gloria della Scienza per trasformarsi in un desolato pianto di figli ripudiati e padri assenti, perché il Dolore, la Ricerca di un senso e il Desiderio accomunano l'uomo del XIX secolo quanto quello odierno.
Venerdì 23 maggio 2014 alle ore 10:50 e alle ore 13:20, presso il l'aula Magna del Liceo Artistico "F. Casorati" di Romagnano Sesia, l'Ass.Cult. "Mano d'Opera" presenta
“L'Ottocento Gotico: Mary Shelley&Victor Frankenstein - Il sogno degli amori orfani"
Uno spettacolo teatrale di e con Francesca Pastorino&Graziano Giacometti. Introduzione storica a cura della Dott.ssa Piera Mazzone
mercoledì 14 maggio 2014
Il codice misterioso
I romanzi e i film sono pieni di codici misteriosi, annotazioni segrete e indecifrabili. La risoluzione dell’enigma diventa, naturalmente, la chiave di volta della storia.
Accade però che dei codici siano realmente decifrati. E questo avviene per opera di un novarese, come in questo caso, questo blog non può non occuparsene.
Il 24 aprile 2014 la biblioteca dell’università di Chicago lanciò un concorso per la decifrazione di alcune note scritte sui margini di una copia dell’Odissea stampata da Aldo Manuzio nel 1504. Il manoscritto era stato donato dal collezionista Michael C. Lang che, desiderando venire a capo di quel mistero, sponsorizzò anche il concorso.
Daniele Metilli, 31 anni, originario di Borgomanero (Novara), è uno studente del corso di laurea di Informatica umanistica dell'Università di Pisa, già laureato in Ingegneria informatica al Politecnico di Milano e allievo del primo anno della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell'Archivio di Stato di Milano. Vede il concorso e accetta la sfida.
In collaborazione con la graphic designer Giulia Accetta, Metili ha riconosciuto in quegli enigmatici segni un sistema stenografico diffuso in Francia nell'Ottocento. Cercando su internet, che sempre più se lo si sa usare è una risorsa preziosa, ha trovato una tabella con un codice che sembrava identico. Si tratta di un sistema inventato da Jean Félicité Coulon de Thévenot (1754-1813) nel tardo Settecento, e a lungo in uso nell'Ottocento.
Le misteriose parole sono quindi annotazioni in francese scritte a mano mentre il testo veniva tradotto dal greco. Una data, 25 aprile 1854, ha pure aiutato a chiare la datazione. Compreso questo Metili e Accetta hanno impiegato poche ore per arrivare per primi alla risoluzione dell’enigma, vincendo il premio.
Potete leggere qui la ricerca di Metili.
sabato 21 dicembre 2013
Impronte di drago sul lungolago di Arona
Sono comparse alcune impronte misteriose sulle spiaggette di Corso Europa, ad Arona, sul Lago Maggiore. A notarle sono stati alcuni passanti, attirati dall'abbaiare dei cani attorno alle pozzanghere di forma assai insolita.
Le impronte sembrano appartenere ad animali di grandi dimensioni, bipedi, con zampe a tre dita e dotate di lunghi artigli. Le tracce escono e rientrano dall'acqua e il tratto percorso a terra misura una dozzina di metri.
Tra gli esperti convenuti sul posto a studiare il fenomeno c'era anche la scrittrice e collezionista di leggende locali Francesca D'Amato.
"Misure, forma dei polpastrelli, profondità degli artigli e disposizione delle dita sembrano confermare che si tratti di impronte di drago. I draghi italiani camminano su due zampe, non quattro come si vede nei film. Gli stemmi araldici medievali li rappresentano esattamente come li descrivo nel mio romanzo (Draghi randagi, Compagnia della Rocca Edizioni ndr), appena pubblicato."
Per ora non si sono registrati danni da parte dei draghi e D'Amato rassicura: "Se non ce ne sono stati fino a oggi è perché la dieta dei draghi italiani è fatta soprattutto di pesce e sono creature schive, vista la caccia che hanno subito nei secoli. Piuttosto è strano che siano in giro con questo freddo, dovrebbero essere in letargo in questa stagione. Forse qualcosa li ha disturbati."
Chiunque dovesse notare nuove impronte o tracce di drago, fuori dalle librerie, è pregato di segnalarlo al sito www.gnomi.org, dove è possibile consultare la mappa delle leggende italiane relative ai draghi e scoprire di cosa parla il romanzo "Draghi randagi - la grande fuga tra le Alpi".
mercoledì 11 dicembre 2013
Alpinisti ciabattoni
Un treno procede in direzione nord, dopo una breve sosta alla stazione di Caltignaga. Così breve che un povero vecchietto non ha nemmeno il tempo di scendere per un’urgenza che dovrà aspettare, prima di essere soddisfatta, l’arrivo nella stazione di Gozzano. Perché a quel tempo, negli anni Ottanta dell’Ottocento, il treno fermava la sua corsa nel paese a sud del lago d’Orta. Da qui, in carrozza, si poteva raggiungere l’imbarco di Buccione e col battello arrivare a Orta.
Nel capoluogo cusiano sbarcano con gli altri anche due strani viaggiatori che avevamo avuto modo di incontrare sul treno, nello stesso scompartimento del vecchietto.
“Entrambi vestiti della festa, lui con una giacca nuova che gli rampicava su su nelle spalle, un colletto di camicia fresco di stiratura, ma di certo molto incomodo.”
Lei “era in gran montura, ma non si trovava a suo agio nella costrettura del busto, che non era solita a portare. Vestiva un bell'abito di seta marrone, ricca, croja, incartita, e sopra una spolverina di lana chiara copiata per la circostanza sul più recente figurino. Una grossa catena d'oro le cascava pesante dal corsetto fin sulla pancia. Orologio d'oro in vista, braccialetto, e orecchini di brillanti che stonavano coi fulgori di stella sulla pelle gialliccia e passura delle guance flosce.
Cappello a tese larghe, alto conico, e sopra fiori, grappoli, piumetti, tutto annuvolato in un velo di tulle; una montagna piena di sporgenze che urtavano da ogni parte, tenendola in un disagio che dava malinconia.
— Leva quela cavagna che te ghet in testa — le disse il marito…
Madama non rispose, e si sventagliò la faccia puntando al soffitto con dignitoso risentimento il suo naso tagliato a scarpa.”
I loro nomi? Gaudenzio Gibella e Martina Gibella sua moglie.
“I coniugi Gibella venivano dalle risaje della Lomellina; sfiaccolati dall'afa palustre, correvano a chiedere un po' di refrigerio alle fresche aure della riviera di Orta.
Avevano un bel negozio di drogheria in Sanazzaro, e dopo tanti anni di assiduità bottegaja, ora che gli affari erano assodati, ora che il loro primogenito Leopoldo aveva senno bastante per curare il negozio e la casa, ecco che i Gibella si erano messi in viaggio realizzando finalmente un vecchio progetto architettato ad ogni chiusura annuale dei conti, e rimandato da una stagione all'altra, per una ventina d'anni.”
I due coniugi si cimenteranno anche in un’ardita salita sui monti alla ricerca di latte fresco, ma con esiti disastrosi. Esito assolutamente prevedibile trattandosi di due “Alpinisti ciabattoni”!
Proprio questo è il titolo di un divertente romanzo, pubblicato nel 1888 da un altro Scapigliato che conosceva bene il lago d’Orta, Achille Giovanni Cagna, nato a Vercelli nel 1847 e morto nella stessa città nel 1931.
I suoi inizi non furono dei più brillanti. Iscritto all'Istituto professionale Cavour fu cacciato dal secondo corso in quanto "disutile", inetto e incapace a dedicarsi agli studi. Cominciò quindi a lavorare col padre che era stipettaio e presidente della Società operaia di Vercelli, ma per sbarcare il lunario dovette fare vari lavori modesti, coltivando parallelamente da autodidatta la passione della lettura e della scrittura.
Un aiuto gli venne dagli amici, come Giuseppe Cesare Abba, Edmondo De Amicis e Giovanni Faldella, il maggior esponente della Scapigliatura piemontese.
Il successo delle sue opere lo spinse a cercare una personale rivincita. In base alla Legge Casati del 1859, che disciplinava l’insegnamento scolastico, era possibile ottenere la nomina a professore nelle scuole professionali anche senza titolo di studio, ma solo grazie alle opere pubblicate. Cagna chiese così l'abilitazione all'insegnamento di lingua e letteratura italiana. Il Consiglio superiore, però, riconobbe bensì nelle sue opere "ingegno istintivo e cultura e abilità descrittiva", ma rigettò la domanda, dal momento che “si trattava solo di letteratura amena”.
Lo scrittore scrisse allora “Marcia di una gente”, pubblicato nel 1889, un compendio di storia greca grazie al quale gli fu concessa l'abilitazione provvisoria per tre anni. Rientrò così, e per la porta principale, in quello stesso istituto Cavour dalla cui finestra era stato cacciato. Vi insegnò tre anni, gratuitamente, come supplente di letteratura, ottenendo infine l'abilitazione definitiva.
Toltasi quella soddisfazione lasciò la scuola e tornò ad occuparsi di un’azienda agricola di famiglia, dedicandosi contemporaneamente alle lettere e alla politica. Divenuto consigliere comunale e membro della commissione scolastica, apprezzato conferenziere e giornalista il monello "disutile" di un tempo era infine riuscito a diventare un “autodidatta laureato”.
Se volete leggere il testo seguite questo link.
mercoledì 27 novembre 2013
Scapigliati maestri
Tutto cominciò quando un pittore nemmeno ventunenne giunse nel borgo di Sulzena, con la necessità di cercare ospitalità per la notte. La troverà nella casa del curato, ma verrà coinvolto in una serie di vicende dai contorni torbidi che hanno come teatro la valle dello Strona, sopra Omegna, sul lago d’Orta.
La storia che ho sopra accennata, contenuta ne “Le memorie del presbiterio” si deve alla mente di Emilio Praga e alla penna di Roberto Sacchetti che la portò a termine, completando il lavoro lasciato a metà dall’amico, distrutto dall’alcol, dalla droga e dalla vita sregolata a soli trentasei anni nel 1875.
L’autodistruzione di questo giovane scrittore va inquadrata, oltre che nelle vicende biografiche, nel contesto del movimento artistico a cui aderiva.
«In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui d'ambo i sessi v'è chi direbbe una certa razza di gente - fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d'ingegno quasi sempre, più avanzati del loro secolo; indipendenti come l'aquila delle Alpi, pronti al bene quanto al male, inquieti, travagliati, turbolenti - i quali - e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca, e per una loro maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per… mille e mille altre cause e mille altri effetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo - meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le altre. Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d'indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l'ho battezzata appunto: la "Scapigliatura Milanese”».
Così scriveva nel 1862 Cletto Arrighi (Carlo Righetti) nel romanzo “La Scapigliatura”, che fu il manifesto dell’omonimo movimento artistico che si ispirava alla vita e all’opera dei Bohémiens e dei poeti maledetti d’oltralpe.
“Le memorie del presbiterio”, opera degli Scapigliati Emilio Praga e Roberto Sacchetti comparve a puntate su “Il Pungolo” tra giugno e novembre del 1877. In anni recenti il paese di Sulzena è stato identificato come il piccolo borgo di Luzzogno in Valle Strona, ma il romanzo cita ripetutamente il torrente, che viene anche magnificamente descritto.
“Scendevo così lentamente lungo le rive dello Strona, che mi affretto a presentarvi (cosa che avrei dovuto far prima), come il torrente più realista ed indocile alla moralità idrografica ch'io mi conosca. Figuratevi che egli non vuol saperne neppure per un minuto di quella linea retta, di quella misura costante che la convenienza dovrebbe insegnare anche ai torrenti per trasformarli, se Dio vuole, in quieti rigagnoli, in pingui ed onesti canali. Dimentico dei suoi doveri, del grande scopo della creazione che è quello di impinguare le tasche del negoziante di grano e di bestiame, sta asciutto la maggior parte dell'anno; poi, ad un tratto, quando il ghiribizzo gli salta, devasta pascoli e distrugge vigneti, cosa contraria all'economia politica; abbatte baite e casolari, attentato iniquo, come ognun vede, all'ordine a alla sacra prosperità della famiglia.
E il monello fa l'arte per l'arte; scende a balzelloni, rotolando massi dalla vetta di Cornalina, gitta sprazzi al sole per trame delle iridi cangianti. Si butta nei precipizii, si nasconde fra i cespugli, scompare nelle buche del monte, poi salta fuori a sproposito per tagliare il sentiero montanino, - e s'adagia fra l'erbe, e folleggia e spumeggia e si inebbria di libertà e di licenza - con una sicurezza come facesse la cosa più seria del mondo. Così non è buono a nulla, nè a far girare una ruota di mulino nè ad irrigare un pascolo, nulla!... malgrado tutti i tentativi fatti dai buoni padri coscritti di Zugliano e di Sulzena e persino dall'illustrissimo Consiglio provinciale di Novara per correggerlo e trarne qualche costrutto. Tanta è la sua impertinenza, che se poteste intenderlo, vi direbbe che Dio l'ha fatto a quel modo e che vuol tirar innanzi in quella bizzarra sua maniera, - tutte cose che dicono gli scapestrati.”
Praga e Sacchetti non furono, comunque, gli unici Scapigliati a frequentare le terre attorno al lago d’Orta. Ma ne parleremo la prossima volta…
Nella foto, Emilio Praga con gli Scapigliati Carlo Dossi e Luigi Conconi.
mercoledì 20 novembre 2013
Spiriti bizzarri
Il lago d’Orta sembra avere, tra le tante, una virtù particolare: quella di generare o attrarre spiriti bizzarri. Lo dico, sia ben chiaro, con grande affetto e stima per questi scrittori, per lo più ma non solo, che hanno lasciato tra le pagine più belle dedicate a questo piccolo specchio d’acqua, popolandolo di personaggi indimenticabili.
Ma, per citare Domenico Brioschi, che a buon diritto fa parte di questo elenco, procediamo con ordine!
Partiamo dal decrepito e ricchissimo novantaquattrenne barone Lamberto che vive sull’isola di San Giulio e paga sei persone per ripetere incessantemente il suo nome, avendo scoperto essere questo rimedio infallibile per sopravvivere alle sue ventiquattro malattie e anzi addirittura per ringiovanire.
Il protagonista di “C'era due volte il Barone Lamberto ovvero I misteri dell'isola di San Giulio” uscì dalla fertile penna di Gianni Rodari, grande narratore di storie per l’infanzia, che delle fantasie bizzarre e dei pensieri anarchici era non solo un maestro, ma anche un grande estimatore. Del resto era nato ad Omegna, città attraversata dalle acque della Nigoglia, da cui, sempre secondo lo stesso Autore, fu tratta una lapide che diceva “La Nigoeuja la va in su; e la legg la fèm nϋ!” (“La Nigoglia scorre in su; e la legge la facciamo noi!”). Tra le molte opere di Rodari c’è n'é un’altra ambientata sul lago, anzi nel lago: è la storia di un Ragioniere diventato un pesce del Cusio per risanare il lago d'Orta, allora pesantemente inquinato. Un'idea folle, diventata realtà pochi anni dopo, come spesso accade per le imprese apparentemente impossibili.
Di un altro personaggio singolare ho scritto tempo addietro, ma vale la pena riparlarne. Riuscite ad immaginare che un agente segreto libertino possa diventare Pontefice? Un uomo ci riuscì, benché il suo nome non fosse Bond, ma Piccolomini, Enea Silvio Piccolomini. In comune con 007 il Nostro aveva il rapporto con la Scozia. A differenza dall’agente di Sua Maestà, che per parte di padre è scozzese, Piccolomini compì nel 1435 una missione segreta in Scozia per convincere il re di quella terra, allora indipendente, ad entrare in guerra contro gli Inglesi. E, poiché Enea Silvio era non solo un famoso scrittore umanista ma anche un appassionato amante del gentil sesso, pare che durante il suo viaggio abbia messo incinta non una, ma ben due donne. Forse anche per questo effettuò il viaggio di ritorno attraverso l’Inghilterra travestito in modo da non essere riconosciuto da nessuno. Ad ogni modo durante i suoi avventurosi viaggi fu anche sul Lago d’Orta, che descrisse in versi latini molto belli prima di salire al soglio pontificio, nel 1458, col nome di Pio II. Nei sei anni di regno riuscì persino ad essere un buon Papa, capace di arginare le richieste nepotistiche dei familiari con versi passati alla storia: «Quand'ero solo Enea / nessun mi conoscea / Ora che son Pio / tutti mi chiaman zio».
Ernesto Ragazzoni, nativo di Orta, fu giornalista e scrittore. Capace di rime delicate come “Rose sfogliate”, fu però anche un anarchico cultore di discipline teosofiche e occultiste. Le sue critiche alla buona società novarese gli fecero perdere il posto di direttore alla Gazzetta di Novara. Il suo spirito goliardico gli dettò invece “L'Apoteosi dei Culi d'Orta”, composta in occasione dell'inaugurazione di pubblici gabinetti in quella città. Se non la conoscete potete leggerla qui.
Ragazzoni era un ammiratore di Friedrich Nietzsche che aveva effettuato un breve soggiorno ad Orta nel 1882. Il filosofo faceva parte di una compagnia composta dalla ventunenne Lou Salomé, dalla madre di lei e dal migliore amico di Nietzsche, Paul Rée. In un pomeriggio di maggio Friedrich si ritrovò solo al Sacro Monte di Orta con l’affascinante e “intelligentissima” Lou, che aveva salutato, al momento del loro primo incontro, con queste parole: «Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui?»
Non è chiaro ciò che accadde quel giorno. Molti anni più tardi Lou scrisse distrattamente che “forse” l’aveva baciato, ma che non ricordava con esattezza. In ogni caso, per la giovane la cosa finì lì, mentre per l’uomo, che aveva 17 anni più di lei, l’evento fu travolgente e l’accese di una passione amorosa e intellettuale che sprofondò nella disperazione quando finalmente comprese la verità. Negli anni seguenti scrisse le sue opere più famose, prima del crollo nervoso definitivo che lo portò ad abbracciare e baciare un cavallo a Torino e a trascorrere gli ultimi anni di vita in una casa di cura per malattie mentali. Potenza di quel bacio “forse” dato o dei panorami del lago d’Orta? Difficile dirlo e soprattutto disgiungere il lago e l’amore, dal momento che è giustamente ritenuto uno dei laghi più romantici al mondo.
Ma continuate a seguirci, perché l’elenco degli autori è ancora lungo…
mercoledì 13 novembre 2013
Ma procediamo con ordine
Presumo che solo pochi tra i cinque (quattro escluso l’autore) lettori di questo blog sappiano che sulla ridente sponda (non so perché sia sempre così ilare, forse perché è la “sponda grassa” piemontese e se ne sta di fronte alla “magra”, situata in territorio lombardo) del Lago Maggiore esiste una villa legata a un “Gigante del Palcoscenico”. Stiamo parlando, naturalmente, del più grosso basso lirico dell’Ottocento, il milanese Achille Bianchini, nome d’arte di Antonio Scazzosi, nato il 10 ottobre 1843 in una modesta cascina tra Mesero e Marcallo, dalle parti di Magenta.
Dotato di “un fisico imponente e di una voce erculea”, per citare le parole del suo più illustre (e finora unico) biografo, calcò le scene per oltre 40 anni facendosi notare per una voce che “si diceva provenire nientemeno che dal centro della terra”. Caratteristica questa che gli fruttò l’ulteriore soprannome di “Voce di Pluto”.
Personaggio senz’altro scomodo e controverso (“una voce monumentale in un monumentale cretino” disse Puccini), al termine della carriera cercò e trovò conforto nella fede grazie a Monsignor Rubinelli che riuscì a riportare sulla retta via la pecorella smarrita, invogliandola a trovare la strada dell'ovile con la pastura adatta. Che nel caso del Bianchini era costituita da rane di Caltignaga, fidighina (mortadella di fegato suino) di Nebbiuno e orecchie di maiale fritte di Suno accompagnate dall’ottimo Nebbiolo ricavato dalle vigne del “Motto Sifolone”.
La biografia del Bianchini non specifica se avesse già in animo il progetto o se questo sia stato concepito durante uno di questi ritiri spirituali. Fatto sta che il Nostro investì il proprio patrimonio in una villa costruita tra Lesa e Belgirate. “Villa Attila” avrebbe dovuto chiamarsi, ma per via della curiosa forma dei due monumentali pilastri d’ingresso a forma di lingam, che avrebbero dovuto rappresentare due simboli sacri alla religiosità degli Unni, il complesso fu ribattezzato dagli indigeni (che nulla sapevano dei lingam e degli Unni, ma che avevano perfettamente compreso il significato di “quei cosi”) “Villa Pirla”. E chi mastica un poco di lombardo avrà a sua volta capito, senza ulteriori spiegazioni, quale forma avessero quei pilastri…
Ma procediamo con ordine.
Le vicende che ruotano attorno all'edificio sono ancora lunghe e complesse e meritano di essere lette direttamente dalla penna del “biografo” del Bianchini… vale a dire dal cusiano Domenico Brioschi che tra le pagine di “Villa Pirla. Ma procediamo con ordine” ha saputo narrare le spassose vicende degli strambi personaggi che ruotano attorno a un edificio dal nome tanto singolare. O, per citare ancora il Brioschi, “una storia come spazio di rappresentazione dell’Ego dei proprietari che vi si succedono. Onestamente ogni tanto mi piacerebbe sapere ciò che scrivo”.
E con questo auspicio, che sottoscrivo, vi invito a leggere questo agile librettino di 116 pagine e vi do appuntamento la prossima settimana con altri curiosi narratori cusiani.
giovedì 13 giugno 2013
Venite a prendere un aperitivo a Stresa?
Domani pomeriggio (e poi nei giorni successivi) si rinnova il ciclo degli aperitivi letterari a Stresa. Qui trovate il programma completo.
Se siete in zona e vi va di fare un salto domani verso le 18 ci sarò anch'io, per fare quattro chiacchiere con l'amica Antonella che presenterà il suo romanzo, "La roccia nel cuore" ambientato sul lago d'Orta.
mercoledì 17 aprile 2013
La roccia nel cuore
Sul lago d’Orta una piccola comunità è sconvolta dal suicidio di un adolescente. Due sole persone dubitano che le cose siano proprio come sembrano: un compagno del ragazzo morto e il nuovo parroco del paese. Due opposti modi di vedere il mondo stretti in un’inedita alleanza per svelare un mistero che va infittendosi quando nella basilica vicina sparisce il teschio di un santo. Sulle orme di Fred Vargas, un romanzo d’esordio con qualche tono di giallo dove le digressioni contano quanto gli indizi. Dove la descrizione della realtà, nei suoi risvolti di attualità sociale, si mescola all’immaginario in una geografia costruita tanto su luoghi reali fedelmente descritti quanto sulle loro leggende.
Questa è la trama de "La roccia nel cuore" il romanzo scritto dall'amica Antonella Mecenero. Un romanzo che avrò il piacere di presentare di persona il 30 aprile prossimo alla Fabbrica di Carta a Villadossola, alle 18,30.
Antonella Mecenero
La roccia nel cuore
Interlinea, pp. 180, euro 15
Collana "Gli Aironi"
isbn 978-88-8212-904-0
domenica 14 aprile 2013
Giallo Stresa 2013
A Stresa tornano le iniziative legate alla letteratura gialla, con la seconda edizione del premio Giallostresa per un racconto inedito di genere giallo o noir di lunghezza compresa tra le 15'000 e le 30'000 battute da inviare entro venerdì 24 maggio 2013.
Forte del successo dello scorso anno che aveva visto la partecipazione di ottantuno racconti, quest’anno l’ambientazione viene estesa alla sponda piemontese del lago Maggiore e alle località limitrofe ai laghi della provincia VCO.
Per maggiori informazioni: http://giallostresa.jimdo.com
giovedì 1 novembre 2012
Noir sul lago Maggiore
Domenica 4 novembre alle ore 16, presso la Sede del Distretto dei Laghi ci sarà la presentazione dell'antologia "Delitti d'acqua dolce", che raccoglie una ventina di racconti ambientati a Stresa.
Sono vari gli autori di questa antologia (Mercedes Bresso, Sergio Cova, Andrea Dallapina, Maurizio Gilardi, Rossana Girotto, Riccardo Landini, Francesco Manarini e Massimo Rodighiero, Sabrina Minetti, Samuele Nava, Emiliano Pedroni, Maurizio Pellizzon, Elena Sedin, Federico Spinozzi, Gianluca Veltri), di cui vari sono miei amici. Vorrei ricordarne una, però, in particolare che sta vivendo un momento di particolare fermento editoriale.
Mi riferisco all'amica blogger Tenar, che ha recentemente aperto un nuovo blog e che in questo post ci da un aggiornamento in tempo reale delle sue pubblicazioni, che ovviamente vi invito caldamente a leggere, avendo avuto modo di dare una sbirciatina in anteprima.
Ricordo infine che il ricavato dell'antologia sarà devoluto alla ricostruzione dei giardini di Villa Taranto, che ne hanno davvero bisogno dopo la devastante tromba d'aria di qualche settimana fa.
domenica 9 settembre 2012
La Pirlonea di Ludovico Maria Sinistrari
Di Ludovico Maria Sinistrari abbiamo già parlato in passato. Questo personaggio, alquanto misterioso, nacque ad Ameno e fu zio di Lazaro Agostino Cotta, il primo storico del Cusio. Esperto giureconsulto e inquisitore a lui sono attribuite una serie di opere giuridiche particolari, sia per le tematiche scabrose, sia per la descrizione di creature, gli Incubi, che richiamano gli Elfi Oscuri, i Vampiri e altre inquietanti figure delle Tenebre.
Ebbene sempre a Sinistrari è attribuita un’altra opera apparsa nel 1666 sotto il nome del nipote, Lazaro Agostino Cotta. Si tratta di una commedia dialettale dal simpatico nome di “La Pirlonea”. L’opera, a lungo dimenticata è stata ora riproposta da Piero De Gennaro, che ne ha curato la riedizione.
Sabato 6 ottobre 2012 alle ore 16 al convento francescano di Monte Mesma, Ameno, questa riedizione sarà presentata, a cura dell’Associazione Storica Cusius e dell’Ordine dei frati minori del Piemonte, con una introduzione di Carlo Carena. L'attore Floriano Negri ne leggerà alcune pagine.
E se eravate curiosi di vedere la vera faccia di Sinistrari, trovate qui sopra un suo ritratto. Vi compare, circondato da molti libri, il volto di un uomo serio, di quelli che potreste incontrare ancora oggi sul Cusio. Ma è spesso dietro l’aspetto di persone normali che si nascondono menti dalle fantasie eccessive...
Per informazioni:
associazione.cusius@libero.it, pierodegennaro@alice.it
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venerdì 31 agosto 2012
Un libro sulla chiesa parrocchiale di Armeno
Sabato 1 settembre 2012, alle ore 21, presso la Chiesa parrocchiale di Armeno verrà presentato il volume “La chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta di Armeno”.
La serata sarà allietata da interventi musicali di Chronos Ensemble
Indice del volume.
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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".
Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.
Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.