lunedì 24 dicembre 2018

La ragazza del sogno - Parte 6


Il paese che non esiste più

I paesi sorgono lentamente. Una casa isolata di contadini nella campagna, accanto a una piccolo sentiero, a cui progressivamente se ne aggiungono altre, mentre il viottolo diventa una via che va a collegare ad altri gruppi di case. Talora la crescita viene accelerata dal passaggio di viaggiatori e commercianti, che hanno bisogno di punti di sosta e ristoro, o dall'insediarsi di artigiani che trovano le giuste condizioni per produrre e vendere i propri oggetti. Talaltra il paese esplode, crescendo in maniera esponenziale per il continuo arrivo di nuove persone in cerca di condizioni migliori di vita e di lavoro. E da un piccolo centro nasce una città.

Capita però che il processo si interrompa. Può avvenire per drammatici eventi esterni. Guerre, epidemie, terremoti, epidemie, eruzioni vulcaniche possono distruggere le case e indurre le persone a trovare un luogo migliore e più sicuro dove ricostruirle. Ma ciò può accadere anche per lenta emorragia. Una famiglia se ne va, un negozio chiude, una casa abbandonata non trova persone che vogliano occuparla e poco alla volta, o rapidamente, il paese si svuota. Alla fine non restano che mura che crollano, finché la natura riprende il sopravvento. L'edera e i rovi riempiono gli spazi un tempo occupati dagli amori e dagli odi, dal lavoro e dal riposto. E cosa resta di tante vicende umane? Spesso null'altro che qualche sasso, buono per tirare su un muretto di confine di un campo. Rubato anche quello, secoli dopo nessuno potrebbe immaginare che in quel luogo un tempo sorgesse un paese.

In Cento anni di solitudine sono narrate le vicende del villaggio di Macondo, dalla sua fondazione ad opera di José Arcadio Buendía e sua moglie Ursula Iguarán, alla sua totale distruzione ai tempi della settima generazione dei Buendía, come predetto dalle antiche pergamene dello zingaro Melquíades.

Ma non occorre andare in America per trovare villaggi misteriosamente scomparsi. Mi basta risalire le vie di Bolzano Novarese. Il paese sorge su una serie di terrazze naturali che digradano sul versante occidentale delle colline che separano il Cusio dalla valle dell'Agogna. Un luogo ricco d'acqua e ben soleggiato, da cui si vedono la torre del castello di Buccione e il Monte Rosa.

Superata la casa torre medievale e le misteriose incisioni di volti umani sul lato della via, lasciata alla mia sinistra l'antica chiesa parrocchiale risalgo ancora per la stretta via, fino a raggiungere la sommità dell'altura, dove trovo fertili campi coltivati. Nessuna abitazione, nessun muro sorge in questo luogo, eppure io so che qui, mille anni fa sorgeva un piccolo paese. Cosa resta dei suoi cento e cento Natali festeggiati nelle case le cui porte si aprivano su piccole strade in terra battuta? Solo polvere e poveri resti che forse un giorno qualche archeologo scoprirà nel sottosuolo.

Lo so perché il suo nome compare in pergamene più antiche di quelle di Melquíades, che nulla però ci dicono del mistero della sua scomparsa. Fu la peste, un incendio, l'azione furente di nemici implacabili? O fu solo il lento migrare dei suoi abitanti verso il sottostante borgo di Bolzano?

Certo non fu poca cosa all'epoca. Una chiesa romanica sorge ancora, accanto al cimitero, a tramandarne il nome. Un edificio riccamente affrescato, dedicato a San Martino protettore, tra gli altri, dei viaggiatori e degli albergatori. Segno probabile che un tempo di qui passava una via ben più importante della strada che ora conduce a Invorio.

È quindi alla chiesa di San Martino di Ingravo, questo il nome del paese scomparso ma conservato in quello della chiesa, che mi recherò nella prossima tappa del mio viaggio, per tentare di dare risposta all'enigma.


Questa è la sesta parte de "La ragazza del sogno".

Settima parte


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Quarta parte
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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.