Il lago dei Misteri vi augura Buone Feste!
Questo è un blog di racconti, leggende, storie raccontate dagli ubriachi nelle osterie e di cialtronesche invenzioni che ruotano attorno al lago d'Orta. Se cercate la Verità, qualunque sia quella che v’illudete di trovare, avete sbagliato indirizzo.
domenica 25 dicembre 2016
domenica 4 dicembre 2016
A6 Fanzine e David Bowie
"La sua stella brilla lassù, da qualche parte nello spazio. A noi quaggiù ne è rimasta quella lucentezza ispiratrice, camaleontica e geniale che ha contribuito a rendere David Bowie una stella del firmamento musicale.
Musica, cinema e arte si sono sempre fuse tra loro nell'essere David Bowie, ma mai uguale a se stesso, sempre variando ed evolvendo, rigenerandosi in diverse figure leggendarie, tracciando un solco nella storia della musica che difficilmente qualcuno saprà ripercorrere.
David Bowie è stato unico, la sua musica inconfondibile.
A6 Fanzine omaggia l'uomo delle stelle con un numero a lui dedicato, con illustrazioni, vignette, fumetti, giochi, storie, poesie e fotografie, in un universo che vede protagonista David Bowie.
Nei colori e nelle forme di linguaggio che tentano di raggiungere quella stella nell'universo, per un ultimo saluto."
Per visualizzare i contenuti, sfogliare A6 Fanzine gratis online o acquistare una copia seguite questo link.
Su questo numero trovate anche un raccontino dell'Errante, dal titolo "Il Duca".
Un omaggio a uno dei tanti grandi che ci hanno lasciato quest'anno, un personaggio poliedrico e geniale di cui abbiamo parlato su questo blog in alcuni post che potete rileggere qui.
sabato 19 novembre 2016
Torniamo a Boca
Lasciamo l'Antonelli e i suoi misteriosi edifici e torniamo a Boca. Perché vale la pena chiedersi quale sia l'origine attorno a cui si sviluppò l'impianto di questa colossale fabbrica, che nemmeno le avversità riuscirono a fermare.
Abbiamo detto che all'origine del Santuario ci sarebbe una semplice edicola, costruita attorno al 1600. Che questo sia il vero cuore del Santuario lo si comprende anche dalla rivolta degli abitanti contro l'Antonelli che voleva spostarla.
"Lì è sempre stata, lì deve restare!" fu la risposta.
Ma lì dove? Perché in fondo, tentava di spiegare l'architetto, si trattava di poche decine di metri e la cappella poteva essere spostata intera.
"Lì è sempre stata, lì deve restare!" era sempre la risposta.
Cosa c'era sotto? Una roccia poteva essere sostituita da una base di pietra. Erano forse le parole del Vangelo ad ancorarli in quel fermo rifiuto?
"Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia." (Mt 7, 24-25)
O era un'altra la motivazione? Qualcosa che induceva a ritenere sacra proprio la pietra su cui era stata edificata l'edicola votiva e attorno a cui era sorto il santuario?
Se facciamo il giro dell'edificio la vediamo ancora, rossastra e molto differente da quelle che normalmente si vedono dalle nostre parti. Non che sia l'unica, naturalmente, perché qui in tempi geologici sorgeva un immenso sistema vulcanico che ha lasciato tracce su un'area vastissima.
Ma forse in quel luogo quella roccia particolare si trovava accanto ad altri elementi che da tempi immemorabili costituivano lo scenario sacro delle antiche religioni pagane: un corso d'acqua, un guado per attraversarlo, l'incrocio di più strade.
Avevano il loro bel gridare dal pulpito i vescovi. Come Eligio di Noyon che nel VII secolo ammoniva i cristiani delle Fiandre: “Nessun cristiano dovrebbe mostrarsi devoto agli dei del trivio, dove tre strade si uniscono, né partecipare alle feste delle rocce, delle sorgenti, dei boschi o degli angoli.”
E come il Vescovo di Novara Cesare Speciano che nella Sinodo del 1590 rilanciava i medesimi ammonimenti.
L'unico modo per farla finita con queste tradizioni inestirpabili, visto che non si potevano affidare tutte le pecorelle smarrite alle cure dell'Inquisizione (se non altro, chi avrebbe pagato le decime dopo?), era quella di trasferire la devozione da luoghi troppo carichi di simbologie pagane a costruzioni di chiara impronta cristiana.
"Se proprio devono andare in quei luoghi a pregare perché piova o per avere figli o guarire dalle malattie, ebbene, almeno lo facciano davanti a un'immagine cristiana!" Questo a grandi linee il pensiero che mosse i Vescovi della Controriforma.
Da qui in quegli anni il moltiplicarsi di edicole sacre nei boschi, accanto alle sorgenti, nei punti di incontro di più strade.
A Boca su quella roccia rossastra sorse dunque una cappella, con l'immagine del Crocifisso il cui sangue era raccolto in una coppa da un angelo. L'immagine raffigurava due anime purganti, immerse in un mare di fiamme, che levavano lo sguardo supplice al Cristo in croce. Il rosso come colore dominante, dunque, e severo ammonimento per chiunque.
Così a Boca si continuò ad andare a posarsi sulla roccia per guarire dal mal di schiena e per chiedere la grazia di avere figli, ma all'interno di un contesto cristiano. La roccia, prudentemente, fu lasciata in parte all'esterno dell'edificio, così che i pellegrini potessero discretamente sedervisi sopra, senza dare troppo nell'occhio e senza scandalo per alcuno.
Nel tempo il Santuario si caricò di ulteriore sacralità, ma è proprio da lì che è partito il nostro viaggio e lì deve finire.
mercoledì 2 novembre 2016
Antonelli, un architetto muratore
Alessandro Antonelli, l'architetto che progettò, tra le altre cose, anche il santuario di Boca era un uomo che amava le sfide: progettare ai limiti delle possibilità tecniche della sua epoca, creando edifici "impossibili", di un'arditezza che sfiorava la follia, almeno agli occhi di coloro che non erano capaci di osare.
Così a Torino, dove costruì la celebre Mole che porta il suo nome, progettò e realizzò un edificio decisamente bizzarro, che è noto ai torinesi col nome di "Fetta di polenta". Come compenso per il suo lavoro gli era stata ceduta una striscia di terreno, attualmente all'angolo tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. Lunga e stretta, ma edificabile. I vicini però, probabilmente puntando a farsela svendere, non cedettero nemmeno un metro delle loro proprietà e così il piano di allargamento fallì. A quel punto l'architetto decise di costruire ugualmente una casa di quattro piani, avente i lati corti di 4 metri da una parte e 57 cm dall'altra, con un appartamento per piano con scala a chiocciola, a cui poi ne aggiunse altri due e, anni dopo, un settimo.
Casa Scaccabarozzi, dal nome della moglie di Antonelli, fu considerato un edificio folle e pericoloso, incapace di reggere ai venti che spirano dalle Alpi. Così lui ci andò a vivere per dimostrarne l'affidabilità. In seguito la casa dimostrò la sua solidità, resistendo indenne all'esplosione della polveriera di Borgo Dora nel 1852, al terremoto del 1887 e ai bombardamenti dell'ultima guerra. Eventi che lesionarono o distrussero invece molti edifici della zona.
A cosa si deve la solidità della "fetta di polenta"? Al fatto di essere una “casa fatta con l’aiuto del diavolo, al solo scopo di vincere una scommessa, non certo per ospitare il focolare di gente per bene” come disse qualcuno? O piuttosto al fatto di essere stata ben progettata e di avere ben due piani sotterranei che danno solidità a tutto l'edificio?
Di ricorso a simbologie esoteriche del resto si parla parecchio quando vengono analizzate le costruzioni dell'Antonelli. Non ho elementi per confermarlo né smentirlo, ma è stato ipotizzato che fosse iscritto alla Massoneria. La stessa cupola del San Gaudenzio a Novara sarebbe niente meno che una costruzione "in codice" per i numerosi elementi esoterici che vi ricorrono. Un vero simbolo massonico che si sovrappone alla chiesa cinquecentesca, di cui i profani non sarebbero consapevoli, ma perfettamente leggibile da parte degli iniziati...
La foto del San Gaudenzio a Novara è una cortesia di Elena Grossini.
mercoledì 26 ottobre 2016
Ciao Smilzo
Ho saputo poche ore fa che un amico se n'è andato, dopo una breve, ma inesorabile malattia.
Avevo conosciuto Roberto iniziando a collaborare con Siamo in Onda, un programma che per cinque stagioni animò le frequenze di Puntoradio.
Lo Smilzo, come si divertiva a farsi chiamare, aveva un ruolo chiave all'interno dello staff, occupandosi di molti aspetti tecnici, curando alcune rubriche e gestendo la parte fotografica che veniva poi riversata nel blog e sul Facebook.
Proprio per questo per molto tempo fui il suo incubo ricorrente e lui il mio. A quei tempi avevo deciso di mantenere segreta l'identità di Alfa dei Misteri. Così era sempre una caccia all'inverso, con lui che inquadrava la scena cercando di tagliarmi fuori e io che mi defilavo. Ogni tanto per sbaglio finivo nell'inquadratura e allora lo costringevo a rifare la foto. Perché in effetti lo Smilzo fu un complice fondamentale nel riuscire a mantenere il segreto.
Alla fine decisi che i tempi erano maturi per togliere la maschera. Inutile dire che a quel punto Roberto si scatenò e si mise a fotografarmi appena ne aveva la possibilità. E ogni volta mi lanciava uno dei suoi sorrisi d'intesa, come a dire "adesso non mi scappi più!".
Ora che se n'è andato a fotografare gli angeli, voglio ricordarlo con questa foto a cui sono particolarmente affezionato, che mi scattò in una sera particolare, riuscendo a cogliere la felicità che mi ardeva dentro in quel periodo.
Grazie Roberto, fai buon viaggio!
lunedì 17 ottobre 2016
Tra storia e leggenda
Quando si parla di santi antichi, si parla di vicende ai confini tra storia e leggenda. E se ne sentono sempre delle belle, perché i santi di quel periodo non sono mai noiosi: incontri con draghi, armi dotate di poteri mistici, principesse, coraggiosi cavalieri lanciati all'attacco contro orde di nemici disumani simili a orchi e via discorrendo...
lunedì 10 ottobre 2016
Tempesta sul santuario
Correva l'anno 1907 e un esercito era in marcia verso il Santuario di Boca. Non si trattava di invasori, ma di una simulazione. L'esercito italiano, diviso in due fazioni, si preparava a respingere una possibile invasione attraverso le Alpi.
Una parte delle truppe, in marcia sotto una pioggia battente, si dirigeva verso il santuario che avrebbe ospitato i militari per la notte. A quel tempo l'Antonelli era morto da un pezzo e i lavori erano stati portati avanti con delle modifiche. C'era ancora molto da fare e da costruire, ma quel 30 agosto tutti avevano abbandonato il cantiere per via di quello spaventoso temporale.
E mentre i soldati marciavano sempre più lentamente sotto la tempesta, i venti e la pioggia diventavano sempre più forti, togliendo la vista e rendendo impossibile camminare.
Il nubifragio si fece così forte da far vibrare le mura del Santuario. Battute dall'acqua, dal vento e infine dal fulmine rovinarono a terra in un breve istante.
Quando i soldati arrivarono, invece della chiesa che avrebbe dovuto essere il loro riparo per la notte e avrebbe potuto diventare la loro tomba, trovarono un cumulo di macerie nel santuario sventrato.
Ci fu chi gridò al miracolo, per la strage sfiorata. E pazientemente ricominciò l'opera dei costruttori...
mercoledì 3 agosto 2016
La casa dei venti
Se andate a Boca non in cerca di miracoli, ma di misteri il consiglio che posso darvi è di lasciare la macchina nel posteggio davanti al santuario e proseguire a piedi sulla strada asfaltata, che si insinua tra le colline coltivate a vite.
Detto per inciso, il vino che nasce a Boca è particolare per via dei terreni, molto diversi da quelli delle altre zone del novarese, che hanno la loro origine geologica in un gigantesco vulcano estinto. Le radici ne traggono sostanze nutritive particolari e gli estimatori del vino ringraziano per la qualità del medesimo.
Ma se non vi fate attrarre dall'osteria, dove gli anziani giovanotti del paese si accalorano giocando a carte, e iniziate a percorrere la strada che lascia il Santuario, dopo poco vi imbatterete in un edificio che vi farà strabuzzare gli occhi.
Una strana torre vi si parerà davanti, difficile sulle prime da decifrare. Un po' alla volta riuscirete a individuarne le stanze ottagonali sovrapposte che s'intersecano con le due torrette sempre a otto lati. Diverse porte finestre in stile neogotico sembrerebbero voler invitare l'aria ad entrare nella Casa dei Venti, se non fosse per quelle persiane, alcune delle quali chiuse da moltissimi anni.
Un mistero aleggia attorno a quella costruzione. Si dice che l'Antonelli, nei suoi soggiorni a Boca legati al cantiere del Santuario, vi si recasse. Ma soprattuto che vi abitasse una misteriosa signora, che usciva raramente accompagnata da un'anziana domestica, sempre vestita di nero e sempre velata.
Secondo alcuni la signora sarebbe stata una sorella minore dell'Antonelli, vedova di uno sfortunato ingegnere, che prima di morire le avrebbe trasmesso il morbo da cui era affetto: il licantropismo emofilo!
Un licantropo dunque? O un vampiro? Niente di particolarmente truculento in realtà perché in paese sembra non sia successo mai nulla di strano. Né ululati nella notte, né sparizioni, o efferati omicidi e nemmeno misteriose morti per anemia.
Solo qualche pettegolezzo attorno a quella misteriosa signora velata, presto soffocato dalla noia di una vita tranquilla e riservatissima.
Ma che malattia è, realmente, il "licantropismo emofilo"? Una malattia che porta alla repulsione per la luce che forse l'Antonelli sperava di guarire con la vicinanza al santuario?
O piuttosto una di quelle malattie immaginarie dietro cui si nascondono altre più concrete ma vergognose affezioni?
Probabilmente non lo sapremo mai. Del resto non è nemmeno chiaro se la Casa dei Venti sia stata costruita dall'Antonelli, come pare probabile, o da altri. Ma da chi in questo caso?
Del resto il nome dell'Antonelli è legato a costruzioni piene di significati esoterici, come sembra a prima vista la torretta di Boca.
Ma prima di tornare a parlare dell'architetto e delle sue misteriose costruzioni occorrerà finire la storia del Santuario.
Ne parleremo presto...
domenica 10 luglio 2016
Il Santuario, il Vescovo e l'Architetto
Il grande afflusso di pellegrini e, conseguentemente, di offerte indusse le autorià religiose a progettare un ampliamento del santuario di Boca. L'idea di costruire un porticato che unisse la chiesa allo scurolo fu lanciata nel 1819 dal Vescovo di Novara Giuseppe Morozzo. Per completare l'opera si dovette addirittura deviare il corso del torrente Strona per far spazio alle nuove costruzioni. Gli abitanti si prestarono entusiasti all'impresa, che prometteva di rendere il santuario ancora più splendido e visitato.
A proposito del Vescovo Morozzo, c'è da dire che resse la diocesi per circa 25 anni e fu un gran promotore di nuove edificazioni religiose. Tra queste, ad esempio, l'abbattimento del castello altomedievale sull'Isola di San Giulio per fare spazio al nuovo seminario. Ai nostri tempi un simile decisionismo si schianterebbe contro la tutela dei monumenti storici. All'epoca il desiderio del nuovo prevaleva su ogni altra considerazione.
Fu proprio questo clima a creare l'occasione giusta per un giovane e talentuoso architetto nativo di Ghemme, ma residente a Maggiora, che sarebbe passato alla storia per le sue arditissime costruzioni, che sfidavano i limiti delle tecniche costruttive dell'epoca.
Alessandro Antonelli che in seguito costruirà a Torino la Mole Antonelliana e a Novara la cupola del San Gaudenzio, non potendo intervenire sulla pianta del santuario di Boca propose di lavorare sulla verticalità, progettando un campanile alto 119 metri. Antonelli, oltre al talento del progettista, pare avesse anche un'altra abilità: quella di essere un grande affabulatore, capace di incantare i committenti e convincerli della bontà dei propri progetti.
Le opere presero quindi il via, ma le difficoltà si fecero presto sentire. Le condizioni metereologiche sfavorevoli, come il freddo e la penuria di acqua, che impedivano di portare avanti i lavori nel periodo invernale in cui ci sarebbe stata a disposizione molta manodopera libera dalle coltivazioni; la scarsità di materiali; e non ultima una crescente opposizione da parte degli abitanti. Che in particolar modo si opposero allo spostamento della sacra immagine della cappella.
"Lì è sempre stata, lì deve restare!"
Segno questo che oggetto della tenace devozione popolare non era solo l'immagine, ma anche la roccia su cui era fondata l'edicola.
A rendere il tutto più complicato c'erano forse anche alcune voci che aleggiavano attorno all'Antonelli e a uno strano e misterioso edificio che aveva voluto costruire poco distante dal santuario.
Ma di questo vi parlerò la prossima volta...
domenica 3 luglio 2016
Vado a Boca a piedi!
I miei passi inquieti mi hanno condotto in un luogo che per secoli è stato, ed è tuttora, meta di pellegrinaggi. Il santuario del Santissimo Crocifisso si trova nel comune di Boca, terra di vigneti che ancora oggi caratterizzano il paesaggio.
L'interno di questa grande chiesa è pieno di ex voto, che nel loro linguaggio semplice e immediato, testimonianza di un'arte assolutamente popolare, raccontano storie di grazie ricevute, guarigioni e salvataggi al limite del miracoloso e forse oltre.
Anche le origini del santuario affondano nella leggenda. In principio esisteva una semplice edicola, costruita attorno al 1600, con l'immagine del Crocifisso il cui sangue era raccolto in una coppa da un angelo. Due anime purganti, immerse in un mare di fiamme, levavano lo sguardo supplice al Cristo in croce. L'edicola si trovava a circa un chilometro da Boca, vicino al torrente Strona, in un luogo che all'epoca doveva essere assai selvaggio. Si dice che fosse stata edificata in ricordo della tragica morte di una coppia di sposi, ma i contorni di questo episodio restano sfumati.
La cappella, che probabilmente sorgeva in un luogo già meta di devozione popolare, cominciò ad attrarre sempre più pellegrini soprattutto dopo due episodi giudicati miracolosi: la guarigione di un ragazzo epilettico e, forse soprattutto, la misteriosa vicenda accaduta a un viandante.
Proprio nei pressi della cappelletta Giovanni Battista Curioni, mercante di stoffe, venne assalito dai briganti. A quel tempo i banditi di strada erano numerosi e, temendo la vendetta della legge che prevedeva la forca per chi si macchiava di questi delitti, sovente preferivano non lasciare scomodi testimoni in vita. Il Curioni vedeva già davanti a sé una feroce morte, quando avvenne qualcosa di inspiegabile. Campane invisibili cominciarono a suonare a stormo, come accadeva quando si dava la caccia ai briganti, e in risposta si alzò l'urlo di una folla altrettanto invisibile. I malviventi, terrorizzati, si diedero alla fuga lasciando libero il mercante.
Questo per lo meno è quanto raccontò lo stesso Curioni, perché evidentemente altri testimoni non erano presenti. E come ringraziamento per lo scampato pericolo decise di investire del suo per costruire un santuario.
Non era insolito, in quegli anni, che i mercanti donassero una parte del frutto del loro successo commerciale nella costruzione di edifici religiosi. Sul vicino lago d'Orta, ad esempio, il boletese Pietro Paolo Minola aveva deciso di costruire, come ex voto, un santuario dedicato alla Madonna sullo scoglio roccioso di Boleto che sovrasta il lago guardando all'isola. E subito folle di pellegrini si erano riversati sul luogo, donando offerte generose per contribuire all'opera di fede.
Il santuario cusiano era stato terminato nel 1748, anche se la consacrazione dovette attendere fino al 1771. Il 16 agosto 1768, invece, cominciarono i lavori per la costruzione del santuario di Boca, che durarono cinque anni.
Si trattava però solo del primo passo di una lunga storia...
(continua)
domenica 26 giugno 2016
Navigando per oceani blu
Chiamatemi Ismaele.
Qualche anno fa — non importa ch'io vi dica quanti — avendo poco o punto denaro in tasca
e niente che particolarmente m'interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per un po', e di vedere così la parte acquea del mondo. Faccio in questo modo, io, per cacciar la malinconia e regolare la circolazione.
Ogniqualvolta mi accorgo di mettere il muso; ogniqualvolta giunge sull'anima mia un umido e piovoso novembre; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie di pompe funebri o pronto a far da coda a ogni funerale che incontro; e specialmente ogniqualvolta l'umor nero mi invade a tal punto che soltanto un saldo principio morale può trattenermi dall'andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente — allora reputo sia giunto per me il momento di prendere al più presto il mare.
Questo è il sostituto che io trovo a pistola e pallottola. Con un ghirigoro filosofico Catone si getta sulla spada; io, quietamente, mi imbarco. Non c'è niente di straordinario in questo. Basterebbe che lo conoscessero appena un poco, e quasi tutti gli uomini, una volta o l'altra, ciascuno a suo modo, si accorgerebbero di nutrire per l'oceano su per giù gli stessi sentimenti miei.
e niente che particolarmente m'interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per un po', e di vedere così la parte acquea del mondo. Faccio in questo modo, io, per cacciar la malinconia e regolare la circolazione.
Ogniqualvolta mi accorgo di mettere il muso; ogniqualvolta giunge sull'anima mia un umido e piovoso novembre; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie di pompe funebri o pronto a far da coda a ogni funerale che incontro; e specialmente ogniqualvolta l'umor nero mi invade a tal punto che soltanto un saldo principio morale può trattenermi dall'andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente — allora reputo sia giunto per me il momento di prendere al più presto il mare.
Questo è il sostituto che io trovo a pistola e pallottola. Con un ghirigoro filosofico Catone si getta sulla spada; io, quietamente, mi imbarco. Non c'è niente di straordinario in questo. Basterebbe che lo conoscessero appena un poco, e quasi tutti gli uomini, una volta o l'altra, ciascuno a suo modo, si accorgerebbero di nutrire per l'oceano su per giù gli stessi sentimenti miei.
È il meraviglioso incipit di "Moby Dick" di Herman Melville. Nel mio piccolo, ogniqualvolta avverto nel mio animo la punta dell'iceberg dei sentimenti provati da Ismaele decido di mettermi in viaggio, sulle tracce del mistero.
Non ho idea di quale sarà la meta finale, ma ho ben chiara quale sarà la prima tappa.
Ve ne parlerò presto.
domenica 19 giugno 2016
I ragionamenti del professor Garibozzi attorno ai mammut e allo shopping
Ero seduto a uno dei tavolini del Bar in La Rosa, a Orta, uno dei posti in cui mi piace andare a bere un aperitivo o mangiare qualcosa nei momenti di pausa. Senza dovermi preoccupare del posteggio, oltretutto, perché ne hanno uno interno enorme. Mentre gustavo una cioccolata, che in questa estate piovosa ha sempre il suo perché, stavo sfruttando la rete wi-fi per navigare sul web.
- Buongiorno Alfonso, pioggia a parte naturalmente!
Alzai gli occhi e mi trovai di fronte il professor Garibozzi che sorrideva da sotto i baffetti. I suoi occhietti brillavano nel volto suino e compresi che aveva voglia di chiacchierare.
- Buongiorno. Vuole sedersi?
Indicai la sedia.
- Che legge di bello?
- Un articolo sull’evoluzione umana...
- Argomento interessante... e mi dica, parla dei mammut? Perché i mammut sono importantissimi...
- No, non parla di mammut. Ma perché sarebbero così importanti?
Devo dirvi a questo punto che in realtà non ho idea di quale laurea abbia, ammesso che sia dottore, il buon Garibozzi. Di certo non in paleontologia. Più probabilmente in tuttologia perché lo sento argomentare su qualsiasi argomento. Per questo lo chiamiamo “professore”.
In genere tendo a evitare gli indigeni (come i forestieri del resto) troppo saputi, ma Garibozzi ha un suo modo di raccontarti le cose per cui non riesci mai a capire se c’è o ci fa. Così mi accinsi all’ascolto, dando il giusto peso alle sue parole.
- I mammut sono fondamentali!
L’intero bar sembrò fermarsi in attesa della rivelazione insita in questa premessa.
- Vede, un tempo l’umanità viveva principalmente della raccolta dei frutti, delle radici, delle erbe. E chi deteneva questo sapere era la Grande Madre. Erano le donne insomma a conoscere cosa raccogliere e cosa no.
“Vieni ad aiutarmi” dicevano. E gli uomini dietro. E mentre la moglie frugava e cercava, l’uomo seguiva con aria annoiata, portando la cesta.
“Va bene questa?” chiedevano di tanto in tanto, giusto per sentirsi utili, prendendo una cosa a caso.
“Sei matto? Quella è velenosissima!”
“Allora questa?”
“Quella va bene solo se soffri di stitichezza...”
“Abbiamo finito?”
“No, devo ancora andare dove crescono le verdure fresche!”
E andavano avanti così per ore, lei rovistando la savana e lui sbuffando e gemendo.
Una sera però, mentre gli uomini stavano radunati in branco attorno al fuoco a bere idromele, uno di essi, probabilmente il più ubriaco, disse la frase che rivoluzionò la storia dell’umanità.
“Io domani non vado con mia moglie a cercare erbe!”
“A no? E dove vai? E soprattutto cosa le dici?”
Che a quei tempi mica uno poteva dire alla moglie semplicemente “non ti accompagno a raccattare erbe”. O meglio, poteva farlo, ma a proprio rischio e pericolo.
“Che ho cose più importanti da fare?”
“Tipo?”
“Ecco... io devo... io voglio... andare a caccia del mammut!”
Un brusio percorse il cerchio.
“Del mammut? Ma quello ti prende con la proboscide, ti lancia per aria e poi ti calpesta fino a trasformarti in una polpetta buona solo per gli sciacalli!”
“Non importa. Piuttosto che andare ancora a raccogliere bacche, preferisco il mammut!”
Il silenzio seguì a quelle parole. I neuroni sopravvissuti all’alcol analizzavano le alternative.
“Sai che ti dico?” disse un secondo. “Vengo con te. Pure io voglio cacciare il mammut!”
Gli altri si scambiarono sguardi increduli. Era la follia che dilagava o una nuova strada era stata tracciata?
“Vengo con voi!” disse un terzo.
“Pure io. Cacciare il mammut... è una cosa da veri uomini!”
A questo punto la resistenza degli altri crollò. Non poteva esistere una cosa da veri uomini da cui loro erano esclusi.
“Ma come si caccia un mammut?”
Era l’unico che non avesse ancora parlato. Un tipetto magrolino e dalla vista corta che era sopravvissuto fino a quel momento solo grazie alla moglie, che era capace di portare una catasta di legna in testa, un bambino nella fascia e contemporaneamente usare le mani per raccogliere ogni frutto commestibile esistente nel suo raggio visivo a 360°.
Era una domanda di buon senso, ma era dettata dalla paura. Una sfida che andava raccolta.
“Troveremo il modo!”
La risposta era di quelle che tracciano un solco per terra. O sei di qua, proiettato verso l’avventura, o te ne stai di là, seduto per terra con la testa piena delle tue paure. Ma poi non chiederci di bere ancora con noi l’idromele attorno al fuoco...
“Allora... vengo anch’io...”
“Bene, è deciso! Domattina invece di raccogliere erbe andiamo a caccia!”
Quella notte ci furono molte discussioni nei giacigli. Le donne non capivano per quale motivo gli uomini dovessero rischiare la vita in quel modo stupido.
“E poi cosa ce ne facciamo di un mammut?”
Gli uomini allora descrissero la montagna di carne che avrebbero avuto per sfamare i bambini, la pelle per creare begli abiti, le zanne per farne piccoli gioielli che avrebbero reso le donne ancora più belle di quel che erano. Insomma, fecero quel che alla fine riusciva loro meglio, intortando le proprie compagne con mille parole.
E siccome alla fine erano persino riusciti a tornare col mammut (quasi tutti perché il magrolino era rimasto infilzato da una zanna) e recavano pure delle belle ferite capaci di risvegliare lo spirito da curandera anche nella moglie meno convinta, da quel giorno gli uomini decisero che non sarebbero più andati a raccogliere erbe, ma sempre a caccia.
- Professore, mi sa che io e lei a caccia di mammut avremmo fatto una brutta fine!
- Vede che ho ragione?
Strizzò l’occhietto porcino e rise.
- Con l’estinzione del mammut e poi degli altri animali, gradualmente gli uomini dovettero abbandonare questa occupazione salutare e selettiva. Così oggi vengono strappati da morbidi divani solo per girare nei supermercati appoggiati ai carrelli. Oppure li vedi esausti nei negozi di abbigliamento, cercando di non farsi notare dalle loro donne impegnate in shopping forsennati. E la pancia cresce, caro Alfonso, lo si vede bene!
mercoledì 8 giugno 2016
Alfa il latitante
Dicono che latito....
Malelingue...
Chi mi conosce sa che quando dorm... volevo dire quando sono assente dal web... è perché sto raccogliendo materiale per nuovi misteri da indagare.
Torno a indagare...
ZZZZZ
mercoledì 25 maggio 2016
Il Mago Alfa
Mago Alfa |
Domenica scorsa, in occasione del Girolago Bimbi organizzato dall’Ecomuseo del lago d’Orta e Mottarone, nei boschi sopra Lagna, ha fatto la sua apparizione una strana figura, che si è presentata come Mago Alfa. Anzi, così l’hanno introdotto le sue aiutanti, Maga Robinia e Maghetta Matilda, che hanno pure avvertito i bambini che si trattava di un mago pasticcione.
Maghetta Matilda e Maga Robinia |
Il nostro, per non smentirsi, si era infatti addormentato in piedi, come i cavalli, e i piccoli ospiti hanno dovuto urlare il suo nome così forte che è un miracolo che non gli abbiano rotto i timpani.
Una volta sveglio ha iniziato a preparare la sua pozione magica. A dire il vero non proprio subito, perché si è accorto di aver perso nel bosco, dalla tasca bucata, tutti gli ingredienti e pure la sua tavoletta magica. Così i bambini hanno dovuto improvvisare una caccia al tesoro per recuperare
lacrime di unicorno
sangue di drago
polvere elfica
oltre naturalmente alla tavoletta magica.
Li hanno scovati quasi subito, dentro barattoli ben chiusi, su cui erano apposte delle etichette. Considerata l’età in larga misura pre scolastica degli ospiti (per la maggior parte erano tra i 4 e i 7 anni) queste riportavano l’immagine della creatura fantastica.
Risolto questo primo problema Mago Alfa ne ha dovuto affrontare un altro. Avendo dimenticato a casa gli occhiali non riusciva a leggere la tavoletta magica. Purtroppo nessuno dei bambini, compresi i pochi che a scuola avevano già imparato a leggere, era in grado di decifrare gli strani glifi e pure Maga Robinia ha dovuto gettare la spugna. Si trattava infatti di una tavoletta proveniente dall’Isola di Pasqua, mentre lei sa leggere solo quelle dell’Isola di Natale!
Comunque, tendendo molto le braccia, gli occhi del vecchio mago hanno saputo sciogliere l’enigma consentendo la preparazione della pozione. Gli ingredienti sono stati mescolati dentro una bottiglia decanter: prima le trasparenti lacrime di unicorno, poi il rosso sangue di drago, infine la bianca polvere elfica, che immediatamente ha riempito di bolle e schiuma la bottiglia, portando la pozione a risalire nel collo della bottiglia fin quasi a traboccare.
A quel punto è stata versata in un pentolone, mescolata e grazie a una pipetta è stata utilizzata in piccole gocce per bagnare i sassolini che i bimbi avevano raccolto mentre cercavano gli ingredienti magici. Infine le due scatolette coi sassi e la pozione sono state riposte in un’antica cassa magica.
Antiche e arcane formule sono state recitate e le scatolette finalmente ripescate, non senza una breve battaglia col draghetto che abita la cassa.
L’intenzione del Mago era quella di preparare un filtro che desse ai bambini la forza di proseguire il viaggio. Una pozione dal portentoso sapore tra il minestrone e le verdure cotte. Tuttavia il mago pasticcione deve aver sbagliato qualcosa, perché quando ha aperto le scatole, invece della pozione sono piovute... caramelle!
I bambini hanno comunque mostrato di gradire l’errore e si sono precipitati a prenderle, imitati da molti genitori, peraltro!
Parte spoiler
Se volete sapere cosa contenessero in realtà i barattoli andate avanti a leggere...
Le lacrime di unicorno erano... aceto bianco di alcol.
Il sangue di drago... colorante alimentare rosso mescolato a una goccia di detersivo dei piatti di colore rosso.
La polvere elfica... del bicarbonato in polvere.
Il rosso serve a dare colore alla pozione, mentre la reazione chimica è data dall’incontro tra il bicarbonato e l’aceto, che produce l’effervescenza. Il detersivo non è indispensabile, ma aumenta e rende più resistenti le bolle.
Si tratta di un semplice esperimento che potete fare anche a casa. Abbiate solo l’accortezza di farlo vicino al lavandino o a una bacinella per versare il troppo pieno. Mi raccomando, NON fatelo sul tappeto preferito della mamma!
Ovviamente l’età del pubblico ha reso più semplice la magia, perché nessuno ha chiesto di vedere cosa contenesse la cassa...
mercoledì 18 maggio 2016
Il diario del notaio spadaccino
Nel mezzo del secolo Sedicesimo, un notaio di Orta decise di tenere un diario delle proprie vicende personali e di quelle politiche e climatiche dei suoi tempi, inframmezzando questo zibaldone con pensieri e considerazioni, ricette per curare il mal di denti e altre curiosità.
Elia Olina era un personaggio dei suoi tempi, dagli interessi enciclopedici. Un uomo di legge e d'ordine, ma con una insopprimibile tendenza all'avventura. Così, ad esempio, decise di sposarsi senza dir nulla ai parenti e pochi mesi dopo finì in carcere, per motivi che non volle rivelare.
Un uomo di lettere, che ci ha tramandato la ricetta per preparare l'inchiostro, ma dalla mano pronta a impugnare la spada, come quando a Borgomanero si trovò coinvolto in un duello che lasciò per terra due cadaveri, riuscendo il Nostro a scamparla con una ferita.
Il diario, che rappresenta un documento storico notevole per il lago d'Orta, è stato ora pubblicato in versione integrale con trascrizione del testo latino e traduzione di Carlo Carena.
Presentato a Orta sabato scorso ha riservato interessanti sorprese, coma la presenza di draghi che si attorcigliano attorno alle lettere, a ricordarci quanto questa "conca d'oro, mi dicono, sia piena di veleno" per citare le parole dell'autore.
Segno forse che pure il nostro notaio conosceva bene la vera storia del drago dell'isola...
mercoledì 4 maggio 2016
Alfa e il Sancarlone
Otto anni fa nasceva il blog “Il lago dei misteri”. Da allora sono successe davvero tante cose, dentro e fuori dalla blogosfera. Alcune belle e altre meno, ma d’altro canto così è fatta questa cosa che si chiama vita.
Queste ricorrenze diventano in genere l’occasione per fare un bilancio dell’esperienza. Quest’anno, per una di quelle strane coincidenze che capitano al momento giusto, questo lavoro è stato fatto da un mensile locale, Il Sancarlone, che ha voluto intervistarmi. Trovate quindi tutte le risposte sul numero di maggio, in edicola.
mercoledì 27 aprile 2016
Immagini da una giornata da draghi
Il ricordo dell'evento creato da Giorgio Rava |
Sabato 23 scorso a Gozzano si è svolta, nell'ambito della Giornata del drago, l'evento "Una giornata da draghi", che ha visto queste creature protagoniste per un giorno.
Ecco la fotocronaca della manifestazione, che si è aperta con l'inaugurazione della mostra del pittore Giorgio Rava, coi saluti del Comune di Gozzano, dell'Unione dei Comuni del Cusio, dell'ecomuseo del lago d'Orta e della Provincia di Novara.
Poco dopo sono partiti i laboratori di costruzione draghi, condotti dalle associazioni Teatro dei Bisognosi e Fly Zone
Floriano Negri prepara i laboratori |
Non possiamo farvi vedere immagini di bambini, ma vi assicuriamo che le postazioni sono state prese d'assalto dai bimbi che trascinavano i genitori, venuti incautamente a fare la spesa al celeberrimo e antichissimo (è nato prima del Mille) mercato di Gozzano.
Nel frattempo c'era chi preparava l'apertivo del drago...
Bucunà Caffé |
chi la pizza e il kebab...
e chi i biscotti!
I biscotti del drago della pasticceria Mazzetti |
Ovviamente abbiamo provato tutto!
Nel pomeriggio, sotto un grande drago aquilone cinese, è partita la tavola rotonda dei draghi
A cui hanno preso parte
Domenico Brioschi, testimone di incontri dragosi
Francesca R. D’Amato, allevatrice di draghi (a distanza)
Andrea Del Duca, indagatore di misteri del lago
Pietro Gallo, ricercatore di antiche ossa
Isabella Landi, lettrice di storie dragose
Marta Leandra Mandelli, inventrice di storie fantastiche
Giorgio Rava, disegnatore di carte geodragike
I relatori sotto l'immagine dell'Uroboro |
Non poteva mancare nemmeno la mitica AoA!
Nel frattempo i ragazzi del CCR di Gozzano, Orta e Armeno avevano creato un drago sputafumo e si davano da fare per sostenere il progetto "I sentieri raccontano" dedicato al castello di Buccione
La faccia del drago è stata disegnata ra Giorgio Rava |
e i bambini si scatenavano a creare draghi in cartargilla!
Non solo i bambini a dire il vero perché ho visto ragazzoni tatuati e ragazze vestite di nero andarsene via con le mani sporche!
Alla sera è tornata la tranquillità, ma il drago di guardia all'ingresso del parco sembrava sorridere!
sabato 23 aprile 2016
La dimora dei draghi
Giulio è un bravissimo archeologo ma quando si tratta di draghi non sente ragioni: «Non ci credo, quello che mi stai dicendo è pura fantasia» affermò infervorandosi mentre camminava avanti e indietro come una belva rinchiusa in una gabbia.
«Credimi, ho trovato finalmente il portale d’ingresso della loro dimora ma io non posso più varcarlo, vorrei che lo facessi tu che sei così scettico». A parlare era la sua amica Giovanna, grande studiosa di draghi che da anni stava cercando il punto esatto dove si erano rifugiati.
«Ma ti pare che uno come me, che porta il nome di un santo che i draghi li ha scacciati dall’isola se ne vada in giro a cercare un contatto? Non se ne parla proprio».
«Ti propongo una cosa, vieni con me e quando saremo arrivati deciderai».
«Se mi proponi una passeggiata accetto volentieri ma nulla di più, sia chiaro» decretò Giulio senza ombra di ripensamenti. Il sentiero è di quelli come ce ne sono tanti, a seconda di come lo si imbocca è in salita o in discesa…
Fatto un centinaio di metri Giovanna si sentì in dovere di dare qualche spiegazione: «Sono rimaste solo le colonne che un tempo sorreggevano forse un cancello. In paese si racconta una leggenda alla quale nessuno crede più. Quando San Giulio scacciò i draghi dall’isola si disse che si rifugiarono sul Monte Camosino ma non fu proprio così, le cose andarono diversamente. A Orta c’era qualcuno che li voleva proteggere. Non sono il simbolo del male come la chiesa da sempre vuole farci credere, sono animali fantastici, basta saperli comprendere».
«È inutile che mi racconti tutte queste belle favolette, cammina più velocemente che prima smettiamo questa farsa prima posso tornare al mio lavoro».
«Sei insopportabile quando fai così, sei testardo come un mulo, senza offesa per il mulo naturalmente! Tra breve arriviamo e allora dovrai ricrederti»
Nonostante Giovanna non lo avesse avvertito Giulio capì immediatamente che le due colonne piantate lì, in mezzo al bosco alla sua destra, erano il famoso portale!
«Ecco lo vedi? Ti sei fermato senza che ti dicessi nulla, non è forse questa la prova che hai già capito che era proprio qui che ho scoperto il punto di contatto tra il nostro e il loro mondo?»
Preso alla sprovvista Giulio pensò fosse meglio stare zitto anche se in effetti si stava domandando perché quel luogo lo aveva attratto immediatamente.
«E adesso che siamo qui cosa dovremmo fare?» chiese il giovane archeologo assumendo un’aria sempre più sospettosa. «Io proprio niente, sei tu che dovrai oltrepassare le due colonne, passandoci proprio nel centro ma aspetta che prima è meglio che ti spieghi bene»
«Lo sapevo che non dovevo darti retta, tu e i tuoi draghi mi farete diventare matto un giorno o l’altro!»
«Smettila di brontolare e sediamoci un attimo su quel muretto. Io non posso oltrepassare la soglia della dimore dei draghi perché l’ho già fatto una settimana fa e, purtroppo, a noi umani viene concesso una sola volta. Quello che ho visto al di là delle colonne…
«Sì delle colonne d’Ercole!»
«Stammi ad ascoltare invece di interrompermi sempre e fare battute spiritose! Non appena metterai un piede al di là, come ti dicevo, entrerai in un mondo che non ti aspetti. Non intimorirti, lasciati guidare dal cuore, quelli che incontrerai sono i discendenti dei draghi che vivevano sull’isola. Ti verrà incontro il loro guardiano, scommetto che lo riconoscerai subito, è il custode della biblioteca dei sotterranei della basilica».
«Mi stai prendendo in giro Giovanna? Io vedo solo un bosco incolto e, a guardar bene, anche qualche cartaccia gettata dai soliti maleducati. Quello che stai raccontando è pura follia! E poi il signor Alfredo è un uomo anziano, sta bene in mezzo ai libri della biblioteca sul lago, non ce lo vedo proprio a fare il guardiano dei draghi!»
«Lo so che non mi credi ma me l’ha raccontato lui il segreto di questo bosco e mi ha anche permesso di svelarlo a te, ti conosce bene e sa che non lo dirai ad altri. A questo punto è inutile che io continui a parlare, tanto non mi ascolti, c’è solo una cosa da fare: alzati e vai» Giulio se la rideva di gusto, avrebbe preso in giro quella credulona per mesi o anche per anni.
«Entro così la facciamo finita con questa pagliacciata e preparati a pagare la pizza, questa sera tocca a te visto in che situazione mi hai trascinato».
Così dicendo arrivò proprio davanti alle due colonne, stava per fare un passo quando Giovanna gli gridò: «Goditi questi momenti, non potrai più tornarci anche se, dopo, lo vorrai con tutto te stesso» «Ma che succede? È incredibile! Fantastico……..»
Erano più di tre ore che Giovanna continuava a camminare nervosa lungo il sentiero, fortunatamente in quella stagione non era ancora molto frequentato dagli escursionisti altrimenti l’avrebbero presa per matta. Le prime ombre della sera stavano calando sul bosco mentre gli ultimi raggi del sole lottavano per rischiarare ancora il mondo. Fortunatamente l’aveva previsto e si era portata nello zainetto una torcia.
«Li ho visti! Si sono avvicinati, c’era anche il signor Alfredo ma capisci io ho visto i draghi, li ho perfino toccati. Lo sai che un uovo si è schiuso mentre io ero lì?»
«Prendi fiato Giulio altrimenti ti viene un infarto! Lo so quello che hai visto ma raccontamelo lentamente altrimenti non capisco. Spiegami bene del cucciolo, so che stava per nascere, come sta? Non è un evento comune perché hanno un bassissimo tasso di riproduzione»
«È stato emozionante, il piccolino ha cominciato a rompere l’uovo proprio mentre Alfredo mi stava accompagnando a vederlo, sembrava che aspettasse proprio me, l’archeologo scettico! Quello che ho visitato è un mondo parallelo e ad alcuni viene concesso di varcare l’ingresso almeno per poche ore. Loro sono tranquilli ma i cacciatori di draghi sono sempre in agguato, non dovremo rivelare a nessuno questo segreto perché sono a rischio di estinzione e non possiamo permettere che ciò avvenga. Sarà il nostro segreto per sempre. Dimenticavo, ho avuto anche l’onore di dare il nome al piccolo drago perché sono io che ho assistito alla sua nascita e indovina come l’ho chiamato? Cusius!»
«Sono contenta che anche tu abbia potuto vedere il loro mondo, ora però sbrighiamoci, mi devi una pizza!» concluse un po’ troppo frettolosamente Giovanna mentre, incamminandosi, tirava su col naso e si asciugava una lacrimuccia.
La dimora dei draghi è un racconto scritto dall'amica Paesesommerso per la giornata dei draghi. Grazie!
giovedì 14 aprile 2016
Una giornata da draghi... a Gozzano!
In occasione della Giornata del drago un evento dedicato a queste magiche e misteriosissime creature si svolgerà a Gozzano il 23 aprile.
Ecco il programma:
Comune di Gozzano
Associazione Fly Zone
Laboratorio di Arti Visive
Associazione Teatro dei Bisognosi
col patrocinio di Unione dei comuni del Cusio
organizzano
Una giornata da draghi
Gozzano, sabato 23 aprile 2016
Palazzo comunale
Programma:
Un mattino da draghi
Ore 10, inaugurazione della mostra dell’artista Giorgio Rava.
La mostra resterà aperta dal 26 al 29 aprile (16,00-18.00) e sabato 30 (10-00-12-00).
Draghi d’aria
Ore 10-12: laboratori artistici e costruzione di draghi
Un pomeriggio da draghi
I draghi, immagine e mito
15.00-17.00: tavola rotonda
Con la partecipazione di:
Domenico Brioschi
Francesca D’Amato
Andrea Del Duca
Pietro Gallo
Isabella Landi
Marta Leandra Mandelli
Giorgio Rava
Draghi di terra
15.00-17.00: costruire draghi con l’argilla, laboratori artistici
La battaglia dei draghi
17.00: Sfilata dei draghi e incontro artistico
Draghi di fuoco e d’acqua
17.30: Merenda
Le offerte raccolte saranno devolute al progetto “i sentieri raccontano” destinato alla valorizzazione della Torre di Buccione.
ecomuseo@lagodorta.net
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Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.
Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.