martedì 29 novembre 2011

Una miss sotto tiro




“C'è un tempo per mantenerti distante / un tempo per guardare altrove / c'è un tempo per tener giù la testa / per proseguire la tua giornata / c'è un tempo per la matita per gli occhi ed il rossetto / un tempo per tagliare i capelli”. È  l’inizio di una canzone ispirata ad una storia vera. Una storia di orrore e morte, ma anche una storia di bellezza e speranza.
Il 5 aprile 1992 cominciò il più lungo assedio nella storia bellica moderna. La città che per 44 mesi fu costantemente sotto il fuoco dei cannoni e dei cecchini, che ebbe oltre 12 mila morti e 50 mila feriti, perdendo il 64% della popolazione pre-bellica costretta alla fuga, non si trovava in qualche remota regione del mondo, ma nella civilissima Europa. Quella città, che divenne uno dei simboli di una guerra tanto assurda quanto crudele, è Sarajevo.

Non riuscendo a conquistarla, le forze militari serbe strinsero d’assedio la città bosniaca, martellandola coi cannoni e facendo sparare sui civili da cecchini appostati in punti strategici.

Alcune strade erano considerate così pericolose da essere conosciute come "viale dei cecchini", ma il grido “Pazite! Snajper!” ("Attenzione! Cecchino!") cominciò a risuonare ovunque.

In quell’inferno c’era chi tentava di ribadire il diritto della popolazione di Sarajevo a vivere in pace e insieme tra le diverse etnie come prima della guerra. E allora anche un concorso di bellezza poteva diventare un vero grido di speranza in un futuro migliore.

Bill Carter è un regista inglese che a seguito di un evento doloroso (aveva perso la fidanzata nel 1991 in un incidente automobilistico) aveva deciso di girare il mondo. Giunto in Jugoslavia nei mesi in cui la guerra civile ebbe inizio, decise di fermarsi a Sarajevo per condividere la lotta degli abitanti.

Lavorando per la TV locale Carter intervistò Bono degli U2, che fu colpito dalla sua storia. Scartata l’idea di un concerto a Sarajevo per il pericolo rappresentato dai cecchini, si decise di proiettare durante i concerti degli U2, con collegamenti satellitari di fortuna, le immagini girate da Carter.

Nel 1995 Carter realizzò un documentario che Bono volle titolare “Miss Sarajevo” per via delle immagini dedicate alla vincitrice di un concorso di bellezza nella città assediata, la diciassettenne Inela Nogic. 

Nel film c’è una canzone dallo stesso titolo, scritta ed eseguita da Bono e Brian Eno con lo pseudonimo Passengers e con la partecipazione nel finale di Luciano Pavarotti.

L’operazione contribuì a quella sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale che portò all’Accordo di Dayton e alla fine dell’assedio di Sarajevo il 29 febbraio 1996. Nel 1997 gli U2 poterono esibirsi a Sarajevo, incontrando Inela Nogic. Nel 1999 George Michael ne fece un’ottima cover inserita nell’album “Songs from the Last Century”.
 
Nella foto Inela Nogic tra le tombe del cimitero di Sarajevo.

domenica 27 novembre 2011

L’importanza di essere belle



Cinquemila anni fa le donne della Mesopotamia, della valle dell’Indo e dell’Egitto avevano già imparato a colorare le labbra macinando pietre semipreziose assieme ad altri pigmenti. L’invenzione del rossetto però potrebbe essere ancora più antica…
Secondo la tradizione ebraica la prima moglie di Adamo, prima di Eva quindi, fu Lilith dalle labbra rosse come il fuoco. Poiché ella non voleva stare sottomessa ad Adamo, ma pretendeva di dominarlo, Lilith fu ripudiata e cacciata dall’Eden e al suo posto fu creata Eva. Adamo però non riusciva a scordare le rosse labbra della prima donna che avesse amato, così Eva macinò delle bacche assieme alla terra e con questa pasta si tinse la bocca.

Anche la famosa regina Cleopatra usava il rossetto. E forse grazie a questo sedusse il grande Giulio Cesare e, dopo la sua morte, il generale Marco Antonio. Un problema era però costituito spesso dalla tossicità dei componenti usati, per cui non deve sorprendere se nella storia della cosmesi i medici ebbero sovente un ruolo importante.

Circa mille anni fa il grande medico arabo Abulcasis descrisse il modo per realizzare un rossetto solido. Egli viveva a Cordova che all’epoca era la capitale della Spagna musulmana ed era una città prospera con circa un milione di abitanti moltissime scuole ed ospedali. E molte donne desiderose di rendersi ancora più belle.

Il rossetto moderno però fu inventato in Francia, a Parigi, negli stessi anni in cui le ballerine facevano impazzire gli uomini ballando scatenati can can e veniva inaugurato il celebre Moulin Rouge.

Erano gli stessi anni in cui i pittori come Henri de Toulouse-Lautrec immortalavano le ballerine e le donne dalle labbra vermiglie nei caffè e nei locali.

Circa un secolo e mezzo prima, nella tedesca città di colonia veniva inventata invece un’acqua profumata, la famosa acqua di Colonia. L’inventore dell’Acqua ammirabile, come era chiamata all’epoca, non era però un tedesco.

Come fu confermato da una sentenza di un tribunale di Colonia nel 1907 l'inventore dell'Acqua di Colonia fu Giovanni Paolo Feminis, che era nativo di Crana nella Val Onsernone, sul confine tra Italia e Svizzera, ed era emigrato giovanissimo a Colonia. Il 13 gennaio 1727 la Facoltà di medicina di Colonia, a ulteriore conferma dei legami tra medicine e cosmetici, concesse la licenza di vendita alla sua Aqua Mirabilis. Dopo la sua morte essa fu ampiamente commercializzata dal suo aiutante, un vigezzino nativo di Santa Maria Maggiore, Giovanni Antonio Farina, che la rese famosa in tutto il mondo.

sabato 26 novembre 2011

Il rossetto nella Bottega del mistero.




Nella puntata di sabato 26 novembre, sul tema ROSSETTO, si parlerà della storia di alcuni cosmetici e di come nemmeno la guerra possa spegnere il sorriso di una bella ragazza.


La bottega del mistero è una rubrica che curo all’interno del programma Siamo in Onda su Puntoradio  in cui si parla di storie del territorio (nella prima parte) e della misteriosa storia che si trova talora dietro una canzone nella seconda.

Per ascoltare Siamo in Onda:
- FM 96.3 da Novara, Vercelli, Verbania, Biella, Alessandria, Torino, Varese, Milano, Pavia
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- via email: diretta@puntoradio.net - redazione@siamoinonda.it
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Buon Ascolto...
(Sarà possibile seguire la trasmissione in replica il martedì successivo sempre alle 21,00)


La foto è una cortesia di ELE.

giovedì 24 novembre 2011

Siamo in Onda si mette il rossetto



Secondo la tradizione ebraica la prima moglie di Adamo, prima di Eva quindi, fu Lilith dalle labbra rosse come il fuoco. Poiché ella non voleva stare sottomessa ad Adamo, ma pretendeva di dominarlo, Lilith fu ripudiata e cacciata dall’Eden e al suo posto fu creata Eva.
Adamo però non riusciva a scordare le rosse labbra della prima donna che avesse amato, così Eva macinò delle bacche assieme alla terra e con questa pasta si tinse la bocca. Aveva inventato il rossetto.

C’è però solo un programma che il sabato sera si mette il rossetto per voi: è Siamo in Onda, il talk show di Puntoradio, pieno di buona musica, simpatia e divertimento intelligente che sabato 26 novembre avrà come tema della serata proprio ROSSETTO.

Come tradizione c’è anche un quesito posto agli ascoltatori:

ROSSETTO è sensualità e seduzione, quale altra carta giochi per sedurre?


Ditelo  inviando un sms oppure scrivetelo su questo blog o via mail. Le risposte più belle saranno lette in trasmissione.

Potrete trovare le foto della serata su Facebook oppure sul blog www.siamoinonda.it


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La foto è una cortesia di Ele

martedì 22 novembre 2011

Orologi e solidarietà



Sono molte le canzoni rese famose dalla pubblicità. Talora capita ad artisti praticamente sconosciuti, come è avvenuto recentemente al gruppo danese The Asteroids Galaxy Tour con “The Golden Age”, lanciata dallo spot di una birra. Altre volte la pubblicità rilancia cantanti con un passato famoso ma che stanno attraversando un periodo di crisi.
Nel 1998 una famosa ditta di orologi scelse per una serie di spot dal titolo “How Long is a Swatch Minute?” una canzone pubblicata due anni prima da un artista scozzese. Il suo nome è Midge Ure ed era stato il cantante e leader del gruppo musicale inglese Ultravox dal 1979, dopo l’abbandono del fondatore John Foxx, al 1987.
Nel 1984 Midge Ure fu protagonista di uno dei più grandi eventi musicali del decennio. Impressionato dalle immagini sulla carestia in Etiopia il cantante Bob Geldof aveva contattato Midge Ure. Insieme scrissero una canzone i cui proventi dovevano essere destinati a raccogliere fondi per gli aiuti umanitari.
Bob Geldof e Midge Ure avevano deciso che "Do They Know It's Christmas?" doveva essere una canzone corale che unisse i cantanti britannici per uno scopo benefico. Nacque così il supergruppo anglo irlandese Band Aid di cui fecero parte, tra gli altri, Phil Collins, Spandau Ballet, Duran Duran, Ultravox, Bananarama, Paul Young, Bono Vox degli U2, Culture Club, George Michael, Kool & The Gang, Sting, Status Quo, Big Country, David Bowie e Paul McCartney.
L’anno successivo, anche a seguito del successo dell’analoga iniziativa americana USA for Africa, il 13 luglio 1985, Geldof e Ure organizzarono Live Aid, un mega concerto in diverse località del globo (principalmente lo Stadio di Wembley a Londra e lo Stadio JFK di Filadelfia) sempre allo scopo di raccogliere fondi per l’Etiopia.
Sul palco, oltre agli artisti già citati, si esibirono Style Council, Adam Ant, INXS, Joan Baez, Elvis Costello, Opus, Nik Kershaw, B.B. King, Sade,     Black Sabbath, Bryan Ferry, David Gilmour, Crosby, Stills and Nash, Judas Priest, Alison Moyet, Bryan Adams, Beach Boys, Dire Straits, Queen, Santana, Elton John, The Who, Simple Minds, Madonna, Eric Clapton, Led Zeppelin, Mick Jagger, Tina Turner e Bob Dylan. Solo per citare i più famosi.
Dopo il Live Aid e lo scioglimento degli Ultravox Midge Ure proseguì la sua carriera solistica, ma senza raggiungere risultati particolarmente brillanti sul fronte delle vendite.
Fu lo spot degli orologi a rilanciarlo, spingendolo anche a organizzare, sempre con Bob Geldof, un nuovo evento come il grandioso Live 8 nel 2005, una serie di 10 concerti nell’ambito di una campagna mondiale per la cancellazione del debito dei paesi più poveri.

Midge Ure – Breathe  

domenica 20 novembre 2011

Le ore prima dell’orologio

L’esigenza di misurare il tempo è antica e si lega alla necessità di prevedere i momenti ideali per le attività fondamentali. E vari sono i sistemi inventati non solo per misurare il passare del tempo, ma anche per comunicarlo agli altri.
Oltretutto, in certe epoche, il numero di persona in grado di leggere e scrivere era molto basso sul totale della popolazione. Occorrevano sistemi facili da comprendere, come le meridiane, e possibilmente utilizzabili anche per segnalare le ore anche a grandi distanze, ai contadini che lavoravano nei campi. Come le campane.
L’uso di campane e campanelli è testimoniato fin da epoche antiche. Nell’antica Roma erano già in uso, sia con la funzione di amuleti che per segnalare l’apertura di edifici pubblici, come le terme.
Esistevano anche campanacci per il bestiame. Alcuni esemplari sono stati rinvenuti a Gravellona Toce durante gli scavi archeologici compiuti nel secolo scorso. Erano in ferro ed erano appesi al collo degli animali per segnalare la posizione non solo dei bovini ma anche di pecore e capre.
Ad un certo punto però campane di una certa dimensione cominciarono ad essere collocate presso le chiese per richiamare i fedeli e segnalare le funzioni della giornata. In questo modo il giorno cominciava ad avere una scansione interna segnalata dall’uso delle campane.
Secondo la tradizione fu Paolino da Nola nel V secolo ad introdurre l’uso delle campane per le chiese. Precedentemente infatti questi strumenti erano guardati con sospetto essendo presenti nei templi pagani. Il termine “campana” verrebbe proprio dai “vasa campana”, come erano chiamati in antico questi strumenti che assomigliavano a vasi in bronzo ed erano prodotti nella regione Campania, dove venivano fabbricate le prime campane.
A proposito di fabbricanti di campane c’è una storia interessante che riguarda la nostra zona ed in particolare il paese di Valduggia, sul confine tra la Val Sesia e il Cusio.
Attorno alla metà del Quattrocento iniziò un’attività di fabbricazione di campane tramandata di generazione in generazione dalla famiglia Mazzola fino al 2004. Innumerevoli furono le campane realizzate da questi maestri artigiani non solo sul territorio cusiano e valsesiano. Un’arte antica che ancora oggi risuona nei rintocchi delle campane che comunicano il passare delle ore.

sabato 19 novembre 2011

Sonanti orologi nella Bottega del mistero




Nella puntata di sabato 19 novembre, sul tema OROLOGI, si parlerà di antichi strumenti per segnalare il passare delle ore e di come uno spot possa rilanciare una carriera musicale un po’ appannata.

La bottega del mistero è una rubrica che curo all’interno del programma Siamo in Onda su Puntoradio www.puntoradio.net in cui si parla di storie del territorio (nella prima parte) e della misteriosa storia che si trova talora dietro una canzone nella seconda.

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giovedì 17 novembre 2011

Orologi a Siamo in Onda




“In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù.”
Harry Lime (Orson Welles) in “il terzo uomo”.


C’è però solo un programma puntuale come un orologio svizzero nella confusione del sabato sera: è Siamo in Onda, il talk show di Puntoradio, pieno di buona musica, simpatia e divertimento intelligente che sabato 12 novembre avrà come tema della serata proprio OROLOGIO.

Come tradizione c’è anche un quesito posto agli ascoltatori:

La vita è come un orologio, in quale periodo della vostra vita, avreste voluto fermare le lancette?


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Ele

mercoledì 16 novembre 2011

Le ventimila storie di Siamo in Onda

Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo questo comunicato stampa.
 
Siamo in Onda, il talk show di Puntoradio, festeggia ventimila storie raccontate via internet Il podcast del programma radiofonico taglia il traguardo del primo anno Per chi ama la radio, ecco una bella storia di provincia, di quelle che fanno poco rumore ma che sono un esempio di utilizzo creativo del mezzo.
Esattamente un anno fa, il 16 novembre del 2010, nasceva Le Storie di Siamo in Onda, un podcast di audioracconti scritti da vari autori per Siamo in Onda, il talk show del sabato sera di Puntoradio.
In un anno il podcast ha registrato un numero importante di contatti: ventimila storie scaricate ed ascoltate da utenti di tutto il mondo. La crescita di interesse attorno al progetto è stata esponenziale da quando, a marzo, la Apple ha posato gli occhi sull’iniziativa, premiandola con la prima pagina dell’iTunes Store, il negozio online dell’azienda californiana.
Per chi non ha dimestichezza con certi mezzi tecnologici, è necessario precisare che il podcast è una forma di distribuzione di contenuti audio (e anche video) attraverso internet e, in particolare, software come iTunes. Abbonarsi al podcast - lo si fa gratuitamente - consente, ogni volta che Le Storie pubblica un nuovo audioracconto, di scaricarlo automaticamente sul computer dell’abbonato, pronto per essere ascoltato.
Il podcast di Le Storie di Siamo in Onda è solo l’ultima tra le iniziative letterarie del talk show dell’emittente novarese. Lo staff del programma, in cinque stagioni, ha coltivato la collaborazione di un nutrito gruppo di scrittori, invitati settimanalmente a ideare brevi storie attorno a temi assegnati. “È stata una sorpresa trovare sul territorio piemontese e lombardo tanti amanti della scrittura disposti a mettersi in gioco” ci confidano. Gli autori infatti oggi sono una trentina; tra loro ci sono rodati narratori e talentuosi dilettanti.
“All’inizio i racconti venivano semplicemente letti in diretta.” sottolinea Fabio Giusti, responsabile artistico del programma “Poi si è deciso di diffondere i testi anche in un blog che oggi, con la sinergia di Facebook, raggiunge circa novemila lettori al mese.
Infine, nelle ultime stagioni, Le Storie sono diventate quei raffinati audioracconti che chiunque abbia un computer o un lettore mp3 può ascoltare dove e quando vuole.”
Che cosa rende Le Storie di Siamo in Onda un progetto unico nel suo genere?
“Probabilmente la formula.” spiega Fulvio Julita, colui che coordina la squadra di scrittori “Inventare una storia lunga non più di 2.100 battute (corrispondono a circa tre minuti di lettura, il tempo di una canzone) è, per chi scrive, una sfida intrigante e, per chi legge o ascolta, l’opportunità di cogliere, senza fatica e cali d’attenzione, ogni dettaglio, ogni emozione della narrazione. Colpisce la varietà di stili e punti di vista che contraddistingue il lavoro di un gruppo di teste pensanti ben assortito.”
Le storie sono vicende di fantasia a cui speaker, e alcuni attori, prestano le voci in sala di registrazione. C’è poi una delicata fase di assemblaggio dell’audio con le basi musicali.
Questo è compito di Roberto “Smilzo” Manzoni il quale chiarisce: “Molti, alla luce dei risultati, sono sorpresi nello scoprire che nessuno di noi sia un professionista radiofonico. Chi presta il proprio contributo lo fa sacrificando ore di tempo libero, per il piacere di vivere un’esperienza appagante, unica. E utile. Soprattutto quando l’impegno incrocia la solidarietà”.
Nel 2009, ad esempio, i migliori testi delle prime stagioni sono diventati un’antologia:
“Parole al vento - Le più belle storie di Siamo in Onda, il salotto di Puntoradio” (editore Macchione). La distribuzione del libro ha consentito ad AGBD Arona – Associazione Genitori Bambini Down - di raccogliere i fondi necessari per acquistare un pulmino. “Un risultato che ci rende orgogliosi.” continua Fabio Giusti “E che testimonia quanto un mezzo umile come la radio, unito alla creatività e la passione delle persone, può portare a traguardi straordinari.”

Il blog di "Siamo in onda" è http://www.siamoinonda.it

Il podcast di Siamo in onda:
http://itunes.apple.com/it/podcast/le-storie-di-siamo-in-onda/id404923990

lunedì 14 novembre 2011

La regina della finta pelle



Nel 1980 esce l’album “Warm Latherette”, quarto della cantante, attrice e modella di origine giamaicana Grace Jones. Affermatasi come regina della disco music negli anni Settanta, Grace Jones conosce il grande successo anche grazie ad una serie di cover di successo tra cui una personale versione di “La vie en rose” di Edith Piaf o “Libertango” di Astor Piazzolla.
Contemporaneamente porta avanti una carriera parallela come attrice, interpretando ruoli di grande impatto in produzioni di successo commerciale come “Conan il Distruttore” (1984) accanto ad Arnold Schwarzenegger, o “Agente 007 - Bersaglio mobile” (A View to a Kill) del 1985. Nel 1986 interpreta anche il ruolo della regina dei vampiri nel film “Vamp”.

“Warm Latherette” prende il nome dalla cover di una canzone composta da Daniel Miller (più noto per essere il produttore e fondatore dell’etichetta discografica inglese Mute Records), che con lo pseudonimo The normal aveva inciso il singolo nel 1978. Miller scrisse “Warm Latherette” dopo aver letto lo scandaloso romanzo “Crash” dello scrittore James Graham Ballard.
Ballard è uno dei maestri neri della fantascienza. Fortemente influenzato dall’arte surrealista, gli scenari dei suoi romanzi sono quelli della distopia. Società claustrofobiche e oppressive in cui nessuna persona sana di mente vorrebbe vivere. Non a caso gli anti eroi di Ballard sono autentiche “pecore nere del genere umano” dalla personalità fortemente alienata che si muovono in una realtà altrettanto allucinata e deformata.

La pubblicazione di “Crash” nel 1973 fece scandalo per le tematiche estreme di una trama che esprime il rifiuto più totale per la disumana società di un futuro prossimo, in cui gli uomini perdono la capacità di vivere le proprie pulsioni erotiche in modo normale.
I protagonisti della storia sono infatti preda di una perversione feticista che li spinge a collezionare macabre fotografie di automobili vittime di incidenti stradali.

Un romanzo estremo, ripreso nel film omonimo diretto da David Cronenberg nel 1996, le cui atmosfere disturbanti sono riprese da una canzone non facile all’ascolto, cui Grace Jones presta la sua voce e la sua fortissima personalità.
Grace Jones, la selvaggia pantera nera della disco music, è una cantante dalla voce potente che si è imposta anche per un’immagine fortemente aggressiva, l’aspetto androgino e un abbigliamento accuratamente studiato con la collaborazione di stilisti e artisti. Un look che anticipa le mode e avrà forti influenze su altre cantanti come Madonna o più recentemente, Lady Gaga.

Grace Jones, Warm Leatherette.

domenica 13 novembre 2011

Tessuti artificiali




Era il 1927 e a Gozzano veniva prodotta la prima “seta artificiale”. Ricavato dai linters grezzi (la peluria che ricopre i semi del cotone) attraverso un processo chimico messo a punto in Germania, il filato, chiamato anche Rayon, conobbe un rapido successo per la possibilità di essere usato per le fodere dei vestiti.
L’impianto dell’azienda Bemberg in Italia venne accolto con favore dalle autorità e dalla popolazione, per la possibilità di impiego che offriva la nuovissima fabbrica ad un territorio in cui la manodopera era in eccesso rispetto alle possibilità occupazionali. 


Una nuova tecnologia, una nuova fibra sintetica, una nuova fabbrica, nuovi posti di lavoro. E perfino una consistente donazione a favore del progetto di un ospedale. Tutto perfetto, quindi, nella “Santa Bemberg” com’era chiamata da molti. Almeno apparentemente…
Alcune voci contrarie si levarono quasi subito, sollevando dubbi sull’opportunità di prelevare acqua dal lago d’Orta scaricando nuovamente le acque del processo cuproammoniacale nello stesso bacino. Si temeva per il livello delle acque e anche per i possibili effetti sulla pesca, in un lago dalle acque ricchissime di vita che davano lavoro a molti pescatori di professione.


Non erano però anni facili per esprimere dissenso quelli. Non solo la fabbrica portava lavoro, ma godeva di coperture politiche importanti, in un regime che stava rapidamente spegnendo tutte le voci critiche, interne ed esterne. Ci fu però chi ebbe il coraggio di sfidare il muro di silenzio. E come spesso accade fu una donna.
La professoressa Rina Monti, originaria di Arcisate, vicino Varese, si era dovuta aprire la strada dentro un ambiente universitario marcatamente maschilista, diventando la prima donna, nel 1907, a ottenere una cattedra universitaria in Italia. E aveva saputo guadagnarsi il rispetto di colleghi e superiori fino a diventare una dei pionieri dello studio delle acque interne.


Quando le fu segnalata una misteriosa moria di pesci nel lago d’Orta la professoressa compì una serie di analisi delle acque. Il verdetto fu inequivocabile. Il ferro, il rame e l’ammoniaca scaricati nelle acque limpide del lago dal processo industriale stavano uccidendo la fauna, distruggendo la catena alimentare.
Questa è una storia che ha un lieto fine, che venne però solo 60 anni dopo questi fatti, quando le acque del Cusio, dichiarato ormai da molti un lago morto, vennero bonificate con una grandiosa azione di recupero. A ideare questo vero miracolo ecologico furono gli studiosi dell'Istituto di idrobiologia di Pallanza, dentro cui avevano lavorato molti allievi della professoressa Monti.




Nota bibliografica. Per approfondire l’argomento consiglio di leggere Angelo Vecchi, Bemberg: il “miracolo” è finito (e i cocci sono nostri) in Borgomanero Verde, Quaderni Borgomaneresi 8, Borgomanero 2005.

sabato 12 novembre 2011

La finta pelle nella Bottega del mistero.



La bottega del mistero è una rubrica che curo all’interno del programma Siamo in Onda http://siamoinonda.blogspot.com/su Puntoradio www.puntoradio.net in cui si parla di storie del territorio (nella prima parte) e della misteriosa storia che si trova talora dietro una canzone nella seconda.

Nella puntata di sabato 11 novembre, sul tema FINTA PELLE, si parlerà di filati sintetici e di inquinamento. Nella seconda parte racconteremo della selvaggia regina della finta pelle…



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giovedì 10 novembre 2011

La finta pelle di Siamo in Onda!



Donne, siete ecologiste? Amate gli animali? Non accettereste mai di rivestirvi con la pelle strappata ad un altro essere vivente?
Siete fortunate: la moderna tecnologia mette a disposizione della donna che non vuole rinunciare all’eleganza vestiti e accessori in ecopelle o finta pelle. In tutto simili all’originale ma ottenuti senza fare del male a nessuna creatura!

Così poteva suonare un annuncio pubblicitario di qualche anno fa.

Poi qualche guastafeste ha obiettato che certi procedimenti industriali per creare fibre sintetiche sono o possono essere altamente inquinanti e tutto si è fatto più confuso…


C’è però solo un programma che indossa senza esitazioni un elegante completo di finta pelle per rendere più affascinante il sabato sera: è Siamo in Onda, il talk show di Puntoradio, pieno di buona musica, simpatia e divertimento intelligente che sabato 12 novembre avrà come tema della serata proprio la FINTA PELLE.

Come tradizione c’è anche un quesito posto agli ascoltatori:
Non tutte le cose finte non hanno valore. Quale cosa finta vale più di una vera?

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martedì 8 novembre 2011

Licenza di uccidere




Nel 1962 sugli schermi cinematografici esplodeva una bomba. Dalle acque del mare emergeva un’affascinante e bionda cercatrice di conchiglie, vestita con un bikini bianco, che avrebbe incontrato di lì a poche inquadrature un uomo dal fisico atletico il cui nome era Bond, James Bond.
Il film è "Agente 007 - Licenza di uccidere" ed è il primo tratto dai romanzi dello scrittore inglese Ian Fleming, che fino a quel momento non aveva avuto particolare successo. Il film lo rese famoso, consacrando al contempo Ursula Andress come prima Bond girl della storia e un sconosciuto attore scozzese, Sean Connery, nel ruolo del più famoso agente segreto.


Lo stesso Fleming del resto aveva prestato servizio nei servizi segreti inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale, svolgendo ruoli non trascurabili.
Aveva elaborato ad esempio un complicato piano per catturare la famosa macchina “Enigma” che i Tedeschi utilizzavano per cifrare le loro comunicazioni militari. La decifrazione dei codici alla fine fu decisiva per la vittoria degli Alleati.


Diventato uno scrittore Fleming inventò il personaggio dell’agente 007, dove il doppio zero stava ad indicare una speciale squadra dei servizi segreti inglesi con la famosa “licenza di uccidere”. Fleming però aveva preso l’ispirazione per la sigla 007 da un personaggio straordinario, vissuto nel Cinquecento.
Il matematico, astrologo e negromante John Dee era il consigliere della regina inglese Elisabetta I nelle “materie occulte”. Nel 1587 suggerì di evitare lo scontro in mare aperto con la cosiddetta “Invincibile Armata”, una potentissima forza d’invasione che il re di Spagna Filippo II aveva inviato alla conquista dell’Inghilterra. Quando un uragano di potenza inaudita distrusse quasi completamente la flotta spagnola molti gli attribuirono il merito di aver scatenato una tempesta soprannaturale in difesa della patria.


I compiti svolti dal dottor Dee quale “consigliere sulle materie occulte” della Regina non si limitavano però all’astrologia. Grazie alla sua conoscenze matematiche e nel campo della crittografia egli era in grado di far pervenire a corte delicate informazioni cifrate sotto la sembianze di innocue lettere.
John Dee firmava queste missive con due O (a simboleggiare gli occhi della regina che tutto vedevano), seguiti dal numero magico 7. Molti secoli dopo, Jan Fleming, che conosceva bene la vita di John Dee, adottò questa cifra per indicare nei suoi romanzi l’agente segreto al servizio di Sua Maestà.


Uno degli ingredienti dei film di James Bond oltre a macchine veloci, inseguimenti mozzafiato e bellissime donne sono le celebri colonne sonore.
Tra le voci più note c’è quella della cantante gallese Shirley Bassey che interpretò le canzoni dei film “Goldfinger”, "Moonraker” e “Una cascata di diamanti” del 1971. Quest’ultimo è il sesto film della serie con Sean Connery nella parte di 007.


Shirley Bassey – Diamonds are forever

lunedì 7 novembre 2011

Il treno si è fermato


Il treno è fermo su binari d’acciaio che s’arroventano al sole, in una giornata estiva che sembrerebbe simile a molte altre, se non mi trovassi nella surreale trappola di un mezzo costruito per viaggiare, inchiodato invece da otto ore e quarantasette minuti nello stesso punto.
Attorno a noi si estende un’afosa pianura. Qui un tempo c’erano foreste e campi coltivati. Ora è un’estensione di capannoni su cui la scritta “vendesi” si alterna agli “affittasi”. Da queste parti anche l’industria si è fermata; o forse se n’è andata lontano abbandonandoci ai nostri guai.
La stessa cosa è accaduta alla climatizzazione di questo treno, che si è spenta all’improvviso lasciandoci intrappolati in questo guscio surriscaldato. Non si possono aprire i finestrini né le porte e tanto meno è possibile scendere dal treno. Abbiamo chiesto al controllore cosa stesse succedendo, ma dopo aver borbottato che stava andando a vedere è stato inghiottito dal nulla e non l’abbiamo più rivisto.
Poiché i cellulari sono muti e la connessione ad internet è un miraggio più intenso di quelli che s’intravedono sotto il sole all’orizzonte circolano varie ipotesi sulle cause della nostra situazione: l’incompetenza del macchinista; un guasto meccanico o elettrico; la caduta della linea elettrica; un black out generalizzato dovuto all’accensione di troppi condizionatori. Qualcuno, ma si è trattato di una voce isolata, ha parlato di un’epidemia a bordo.
Curiosamente le vite dei passeggeri che sarebbero corse parallele hanno cominciato ad intrecciarsi da quando il treno si è fermato. Ho notato che ciascuno reagisce a suo modo alla situazione. Una signora racconta le urgenze che l’hanno spinta a partire, come se fossero motivo sufficiente per far ripartire il treno. Un ragazzo ha trovato l’occasione per provarci con una bella ragazza e lei, forse solo per vincere la noia, gli ha dato corda trasformandolo nel suo ventilatore personale. Un uomo coi baffi dice che è colpa del Governo che non ha fatto le riforme. Un uomo senza baffi ribatte che è colpa dell’opposizione che non ha consentito al Governo di farle. Una donna si rifugia nella lettura. Un signore davanti a me dorme. Tutti sbuffano. Io scrivo.
Non so dire perché mi succeda, ma quando il mondo attorno a me diventa grigio, piatto, immobile io sento la necessità di farlo. Non perché desideri far leggere a qualcuno ciò che scrivo. So però che devo. E che in qualche modo morirei se non lo facessi. Per questo accendo il computer e inizio a battere sulla tastiera. Oppure, come in questo caso, estraggo un taccuino e con una biro traccio freneticamente dei segni, che correggo e ricorreggo, fino a che la storia che mi è venuta a trovare comincia a prendere forma. Non è esattamente ciò che vorrei esprimere, ma questo è l’unico modo che conosco per fissare sulla carta un pallido fantasma della bellezza che ho intuito.


Era passato da poco l’otto settembre e rientravo con un amico dall’Istria su un treno carico di ex militari senza divisa. Rimasti senza ufficiali e senza ordini avevamo deciso che la guerra per noi era finita ed era ora di tornare a casa. A Verona però trovammo una sorpresa. La stazione era piena di tedeschi, con mitragliatrici ovunque. Il treno fu fermato e salirono a bordo. Sul binario accanto al nostro c’era una fila di carri bestiame. Man mano che trovavano i ragazzi in età di leva li buttavano giù dal nostro e li caricavano sull’altro treno. Chi tentava di scappare era falciato dalle raffiche delle guardie. Gli altri urlavano disperati e gettavano biglietti dalle finestrelle supplicando i passanti di avvisare le famiglie.
Noi due restavamo a guardarci senza alcuna idea di cosa fare. Nello scompartimento con noi c’era solo un uomo più vecchio, che leggeva il giornale e ogni tanto ci guardava.
«Datemi le vostre carte di identità» disse improvvisamente.
Eravamo così spaventati che obbedimmo come automi, senza nemmeno capire perché. Allora l’uomo prese di tasca un pennino. Trasse dalla valigetta delle boccette d’inchiostro e fece delle prove su un foglio di carta. Quando fu soddisfatto, prese i documenti e ci lavorò sopra col pennino. Infine ce li restituì. Notammo che aveva modificato perfettamente la data di nascita in modo da farci risultare troppo giovani per essere nelle classi di leva.
I tedeschi arrivarono e chiesero i documenti, videro la data di nascita, ci guardarono, ce li restituirono e andarono oltre. Per loro un documento ufficiale era un testo sacro. Impensabile discuterlo.
Io non ho idea di chi fosse quell’uomo. Un impiegato dell’anagrafe? O un falsario? Non l’ho mai più rivisto, perché appena possibile scendemmo dal treno e raggiungemmo Milano a piedi.


«Ecco, questo è successo veramente.»
«Prego?» domando al signore che mi sta di fronte.
Mi rendo conto che devo essermi appisolato.
«Mi scusi» risponde con un sorriso. «Alle volte mi capita di parlare da solo».
Mi chiedo quanti anni possa avere. Un’ottantina o forse più, ma ben portati. Poi mi trovo a pensare che persone come lui, quando avevano la metà dei miei anni, compirono imprese che faccio fatica anche solo ad immaginare. Bastava una cartolina per metterti su un treno diretto verso luoghi i cui nomi ora compaiono nei libri di storia. E dopo quello spaventoso tritacarne per loro venne il momento della scelta. Che fossero sfuggiti ai treni piombati verso la Germania o che si trovassero dentro campi cintati di ferro, ciascuno di loro dovette prima o dopo schierarsi, da una parte o dall’altra.
E penso anche alla generazione dei loro nonni che, inseguendo il sogno di un’Italia unita, leggeva e scriveva mentre andava a morire al fronte su treni a vapore. E quando il carbone finiva, i passeggeri scendevano dal treno, si rimboccavano le maniche e raccoglievano le canne del granoturco per alimentare la caldaia.
Pensando a loro, mentre il treno persiste nella sua immobilità, rileggo un’ultima volta i miei fogli pieni di belle parole ornate, prima di strapparli in mille pezzi e cominciare a scrivere. 
Una storia diversa, stavolta.




Nota: questo racconto era stato scritto per una rivista letteraria con cui per un certo tempo ho collaborato. Poi vi sono state divergenze sulla destinazione che il treno doveva raggiungere e il racconto è sceso dal convoglio. Ve lo propongo qui, essendo sempre attuale.

www.illagodeimisteri.it

domenica 6 novembre 2011

Una storia preziosa




I diamanti sono conosciuti fin dall’antichità, quando erano considerati amuleti in grado di sciogliere gli incantesimi o rivelare la verità.
Per la loro durezza (in greco “adámas” significa “indistruttibile”) erano apprezzati anche come strumenti di incisione, mentre l’uso come gioielli era limitato dalla difficoltà di lavorare queste pietre. Per lungo tempo infatti i diamanti furono pietre opache. Solo dal XVII secolo venne messo a punto il metodo per tagliarli a brillante.


Per molti secoli l’unica fonte di estrazione dei diamanti fu l’India. Da qui lungo le rotte carovaniere venivano esportati nel resto del mondo. Era un viaggio lungo e difficile. Nel 1638 il gioielliere francese Jean-Baptiste Tavernier si recò in India e aprì al commercio mondiale le miniere di diamanti della mitica Golconda. Qui però s’imbatté anche in un diamante dalla fama sinistra.
È il famoso o famigerato diamante Hope. Si dice che fosse uno degli occhi di una statua della dea indù Sita e che Tavernier l’abbia strappato deturpando l’idolo. Forse a causa del sacrilegio si dice che il diamante abbia portato una tremenda sfortuna a chiunque l’abbia posseduto. I più famosi furono il re di Francia Luigi XVI e la moglie Maria Antonietta che finirono entrambi decapitati dai rivoluzionari francesi, ma l’elenco delle morti tragiche, dei suicidi e delle disgrazie economiche tra gli sfortunati possessori è davvero impressionante.


La Rivoluzione Francese compare anche nella storia di altri diamanti, questa volta piemontesi, non per l’origine ma per la collocazione su un oggetto di grande importanza per la storia piemontese.
Nel Settecento i Savoia, che avevano ricevuto il titolo di Re di Sardegna fecero realizzare una preziosa corona in oro, diamanti, pietre preziose e velluto rosso, sormontata da una croce di San Maurizio e decorata alla base a nodi di Savoia.


La corona fu utilizzata per l'incoronazione di Vittorio Amedeo III di Savoia nel 1773 e compare in tutti i quadri dei re successivi, ma solo come simbolo, in quanto il prezioso oggetto era scomparso. Dopo che i rivoluzionari francesi avevano giustiziato il re, la regina e molti aristocratici, le potenze europee avevano deciso di intervenire per soffocare la rivoluzione e ristabilire l’ordine. Anche i Piemontesi parteciparono all’impresa.
Sulla strada delle sue armate Vittorio Amedeo III incontrò però un giovane generale francese di origine corsa, un certo Napoleone Bonaparte. I Piemontesi furono duramente sconfitti, Torino fu occupata, il re morì di un colpo apoplettico e la corona fu rubata dai Francesi, che fusero l’oro e vendettero le singole pietre. La corona non venne ricostruita nemmeno dopo la caduta di Bonaparte e la Restaurazione. Così i successivi re di Sardegna si limitarono a farla dipingere come simbolo nei quadri che li raffiguravano.

Nell'immagine Vittorio Amedeo II con la corona del Regno di Sardegna.

sabato 5 novembre 2011

I diamanti della Bottega del mistero.

La bottega del mistero è una rubrica che curo all’interno del programma Siamo in Onda su Puntoradio  in cui si parla di storie del territorio (nella prima parte) e della misteriosa storia che si trova talora dietro una canzone nella seconda.

Nella puntata di sabato novembre, sul tema DIAMANTI, si parlerà di diamanti maledetti e di corone scomparse. Nella seconda parte racconteremo in che modo un negromante ispirato grandissime colonne sonore…

Per ascoltare Siamo in Onda:
- FM 96.3 da Novara, Vercelli, Verbania, Biella, Alessandria, Torino, Varese, Milano, Pavia
- FM 93.5 - 96.00 da Borgosesia e Valsesia
- INTERNET in streaming su www.puntoradio.net

Per intervenire in DIRETTA:
- via email: diretta@puntoradio.net - redazione@siamoinonda.it
- via SMS:.389 96 96 960

Buon Ascolto...
(Sarà possibile seguire la trasmissione in replica il martedì successivo sempre alle 21,00)


La foto è una cortesia di ELE.

giovedì 3 novembre 2011

Una cascata di diamanti a Siamo in Onda!

“I've heard of affairs that are strictly platonic
but diamonds are a girls best friend”
Marilyn Monroe


I diamanti si sa sono i migliori amici delle ragazze. E hanno molti altri usi, anche se a conti fatti un diamante è solo il fratello ricco della grafite, che potete trovare nelle vostre matite…





C’è però solo un programma che scintilla nel buio del sabato sera come un diamante: è Siamo in Onda, il talk show di Puntoradio, pieno di buona musica, simpatia e divertimento intelligente che sabato 5 novembre avrà come tema della serata proprio i DIAMANTI.

Come tradizione c’è anche un quesito posto agli ascoltatori:

Il diamante è la gemma più preziosa. Chi o che cosa per voi non ha prezzo?

Ditelo  inviando un sms oppure scrivetelo su questo blog o via mail. Le risposte più belle saranno lette in trasmissione.

Potrete trovare le foto della serata su Facebook oppure sul blog www.siamoinonda.it


Per ascoltare Siamo in Onda:       
- FM 96.3 da Novara, Vercelli, Verbania, Biella, Alessandria, Torino, Varese, Milano, Pavia
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- INTERNET in streaming su www.puntoradio.net

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- via email: diretta@puntoradio.net - redazione@siamoinonda.it
- via SMS:.389 96 96 960    
   
 Buon Ascolto...
(Sarà possibile seguire la trasmissione in replica il martedì successivo sempre alle 21,00)


La foto è una cortesia di Ele

martedì 1 novembre 2011

Un cavallo senza nome




Era il 1971 quando tre ventenni americani bussarono alla porta di una casa inglese. I tre ragazzi avevano una strana storia alle spalle, ma colui che li fece entrare era un personaggio decisamente fuori dalle regole.
L’anno precedente i tre – che rispondevano al nome di Gerry Beckley, Dewey Bunnell e Dan Peek – avevano dato vita ad una formazione musicale che avevano chiamato “America” in omaggio ai loro padri, militari statunitensi, sposati a donne inglesi, in una base dell’aviazione americana a Londra. L’uomo che apri loro la porta era invece Arthur Brown, noto con il soprannome di “God of the Hell’s Fire” per via della più famosa canzone da lui scritta, nel 1968, “Fire”.


Durante il soggiorno nella casa studio di Brown, nel Dorset, la mente del giovane Dewey chiuso nella sua stanza, mentre fuori cadeva la tipica pioggia inglese, fu colpita da due immagini.
La prima era un asciutto deserto raffigurato in un quadro di Salvador Dalì, l’altro era un misterioso cavallo che usciva da un’immagine di M.C. Escher. Dewey fu preso dalla nostalgia del deserto che aveva attraversato nella sua infanzia, passata tra l’Arizona e il New Mexico, e cercò di rivivere quelle emozioni attraverso una canzone.


Ne nacque un brano chiamato inizialmente “Desert song”, dove si descrive un viaggio, compiuto su un cavallo senza nome, in un deserto in cui la prima cosa che incontra il protagonista è il ronzio di una mosca. E sarà proprio questo cavallo senza nome a decretare il successo della canzone.
Il primo album (che portava lo stesso nome della band) “America”, pubblicato nel 1971, non conteneva questa canzone. Nel frattempo però la band aveva deciso di dare a “Desert song” un nuovo titolo, “A horse with no name”. Dopo il successo del brano l’album fu riorganizzato inserendo quella che era diventata una hit mondiale.


Una parte del successo della canzone si deve probabilmente all’interpretazione del termine “cavallo” che diedero alcuni benpensanti, spingendo alcune radio statunitensi a censurare il brano, proibendone la messa in onda.
“Cavallo” era infatti il termine gergale con cui si indicava l’eroina e la censura vide erroneamente nella canzone un inno alla droga. Nonostante, o grazie a questo, la canzone scalò le classifiche decretando il successo mondiale della band che aveva attraversato il deserto su un cavallo senza nome.

America, A horse with no name

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.