Enrico aveva trentasei anni, aveva un figlio, era vedovo ed era conosciuto soprattutto per la sua passione per la caccia con il falcone. Per questo divenne noto come Enrico l’Uccellatore. Matilde aveva sedici anni e lasciava il convento dove era stata cresciuta dalla badessa sua nonna per sposarlo. Iniziava così, nell’anno del Signore Novecentonove la storia di una dinastia che avrebbe cambiato il destino dell’Europa.
Non conosciamo i pensieri della giovane che andava in sposa all’Uccellatore, ma conosciamo bene, in compenso, l’eredità che portava con sé. Matilde di Ringelheim discendeva dal Duca Vitichindo che, ai tempi del cristianissimo Imperatore Carlo Magno, aveva guidato la strenua resistenza dei Sassoni pagani contro i conquistatori franchi, si era infine convertito al cristianesimo, era stato fondatore di chiese ed era morto in fama di santità. La discendente di questo eroe nazionale andava in sposa al figlio del Duca di Sassonia Ottone, che intendeva rafforzare con questo matrimonio il prestigio crescente della casata dei Liudolfingi.
A quel tempo i cinque ducati tedeschi, divisi dalle discordie, erano sotto la minaccia costante degli Ungari, che si facevano ogni anno più audaci, coprendo di ridicolo l’inetto re Corrado che ormai controllava a malapena il proprio ducato. Il duca Ottone mirava alla riunificazione del regno per fronteggiare la minaccia, ma non era destinato a vedere realizzato il suo sogno. Morì tre anni dopo il matrimonio del figlio, lasciando ad Enrico il titolo di duca di Sassonia e il compito di portare a compimento quel disegno politico.
Enrico si rese ben presto conto che le sue forze erano insufficienti a contrastare sul campo l’orda ungara, che poteva schierare decine di migliaia di feroci guerrieri, che montavano cavalli velocissimi e impugnavano archi letali. Come se non bastasse, alla frontiera settentrionale si trovava il regno di Danimarca, patria di quei temibili Vichinghi che in quegli anni stavano seminando il terrore in Francia e nelle Isole Britanniche. Nel frattempo la guerra con gli Ungari andava sempre peggio. Lo stesso re, Corrado di Franconia, fu ferito gravemente in battaglia e morì nel 918.
La situazione appariva disperata. I Duchi litigavano tra loro e il regno appariva sempre più spaccato, finché l’abile diplomazia intessuta da Enrico e da sua moglie portò ad un primo risultato. Nel 919, si dice mentre Enrico era intento in una battuta di caccia, gli venne portata la notizia che il consiglio dei nobili aveva scelto lui come re di Germania.
Non era stata un’elezione concorde, ma era un inizio. Enrico cominciò a riorganizzare il regno e a prepararsi per lo scontro con gli Ungari. Non era cosa semplice perché grande era il terrore che questi spargevano, accrescendo deliberatamente la loro immagine di ferocia e cercando di sembrare ancora più numerosi di quanto già fossero mediante continui movimenti del fronte.
Fu Matilde a suggerirgli cosa doveva fare. Era vissuta in convento e sapeva bene quale influenza può avere la religione sull’animo degli uomini. Nel 926 Enrico indirizzò una missiva all’abbazia di San Maurizio di Agaunum (l’odierna Saint-Maurice nel Vallese) promettendo la cessione dell’intero cantone dell’Argovia, se gli fosse stata mandata una reliquia in grado di suscitare la fede dei suoi guerrieri nella vittoria.
Gli venne mandata una risposta degna della ricompensa promessa. L’abate gli fece giungere un oggetto straordinario: la lancia di San Maurizio, un oggetto sacro che avrebbe assicurato l’invincibilità a chiunque l’avesse posseduta.
Enrico, stringendo tra le mani la Lancia del Destino, come cominciò ad essere chiamata, affrontò gli Ungari sul campo quello stesso anno. La fortuna fu subito dalla sua. Riuscì infatti a catturare uno dei capi dell’orda nemica e giunse ad un accordo con lui. In cambio di una tregua di nove anni Enrico l’avrebbe liberato e gli avrebbe dato un forte tributo. Non era ancora una vittoria, ma quanto meno al suo regno venivano assicurati alcuni anni di pace, preziosissimi per preparare la rivincita.
Enrico costruì nuove fortezze, gli unici luoghi che offrivano rifugio contro gli invasori, e riorganizzò l’esercito, dotandolo di reparti di cavalieri corazzati, protetti da armature e scudi. Poi mosse guerra agli slavi, estendendo i suoi domini verso oriente.
Anche sul fronte politico religioso Enrico fu molto attivo e si riconosce in questo il consiglio prezioso della moglie. Lavorò per ottenere l’appoggio di tutti i duchi e nel 929 promosse un solenne incontro a Magdeburgo in cui annunciò l’avvio dei lavori per la costruzione di un convento dedicato a San Maurizio. In seguito, avvicinandosi lo scadere della tregua, convinse i vescovi a non versare più il tributo agli Ungari confidando nella protezione del re.
La reazione non si fece attendere. Nel 933 un’armata di migliaia di cavalieri mosse contro la Germania per metterla a ferro e fuoco. Con grande stupore degli Ungari, invece delle milizie male armate e peggio guidate che si aspettavano di trovare, videro davanti a loro un grande esercito, forte di migliaia di cavalieri pesantemente corazzati, al seguito di tutti i duchi di Germania finalmente uniti e stretti attorno ad un re rispettato. E ognuno, dal re fino all’ultimo dei soldati, era certo che la Lancia del Destino avrebbe fatto scendere in campo al loro fianco l’invincibile Legione Tebana, agli ordini del generale Maurizio.
Gli Ungari compresero che non era giornata per loro e, voltati i cavalli, se ne tornarono nel loro paese.
La Germania poteva tirare un lungo sospiro, ma non era la fine della guerra né delle razzie degli Ungari, che rientrati in patria si dedicarono al saccheggio di altri territori, continuando in segreto a preparare la vendetta...
Parte 5 - continua
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Parte 9
Interessantissimo Alfa, mi sono letta le punatte precedenti , e ora aspetto le prosssime. MIAOOOO
RispondiEliminaInteressantissimo Alfa, mi sono letta le punatte precedenti , e ora aspetto le prosssime. MIAOOOO
RispondiEliminaanch'io le ho lette, sono molto interessanti :-)con le antiche atmosfere non si sbaglia mai
RispondiEliminaQueste vicende sono qui descritte meglio che nel romanzo storico di Ketty Magni Adelaide e gli Ottoniani.
RispondiEliminaComplimenti vivissimi.