venerdì 31 dicembre 2010

Addio 2010

La fine del 2010 coincide con la fine di un decennio, a dir poco, travagliato. Dall’attentato di New York alle guerre in Afganistan e Iraq; dalla crisi economica alle catastrofi naturali non ci ha fatto mancare niente: terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche, inondazioni, cavallette, epidemie, clima impazzito, frane, valanghe, disastri ecologici, disastri ferroviari, incidenti sul lavoro, guerre (civili, di religione, di civiltà, preventive, difensive e di rappresaglia), bombe, terroristi suicidi, disordini di piazza, governi corrotti, complotti, esplosioni di bolle speculative, fallimenti e licenziamenti di massa, delocalizzazione, disoccupazione e una dilagante follia collettiva figurano in un elenco di orrori che gela il sangue a pensarci.

martedì 28 dicembre 2010

Un amico sul mare



Se dovessi dire qual è il suo Elemento direi ACQUA. Senza esitazione perché quello è davvero il suo ambiente, dal momento che sull’acqua ha deciso di vivere sul serio. E non parlo di quella, tutto sommato tranquilla, di un piccolo lago ai piedi delle montagne, come il lago d’Orta. No, la sua è ugualmente carica di storia, di storie e di leggende, ma è salata e vasta come l’oceano.
Nel mio viaggio verso Rapa Nui non potevo non fare scalo nelle piccole Antille, dove si trova, almeno per ora e probabilmente non per molto, perché la sua professione è “sea vagabond”, questo mio amico blogger.

domenica 26 dicembre 2010

Samarcanda

T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda,
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per ascoltar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua.
“Samarcanda” R. Vecchioni

No, il mio viaggio non mi ha portato a Samarcanda. Non in senso geografico, per lo meno. Perché se diamo ascolto ad un’antica leggenda orientale, ripresa da Roberto Vecchioni nella sua meravigliosa canzone, c’è una Samarcanda per ciascuno di noi. È un appuntamento a cui, nonostante i nostri sforzi, non riusciremo mai ad arrivare in ritardo. E quasi certamente nemmeno in anticipo.
La nera signora che il soldato ha visto nella capitale, e da cui fugge a perdifiato su un cavallo figlio del lampo, lo attende sulla porta di Samarcanda. Esattamente nel luogo e nel tempo prefissato.

Questa canzone mi è tornata in mente mentre viaggiavo sull’aereo, in ritardo per via del maltempo che imperversava sulla fredda Scozia, che mi portava verso i mari caldi. E mentre sorvolavo le acque gelate dello sconfinato Atlantico mi sono ricordato di una storia che è stata raccontata qualche tempo fa, al margine di un convegno svoltosi ad Omegna.

La notte del 24 dicembre 1871 il piroscafo America stava navigando verso Montevideo. Il capitano della nave, carica di passeggeri che si recavano nella capitale uruguaiana per trascorrere le feste natalizie, aveva ordinato di spingere al massimo i motori in un’allegra competizione con un’altra imbarcazione. Probabilmente aveva intenzione di fare bella figura coi passeggeri, 114 dei quali avevano acquistato un biglietto di prima classe (mentre una cinquantina aveva biglietti di seconda e terza classe). Improvvisamente le caldaie surriscaldate esplosero, provocando un devastante incendio che uccise un centinaio dei 164 passeggeri.
Tra i morti in quel naufragio ci fu anche un cittadino di Pogno, sul lago d’Orta, un certo Agostino Soldi che era in viaggio d’affari in sudamerica. Tra i 65 superstiti c’era invece Ramon Artagaveytia, nato nel 1840 a Montevideo. Riuscì gettarsi in acqua e nuotare finché non fu salvato. Da quell’episodio Ramon rimase in ogni caso traumatizzato.
Nel 1912 scrisse al nipote una lettera dall’Inghilterra in cui annunciava il suo ritorno in America, con una tappa negli Stati Uniti.
Per lo meno sarò capace di viaggiare e, soprattutto, mi sarà possibile dormire tranquillamente. L’affondamento dell’America fu terribile! Gli incubi continuano a tormentarmi. Persino nei viaggi più tranquilli, mi sveglio nel mezzo della notte con incubi spaventosi gridando le stesse fatali parole: Fuoco! Fuoco! Fuoco!
Ora invece era confortato dai progressi della tecnica, che rendevano la navigazione molto più tranquilla.
Non puoi immaginare, Enrique, la sicurezza che dà il telegrafo. Quando affondò l’America, proprio di fronte a Montevideo, nessuno rispose alle luci con cui si chiedeva aiuto… Ora, con il telegrafo a bordo ciò non può accadere di nuovo. Possiamo comunicare istantaneamente con il mondo intero.”
Così, fidando nella moderna tecnologia, Ramon Artagaveytia s’imbarcò sulla nave più moderna dei suoi tempi, il Titanic. Il suo cadavere venne recuperato in mare circa una settimana dopo l’affondamento della nave.

Se volete saperne di più sulla storia di Ramon Artagaveytia potete consultare questo sito.
L'immagine di apertura è di Gaia Zuccotti, per gentile concessione.

sabato 25 dicembre 2010

Buon Natale dall’ombelico del mondo

Sarete sorpresi, probabilmente, di trovarmi nell’isola più isolata del mondo. E naturalmente fa una certa impressione festeggiare il Natale nell’isola di Pasqua... 
Come potete immaginare il viaggio dalla Scozia fino all’Oceano Pacifico non è stato breve né semplice, dal momento che il teletrasporto non è stato ancora inventato.
Vi racconterò come è andata, ma non oggi. Ora è tempo di preparare un umu pae, il tipico forno polinesiano scavato nel terreno dove il cibo, avvolto in foglie di banano, cuoce lentamente e senza perdere umidità.
Oggi vi auguro soltanto un Buon Natale e che i giorni futuri vi portino gioia e serenità.

martedì 21 dicembre 2010

Storie di draghi, folletti e altre presenze

Qualcuno ha bussato.
Alla porta della mia camera, in questa locanda assediata dai venti del nord, in cui attendo un aereo che mi porti lontano dal gelido inverno scozzese, qualcuno ha bussato. Non era la cameriera per rifare il letto. Non era nessun altro, perché quando ho aperto la porta solo il vuoto ha riempito il mio sguardo.
Ma qualcuno c’era certamente, perché davanti alla mia porta ho trovato un libro. Solo, come fosse stato abbandonato apposta per essere ritrovato da me. Così lo prendo in mano e guardo la copertina (che trovate qui sopra). Una stranissima coincidenza, penso, dal momento che conosco molto bene l’autrice, che è un’antica frequentatrice di questo blog.

lunedì 20 dicembre 2010

Dannati danni ai confini del mondo


Se dovessi indicare l’Elemento che meglio la rappresenta direi TERRA. Come le dure rocce, battute dal vento gelido e dalle onde del mare settentrionale, della Scozia, suo luogo di adozione e lavoro. Come il suolo con cui sovente ha a che fare, sotto forma di incidenti e ruzzoloni della più diversa natura. 
Perché di una cosa potete stare certi: quando entra in scena  lei qualcosa di tragicomico sta per accadere.

domenica 19 dicembre 2010

Le isole del mistero



Se dovessi cercare un luogo che sembri letteralmente galleggiare nel mistero sceglierei, senza esitazione, le isole britanniche. La quantità di storie misteriose, leggende e miti che si collegano ad esse non è riassumibile  in un semplice post e probabilmente sarebbe difficilmente contenibile da un libro.
Sarà che per quanto grandi sono isole e le isole sono per loro natura misteriosa.
Saranno le origini celtiche, che hanno lasciato o ispirato un’infinità di storie, vecchie e nuove: da Artù e i cavalieri della tavola rotonda a Cú Chulainn e i suoi eroi irlandesi, da Ginevra e Lancillotto a Tristano e Isotta, da Merlino al leggendario bardo Ossian, da Excalibur a Parsifal, da Excalibur al Graal, da Avalon a Lyonesse giusto per citare le principali.
Saranno le invasioni dei germani, che si sono portati la loro lingua e la storia di Beowulf.
Saranno i Normanni, che hanno riempito quelle terre di castelli che il folklore ha infestato di fantasmi.
Saranno gli irriducibili Scozzesi con le marziali cornamuse e i mostri lacustri o i bellicosi Irlandesi con le bellissime fate e gli allegri violini.
O forse il merito – la colpa? – è dei suoi scrittori? Di Walpole e del Castello di Otranto? Di Mary Wollstonecraft Shelley e del suo Frankenstein? O del Dracula di Bram Stoker? Della Terra di Mezzo di Tolkien? O dell’investigatore Sherlock Holmes che in realtà pare sia un personaggio di fantasia inventato da un certo Sir Arthur Conan Doyle, cui è attribuito, tra i tanti, anche un racconto (Il mondo perduto) in una terra popolata dai dinosauri?
Mi rendo conto che le domande che pongo contribuiscono solo ad alimentare il mistero di questa terra dalle nebbie fitte, dal tempo imprevedibile e dalle brughiere selvagge. Stereotipi, certo, ma stereotipi che i suoi abitanti sembrano impegnati a difendere con tutte le forze, come quando ti capita d’incontrare, in un giorno d’estate, compagnie di ragazzi e ragazze, vestiti alla vittoriana che con le loro brave ceste si recano nei prati per il pic nic.
Un mondo troppo complesso, come ho detto, per poter essere riassunto in questa sede.
Se però amate i misteri di queste terre non potete non consultare il blog di un altro mio amico McGlen's Mysteries  dove troverete tante leggende del folklore, non solo insulare.
Ora però è necessario che il mio viaggio faccia una tappa a nord, prima di volgere verso occidente…





In apertura, Tristano e Isotta, di Edmund Blair Leighton, 1902

sabato 18 dicembre 2010

Il coraggio della libertà

La Manica (The Channel per gli Inglesi) è quel tratto di mare che collega l’Oceano Atlantico al Mare del Nord oppure, se preferite, che separa l’Inghilterra dal Continente (anni fa, prima della costruzione del tunnel sottomarino, quando la nebbia o la tempesta impedivano ai traghetti di navigare, gli Inglesi dicevano che “il Continente era isolato”).
L’attraversamento di quelle acque ha cambiato spesso il corso della storia. Giulio Cesare guidò i primi legionari Romani sul suolo britannico, facendo da esempio ad un suo discendente, quell’imperatore Claudio che conquistò l’isola circa un secolo dopo. Nel 1066 fu Guglielmo il Conquistatore a portare i suoi Normanni alla conquista dell’Inghilterra.
L’impresa fu progettata o tentata, da Filippo II di Spagna, da Napoleone e da Hitler, senza successo, perché attraversare quelle acque non è semplice, soprattutto se dall’altra parte ti attendono uomini e donne (pensate alla regina Elisabetta I) determinati e decisi vendere cara la pelle.
Ci riuscirono, ma viaggiando in senso opposto, gli Alleati, che il 6 giugno 1944, il giorno più lungo della Seconda Guerra Mondiale, misero piede sulle insanguinate spiagge della Normandia, segnando l’inizio della fine del potere nazista.

Prima di loro c’era riuscito, da solo e senza barca, un evaso. Giovanni Maria Salati era un soldato dell’esercito napoleonico, di origine italiana. L’uomo, nato a Malesco (VB), era stato fatto prigioniero dagli Inglesi a Waterloo e si trovava detenuto a Dover su un “pontone” una sorta di prigione galleggiante. Poiché la guerra era finita e il Salati desiderava riconquistare la propria libertà, decise di fare ciò che nessuno aveva mai tentato prima. Nella notte del 16 agosto 1817 si gettò in acqua e puntò decisamente verso la Francia. A nuoto raggiunse la spiaggia di Boulogne, guadagnandosi la libertà.

Oggi Giovanni Maria Salati, il primo uomo al mondo ad aver attraversato la Manica a nuoto, è considerato il “capo storico” dei nuotatori italiani che si cimentano in “imprese impossibili”. E la sua impresa viene periodicamente replicata dai moderni nuotatori.
Recentemente, dopo accurate ricerche, la sua storia è stata raccolta in un libro.

venerdì 17 dicembre 2010

L’oro di Siamo in Onda


L’oro è stato il primo metallo utilizzato dall’uomo, prima del rame, del bronzo e del ferro. Già nella preistoria gli uomini lo cercavano e lavoravano per ricavarne monili. Le sue caratteristiche rendono infatti particolarmente pregiato questo metallo, che non subisce la corrosione. Per questo fu considerato un metallo nobile, simbolo di purezza.

Per la sua virtuale indistruttibilità, una parte dell’oro (ma si calcola che il 75 % dell’oro sia stato estratto solo dopo il 1910) è in circolazione da tempi antichissimi. Perciò, l’anello che portate al dito o la collana che avete al collo contiene una parte dell’oro che ornò i corpi di principesse e sovrani, di predoni e meretrici.

giovedì 16 dicembre 2010

L’ultimo rifugio dei Templari




Nel 1307 il re di Francia Filippo il Bello, necessitando di denaro per saldare i creditori, pensò di reperirne in grande quantità andando a cercarlo dove poteva trovarne in abbondanza.

L’Ordine dei "Pauperes commilitones Christi templique Salomonis" (Poveri Compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone) era sorto come ordine di monaci guerrieri negli anni 1118-1120 per difendere i pellegrini europei che visitavano Gerusalemme, allora in mano cristiana. Riconosciuto nel 1129 era cresciuto in ricchezza e potenza, suscitando non poche gelosie e ostilità.

Il re di Francia istruì un processo vergognoso in cui l’ordine Templare fu accusato di ogni sorta di nefandezza. Molti cavalieri furono arrestati e condannati (l’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay,  dopo torture indicibili per indurlo alla confessione, fu arso sul rogo il 18 marzo 1314) e le sue ricchezze confiscate. Il Papa Clemente V (che era stato eletto per le ingerenze del re francese nel conclave e che aveva scelto di spostare la sede papale ad Avignone) non solo non seppe o non volle opporsi a questa infamia, ma soppresse l’ordine nel 1312.

Gli autori di questa congiura contro l’Ordine templare non sopravvissero di molto al Gran Maestro Jacques de Molay. Clemente V morì un mese dopo, il 20 aprile 1314. Filippo il Bello il 29 novembre 1314 durante una battuta di caccia. Di un ictus, si disse.

Nonostante la soppressione, non tutti i sovrani decisero di perseguitare i cavalieri Templari. In Scozia e in Spagna essi trovarono rifugi sicuri. Ma fu un paese, più di altri, a diventare l’ultimo vero rifugio del Templari.
Nel 1319 venne fondato in Portogallo l’Ordine del Cristo. Ad esso erano state trasferite le ricchezze dei Templari, che in Portogallo avevano a lungo combattuto a fianco della corona contro i Mori che occupavano una parte del paese. Non solo, le file dell’Ordine del Cristo si andarono rapidamente ingrossando dei Templari superstiti, che portarono con loro le ricchezze e le conoscenze dell’Ordine. In breve tempo l’ordine, ormai dipendente direttamente dal Re del Portogallo e non più dal Papa, raggiunse grande potenza e prestigio.
   
Un secolo dopo la soppressione dei Templari, il Gran Maestro dell’Ordine del Cristo, il Principe Enrico, avviava la conquista dell’Atlantico trasformando un paese di montanari in un regno di navigatori. Per farlo creò quello che oggi definiremmo un “centro di ricerca” a Sagres, accanto al Capo San Vincenzo, nell'Algarve, all'estremità sudoccidentale del Portogallo. 

In breve la città diventò un polo di eccellenza nel campo della ricerca della navigazione e della cartografia. Vennero costruiti un osservatorio astronomico e una scuola per insegnare la nuova scienza della navigazione e a Lagos, poco distante dalla città venne realizzato un arsenale per le navi.
Per trasformare le aule vuote in una vera scuola fu adottata quella che potremmo chiamare la vera “filosofia templare”: l’idea che la conoscenza fosse un’arma più efficace della spada. Così furono chiamati maestri esperti per insegnare  nella scuola di Sagres. Come l’ebreo Jehuda Cresques, chiamato a raccogliere tutte le conoscenze geografiche degli antichi e dei moderni e ad insegnare ai portoghesi come realizzare carte affidabili.

Furono gli investimenti nella ricerca a consentire di sviluppare un nuovo tipo di nave, più adatta alla navigazione oceanica delle tradizionali imbarcazioni mediterranee. Nel 1441 fu varata la prima caravella. Tre anni dopo una flotta di cinquanta caravelle scendeva lungo la costa africana per aprire una nuova rotta verso sud.

Il principale obiettivo del principe Enrico, che passò alla storia come “il Navigatore”, era raggiungere le ricchezze dell’Africa sub sahariana, tagliando fuori le rotte carovaniere controllate dagli Arabi. Otto anni prima della sua morte, Enrico il Navigatore fu in grado di coniare le prime monete con l’oro africano. Ma il grande sogno era quello di poter raggiungere l’India, circumnavigando l’Africa.
Del resto c’erano già riusciti i Fenici, molti secoli prima. Secondo Erodoto, infatti: «Il re d'Egitto Neco (...) inviò dei Fenici su delle navi con l'incarico di attraversare le Colonne d'Eracle sulla via del ritorno, fino a giungere nel mare settentrionale e così in Egitto. I Fenici, pertanto, partiti dal Mare Eritreo, navigavano nel mare meridionale; (...) cosicché al terzo anno dopo due trascorsi in viaggio doppiarono le Colonne d'Eracle e giunsero in Egitto.» (Erodoto, Storie - Libro quarto).

Ventotto anni dopo la morte di Enrico il Navigatore, Bartolomeu Dias (che ricevette il titolo di Cavaliere dell’Ordine del Cristo per i suoi meriti marinareschi) doppiò il capo di Buona Speranza, l’estremità meridionale del continente africano. E il 20 maggio 1498 Vasco da Gama coronò quel sogno, sbarcando a Calicut, in India.


Le foto ritraggono il Convento del Cristo a Tomar. Costruita nel 1160 dai Templari, questa imprendibile fortezza (nel 1190 l’esercito del re del Marocco nel tentativo di conquistarlo ne uscì quasi distrutto) dal 1357 fu la sede dell’Ordine del Cristo. 

Da notare: 
  1. la chiesa ottagonale dove, secondo la leggenda, i Templari assistevano alla messa in armi e sui loro cavalli.
  2. la decorazione architettonica, nello stile "manuelino".
  3. la sfera armillare, simbolo delle conquiste marittime.

mercoledì 15 dicembre 2010

Oltre le colonne d’Ercole


"Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 

"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
 

Dante Alighieri, Inferno, Canto XXVI, vv. 106-120

 
Anche il mio viaggio, come quello d’Ulisse, è giunto alle sue Colonne d’Ercole. Sto per lasciare le acque del Mediterraneo ed affrontare l’Oceano Atlantico. Vi chiederete forse che senso possa avere questo mio errare per il mondo senza uno scopo apparente.

Come i cavalieri erranti che lasciavano la dimora e si mettevano in cerca di avventure, come i pellegrini che imboccavano la strada diretti ad una meta forse solo immaginata eppure così concreta nella loro mente, vi confesso di non sapere esattamente dove mi porterà questo viaggio.

Sono certo però che esso, alla fine, mi consentirà di ritrovare me stesso e, forse, di riunire ciò che è stato diviso molto tempo fa. Per farlo dovrò raccogliere indizi sparsi  come enigmatiche reliquie di un antico drago. Solo risolvendo gli enigmi che incontrerò potrò svelare il mistero di un’esistenza che va oltre il lago dei misteri.

Non so dirvi nemmeno quanto tempo durerà questo andare, perché alla fine, quando si parte, ciò che conta non è la quantità di tempo che si è impiegata per raggiungere la meta, ma la qualità delle esperienze che abbiamo fatto mentre eravamo in cammino.

martedì 14 dicembre 2010

Favolosi amici siciliani

Prima di voltarle le spalle e lasciare che la costa della Sicilia scivoli oltre l’orizzonte voglio salutare con la mano, proprio come si fa quando ci si imbarcava per un lungo viaggio attraverso i sette mari, due favolosi amici che vivono da quelle parti.

Del primo sappiamo molto poco, oltre al fatto che si autodefinisce Favoloso  (anche se per un certo periodo si è fatto chiamare anche Tarkan, forse in omaggio ad un famoso cantante turco). Come ho detto sappiamo poco di questo misterioso individuo, salvo ciò che leggiamo sul suo profilo: “Venticinquenne ormai da svariati anni, il nostro eroe è un abile professionista che lavora per una famosa compagnia aerea. Adora leggere classici della letteratura inglese in dialetto dello Yorkshire alla tenue fiamma di una candela consumata. Ama disegnare e scrivere, odia terribilmente far di conto e spesso si aiuta con le dita (sbagliando pure)! Tutto ciò che lo riguarda è avvolto da un manto di irrefrenabile surrealismo.”

Altro personaggio decisamente surreale (nel suo caso il temine va inteso come “sopra il reale”) è quello della Nonna Lola  e un aspetto che definisce "giovanile" (visibile nella foto). Ha un’età indefinita ed indefinibile, anche se qualcuno ritiene che avesse già qualche annetto sulle spalle ai tempi in cui Eva colse la prima mela. Questa arzilla signora dai capelli bianchi, grazie alla sua infinita saggezza, documentata da anni e anni di maturata esperienza nel settore amoroso, è a disposizione dei lettori dispensando consigli quanto meno originali. Meno esperta, ma certamente più giovane è sua nipote Pitufa, che di tanto in tanto compare nel blog come protagonista di strane avventure.
Un’altra sua specialità indiscussa è la cucina. Dopo aver mangiato i suoi piatti alla besciamella (credo sia capace di cucinare “alla besciamella” qualsiasi cosa, dai rettili alle borsette) difficilmente potrete dimenticarvi di lei.

Da qualche tempo i loro blog non vengono aggiornati, ma il ricordo dei loro post ironici e divertenti rimarrà a lungo nel cuore mio e di Malikà che spesso ci auguriamo di poterli rileggere.

lunedì 13 dicembre 2010

L’isola del dio del fuoco e dei filosofi

Quella che sorge alla mia sinistra è la più grande isola del Mediterraneo e ha la forma di un triangolo. Per la sua posizione tra Europa ed Africa è stata da sempre terra d’incontro e di scontro tra popoli e culture: Micenei ed indigeni, Greci e Fenici, Romani e Cartaginese, Bizantini ed Arabi, Normanni e Svevi, Francesi e Spagnoli, Napoletani e Piemontesi. Da questo crogiuolo di razze, culture, è nata la Sicilia.
Nel fuoco dell’Etna, il vulcano che la sovrasta, aveva posto, secondo gli antichi, la sua officina il dio greco Efesto (o, il nome non è casuale, Vulcano, per i Romani). E i Ciclopi lo aiutavano a forgiare le micidiali saette con cui il dio Zeus abbatteva i nemici.
In una Terra forgiata dal Fuoco in mezzo all’Acqua ed è percorsa dal Vento non poteva mancare la fioritura dello Spirito. Ad Agrigento nacque Empedocle (492-430 a.C.circa), il filosofo che individuava quattro elementi  (Terra, Fuoco, Acqua ed Aria) costitutivi del cosmo. La tradizione lo dipinge non solo come filosofo, ma anche come mago, attribuendogli persino dei miracoli. D’altro canto Empedocle sembra sia stato discepolo di Telauge, un filosofo che alcune fonti ritengono figlio dello stesso Pitagora, una delle figure più misteriose e leggendarie del mondo antico.
La cerchia di iniziati che circondava Pitagora, e che aveva il suo centro nella città di Crotone, costituiva infatti una sorta di società segreta che ebbe influenza diretta anche sulla vita politica delle città greche dell’Italia meridionale e della Sicilia. Non solo. Alla scuola pitagorica, che era in contatto e rapporti con molte sette religiose dell’Egitto, della Mesopotamia e forse addirittura con i sapienti indiani e coi druidi della Gallia, aderirono anche personaggi non  greci contribuendo a diffondere le idee pitagoriche anche al di fuori dell’ambito ellenico.
Si dice inoltre che Platone (a cui abbiamo accennato ieri parlando di Atlantide), recatosi nell'Italia meridionale, abbia comperato a peso d'oro un manoscritto di Pitagora. E l’influenza del pensiero platonico sulla cultura occidentale è ben noto.
Per riconoscersi la cerchia più interna degli iniziati, vincolata al segreto sui contenuti della dottrina, utilizzava un simbolo particolare, il pentalfa (le “cinque alfa”) o pentagramma, una figura che si sviluppa secondo le regole della sezione aurea   basate sul numero φ (1,6180339887...), quel “numero della perfezione” che misteriosamente sembra avere un ruolo centrale non solo nell’arte, ma in molti aspetti della natura, dal macrocosmo al microcosmo.

domenica 12 dicembre 2010

L’Atlantide in Sardegna?

«Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d'Ercole, c'era un'isola. E quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. (...) In tempi posteriori (...), essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte (...) tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve.»
Platone


Un’ipotesi del giornalista Sergio Frau individuerebbe il sito della mitica Atlantide nella Sardegna, la cui civiltà sarebbe stata distrutta da uno tsunami devastante. A questa tesi, molto discussa e discutibile, è stato dato ampio risalto da parte dei mass media, grazie anche al potente amplificatore di alcune trasmissioni televisive.
Occorre però dire che per far combaciare il mito raccontato, e forse inventato, da Platone (che ne parlò nei dialoghi Timeo e Crizia) con questa teoria, si dovrebbe adattare in più punti l’interpretazione del testo, cominciando, per fare alcuni esempi, dalla collocazione delle Colonne d’Ercole, che Frau situa nel canale di Sicilia e non a Gibilterra (ma su questo punto potrebbe avere qualche ragione), alla datazione dell’evento. 
Per Platone l’impero di Atlantide sarebbe stato distrutto circa novemila anni prima del tempo in cui visse l’ateniese Solone (vissuto tra il 638 e il 558 a.C., a cui Platone ttribuisce il merito di aver portato ad Atene la notizia dell’esistenza di Atlantide, appresa durante un viaggio in Egitto), quando l'impero atlantideo  sarebbe stato al suo massimo splendore e in procinto di muovere guerra alla Grecia. 
La civiltà nuragica, che Frau ipotizza essere stata distrutta da un evento catastrofico, si è invece sviluppata tra il 1700 a.C. e l’epoca romana. Secondo gli archeologi che si occupano della Sardegna preistorica, dagli studi effettuati non si trova riscontro di un simile cataclisma, perché “gli strati di fango” rinvenuti in alcuni nuraghes della costa, risultano essere in realtà il normale accumulo di terra riscontrabile in tutti i siti archeologici in un lungo arco di tempo.

L’identificazione di Atlantide con la Sardegna sembra insomma avere fragili basi d’argilla e dopo il clamore iniziale, l'ipotesi sta forse già scivolando verso l'oblio. 
Del resto Platone era un autentico maestro nell’inventare di sana pianta dei miti che potevano supportare le sue tesi filosofiche. E da straordinario narratore qual era i suoi racconti hanno saputo superare le barriere del tempo, arrivando a stimolare l’immaginazione di molti moderni. 
Così, in questo lungo viaggio che è appena iniziato, incontreremo nuovamente l’irraggiungibile e misteriosa Atlantide…  

sabato 11 dicembre 2010

Misteri della Sardegna

È una terra antica e piena di misteri l’isola che costeggio nel mio viaggio verso sud. Con le spiagge meravigliose e l’interno selvaggio, i misteriosi monumenti che la punteggiano e tradizioni antichissime ancora vive, la Sardegna è un vero scrigno di tesori.

Pensate ai nuraghes, straordinarie costruzioni in pietra a secco della Sardegna preistorica; alle “domus de janas”  (le “case delle fate”), antiche tombe megalitiche cariche di leggende; ai pozzi sacri ; o alle straordinarie figure del folklore, come i mammutones e gli issoadores .

Vi renderete conto che per descrivere tutto questo non basta un post del mio blog. Perciò, se desiderate approfondire questi temi vi consiglio il blog della mia amica Claudia Zedda, Kalaris Web Blog, dove potrete trovare moltissime informazioni su questa straordinaria terra.

La mia nave va di fretta oggi, ma domani avrò il tempo di rivolgere ancora uno sguardo a questa straordinaria terra su cui, prima o poi, spero di poter mettere piede.

venerdì 10 dicembre 2010

Siamo in Onda e i suoi sosia



Si crede che ciascuno di noi abbia almeno un sosia, una persona assolutamente identica o quanto meno molto simile. Se poi siete tra quelli che vengono considerati “famosi” certamente ci saranno persone che faranno di tutto per assomigliarvi, dal trucco al parrucco. Perché essere i sosia di qualcuno può persino diventare un mestiere.
Pare ad esempio che l'ex dittatore iracheno Saddam Hussein, per timore di attentati in occasione delle sue apparizioni pubbliche e per sviare i servizi segreti dei paesi nemici, utilizzasse non uno, ma addirittura quattro diversi sosia…

Al tema “sosia” è dedicata la nona puntata di Siamo in Onda, il salotto radiofonico del sabato sera di Puntoradio. Su questo tema si cimenteranno due scrittrici coi loro racconti: Perry e Sara.
E non mancherà la buona musica, come sempre, per una trasmissione che… non ha uguali!

C’è anche una domanda posta agli ascoltatori:  Incontrate un vostro sosia perfetto che si rende disponibile a fare qualunque cosa al vostro posto: cosa gli chiedereste di fare?

Ditelo  inviando un sms oppure scrivetelo su questo blog o via mail. Le risposte più belle saranno lette in trasmissione.
Potrete trovare le foto della serata su Facebook oppure sul blog www.siamoinonda.it

Per ascoltare Siamo in Onda:   
- FM 96.3 da Novara, Vercelli, Verbania, Biella, Alessandria, Torino, Varese, Milano, Pavia
- FM 93.5 - 96.00 da Borgosesia e Valsesia
- INTERNET in streaming su www.puntoradio.net

Per intervenire in DIRETTA:
- via email: diretta@puntoradio.net - redazione@siamoinonda.it
- via SMS:.389 96 96 960    

 Buon Ascolto...

(Sarà possibile seguire la trasmissione in replica il martedì successivo sempre alle 21,00)

La cultura non ci mangia



Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia.”  Giulio Tremonti

La nave va, perdendo di vista la costa. Tuttavia, mentre dirige verso sud mi sembra di vedere lo stivale italiano accompagnarmi nel mio viaggio. Laggiù, da qualche parte ad oriente, si stende la Toscana, la culla della lingua che parlo. Lì vive Antonio, un altro dei miei amici blogger, che prima o poi riuscirò spero ad incontrare. Nel frattempo vi consiglio comunque di visitare il suo blog  http://zenzeroguru.blogspot.com in cui scrive brevi ma intensi racconti.
La nave va e nel mentre riempio il mio tempo di pensieri. Che cosa sarà mai quest’Italia che mi ha dato i natali e che mi accingo (non ancora, non subito, ma presto) a lasciare? Cosa la distingue dagli altri paesi?
Una cosa mi viene in mente subito: il cibo. Tendenzialmente non sono nazionalista, ma di una cosa sono sicuro. Puoi girare quanto vuoi, ma non mangerai mai bene come in Italia. Non nego che negli altri paesi ci siano singoli piatti molto buoni. Ma la varietà e la qualità della cucina italiana non hanno, oggettivamente, pari.
Lasciamo perdere l’Inghilterra, dove il mio stomaco chiedeva clemenza ogni giorno. Nella capitale della grande Francia, tanto per fare un esempio, può capitare di imbattersi (a dire il vero fu Malikà ad avere la malaugurata idea di ordinarla) in una salsiccia pestilenziale che la stessa cameriera riconosce essere immangiabile. Inconvenienti che da noi ti capitano solo se li vai a cercare apposta. Ciò che rende unica la cucina italiana è la cultura (del gusto, degli abbinamenti, degli ingredienti) che l’accompagna.
Già, cultura. Perché a dispetto di quello che credono alcuni, cultura non vuol dire solo scuola, libri, cinema, teatri o musei. Quelli sono una parte, molto importante peraltro, di ciò che potremmo chiamare cultura individuale. Un individuo forma la propria mente in base a quanto apprende attraverso una serie di incontri, di persone e di strumenti, come ad esempio libri, cinema, teatri o musei.
La cultura però, se la consideriamo da un punto di vista antropologico, è qualcosa di più complesso e vasto. Essa è “l’insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini delle diverse popolazioni o società del mondo”. È in sostanza una cultura collettiva, che costituisce l’identità culturale di una comunità, più o meno estesa.
Queste due accezioni del termine “cultura” nella realtà non sono antitetiche, in quanto la cultura collettiva è il risultato di una somma, niente affatto algebrica, di culture individuali. Così, se i singoli individui imparano che imbrogliare, corrompere, rubare, uccidere è sbagliato (anche dalla scuola, dai libri, dal cinema, dai teatri o dai musei) questi comportamenti saranno considerati devianti dalla società e combattuti dai singoli individui.
Senza cultura sono invece gli istinti primordiali a prendere il sopravvento. Rubare, imbrogliare, corrompere, violentare, uccidere e finanche cibarsi di carne umana diventano allora opzioni possibili per appagare i bisogni.
Sosteniamola, perché senza cultura richiamo di finire noi dentro il panino...

giovedì 9 dicembre 2010

Amicizia felina



Se dovessi individuare l’Elemento che meglio la rappresenta sceglierei ARIA.
Perché è in essa che si muove, leggera e notturna sui tetti, con lo sguardo rivolto in alto. Cammina con passo felino e con la coda ti solletica il naso, costringendoti a levare lo sguardo alle stelle.
Alle stelle del cinema, quelle vere, quelle che hanno partecipato a quei film indimenticabili che sa descrivere con una naturalezza che riesce sempre a sorprenderti. I suoi post richiamano alla tua attenzione film che hai già visto o pellicole che ti sono sfuggite. In entrambi i casi riescono a fornirti un nuovo punto di vista, un motivo per guardare o rivedere quel film.
Ma Felinità, così la mia amica firma i post sul suo blog  http://felinita.blogspot.com, non limita i suoi interessi al cinema.
Con leggero tocco felino, usando la coda come un pennello, dipinge ritratti stupendi di famosi artisti offrendo anche in questo caso spunti interessanti per rileggere la loro opera. 
Naturalmente la misteriosa Felinità non esaurisce i propri interessi in questi argomenti, ma lascio a voi il piacere di scoprire il suo blog, se ancora non lo conoscete. Per me ormai è tempo, dopo un forte miagolio di saluto, di lasciare la città.

Prima però non posso non ricordare che a Genova si aggira  un altro  personaggio singolare. Bacci Pagano (cito Wikipedia) “è un investigatore privato genovese, ironico e disilluso, amante della musica di Mozart, del buon vino e della buona tavola oltre che delle donne (fra le quali Mara, la sua compagna psicologa, che lo definisce analfabeta dei sentimenti, giudizio che Bacci ripete sovente a se stesso). Viaggia su una Vespa amaranto e non porta le mutande”. Secondo Bruno Morchio, lo scrittore che lo ha creato, Bacci Pagano starebbe sempre dalla parte dei perdenti perché “figlio di un operaio genoano e comunista”. 

Infine, se volete scoprire questa Genova popolare e misteriosa, vi consiglio il ricchissimo sito http://www.creuzadema.net che già dal titolo richiama una famosissima canzone del cantore di Genova, Fabrizio De André.

mercoledì 8 dicembre 2010

I misteri di Genova


Genova ti accoglie, come dice una famosa canzone, coi suoi svincoli micidiali. Così, dopo aver percorso la soprelevata, è con un certo sollievo e non senza una certa difficoltà, che posteggio dalle parti della Fiera la macchina presa a prestito e mi inoltro per i vicoli, che da queste parti chiamano caruggi o carruggi (non ho ben capito quale sia il termine giusto, ma sono certo che qualcuno dei miei dotti lettori saprà risolvere il dubbio).
Solo allora comincio ad apprezzare questa città di mare, con le montagne che t’incalzano alle spalle quasi a volerti spingere verso il porto. È così che devono essersi sentiti i genovesi, fin dal tempo in cui Cartaginese, Greci, Etruschi e Romani facevano la fila per poter venire a commerciare nel più grande emporio delle genti dell’antica Liguria.
Duri montanari e ottimi mercenari, ma soprattutto marinai e pirati in un’epoca in cui la distinzione era molto sottile e stava più nella bandiera che sventolava sulla nave all’orizzonte che nella mano ugualmente pronta a scambiare denaro o sciabolate.
Da alcune ricerche che feci tempo addietro, da Genova verrebbero addirittura due mie antenate, una Mariola Spinola vissuta nel Quattrocento e una Argentina Grimaldi, vissuta un paio di secoli prima. Così almeno dice un albero genealogico che ho fortunosamente raccordato a quello di un mio antenato appartenente ad un casato dell’Appennino ligure. Sia vero o meno, devo aver preso dal ramo montano della famiglia, perché il desiderio di imbarcarmi non l’ho mai sentito, anche se presto dovrò farlo.
In ogni caso persino io non posso non restare affascinato dal mare che sbatte sulle rocce lì di fronte a me. E comprendo la fierezza dei Genovesi che a lungo difesero la loro autonoma repubblica, finché le diplomazie restauratrici post napoleoniche pensarono che era meglio non ridare la libertà ad uno Stato in cui si trovava quel Banco di San Giorgio (la prima vera banca moderna) con  cui gran parte dei sovrani d’Europa era indebitata fino al collo...

Girando per i carruggi, dalle parti di Vico dei Librai dicono possa capitare di imbattersi in una vecchina che domanda la direzione per andare a casa. E che quando gliela si indica lei se ne vada scomparendo attraverso un muro, perché in realtà la sua casa fu rasa al suolo da un bombardamento durante la guerra e lei morì quel giorno. Secondo altri, un giovane che le domandò qualche spicciolo si trovò tra le mani una banconota fuori corso da decenni.

Ma non è per cercare la Vecchina di vico dei Librai, che sono sceso a Genova. È un’altra la persona che cerco, ma per trovarla il mio sguardo dovrà spingersi verso l’alto…


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Parte 3
Parte 4

martedì 7 dicembre 2010

Io, i misteri delle ferrovie ed una sfera di cristallo

Scendo sul binario settimo della stazione di una città di pianura, gelida d’inverno ed arroventata d’estate. All’orizzonte, puntato come un dito al cielo, vedo la cupola ardita costruita da un architetto della mia terra.

Passando davanti all’ufficio informazioni mi torna in mente un fatto curioso accaduto alcuni anni fa. Mi trovavo nella necessità di prendere un treno diretto ad occidente. Purtroppo, non appena messo piede in stazione l’altoparlante annunciò che il mio treno era in ritardo.
Guardando l’orario mi sorsero alcuni dubbi.
Era meglio attendere il mio treno, in ritardo di 50 minuti, e arrivare dopo un’ora o prendere  l’Intercity (puntuale) che sarebbe arrivato tra 40 minuti giungendo a destinazione in 40 minuti? Inoltre, per poter salire su questo secondo treno avrei dovuto acquistare un supplemento rapido, ma l’Intercity avrebbe realmente superato il mio treno ritardatario? O avrebbe accumulato a sua volta un ritardo pari o proporzionale a quello del treno che lo precedeva? 

Così, come un improvvisato Furio Zoccano, portai alla biglietteria le mie domande. Dopo aver fatto la mia brava coda, il bigliettaio, senza scomporsi di una virgola, mi disse di rivolgermi all’ufficio informazioni. Poiché grazie alle ferrovie avevo almeno quaranta minuti da impiegare in qualche modo, decisi di usufruire di questo servizio.
La signora che sedeva nell’ufficio informazioni mi accolse con un gentile sorriso, mostrandosi davvero lieta di poter aiutare un viaggiatore in difficoltà giunto a interrompere il tranquillo tran tran della sua vita lavorativa. Così incoraggiato, formulai per la seconda volta la mia domandina.
La signora mi ascoltò attentamente, quindi alzò gli occhi al cielo e allargando le braccia esclamò: «E come facciamo a saperlo noi? Non abbiamo mica la sfera di cristallo!»
A quel punto, poiché mi rimaneva una mezzora abbondante e il sorriso della signora mi aveva messo di buon umore, decisi di andare a fondo di quel mistero. Come poteva un ufficio informazioni non conoscere quelle informazioni?
In soccorso della signora giunse un collega che sorridendo mi fornì una spiegazione molto semplice. Tutti i movimenti, mi disse, erano stabiliti dalla Centrale Operativa, che non informava gli uffici informazione delle variazioni decise in tempo reale.

Mi trattenni dal chiedere quale genere di informazioni dispensasse normalmente l’Ufficio Informazioni e me ne andai ridacchiando, contento quanto meno di aver ingannato il tempo dell’attesa. Vi confesso di non ricordare quale treno presi, alla fine.

Oggi però, forse per caso e forse no, ho deciso di proseguire il mio viaggio verso sud con un altro mezzo… 

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Parte 4

lunedì 6 dicembre 2010

Riflessioni di un blogger su un treno del secolo passato

Mentre il treno mi porta lontano dal lago dei misteri osservo dal finestrino le dolci colline del lago d’Orta (il tratto Omegna - Gozzano della linea Novara - Domodossola offre panorami meravigliosi ed è un vero peccato che le ferrovie italiane stiano facendo di tutto per trasformarlo in una tratta per soli treni merci) e il pensiero va al trascorrere del tempo.
Quando nacque mio nonno, il mezzo più veloce per spostarsi era il treno a vapore. Quando morì, l’uomo era già andato in orbita e si accingeva a mettere piede sulla Luna. Detto per inciso tutto ciò non entusiasmò mio nonno, che non prese mai la patente. Anzi, una volta che si mise alla guida di un sidecar andò largo in una curva, direttamente in strike contro i tavolini di un bar. Naturalmente non prese mai l’aereo, sostenendo che se la natura l’avesse voluto far volare l’avrebbe munito di un paio di ali. Ciononostante si muoveva parecchio e da giovane fu persino commesso viaggiatore.
Quando nacqui io l’uomo stava per mettere piede sulla Luna e molto oltre non è andato. Anzi oggi alcuni dubitano persino (a torto , come potete leggere qui) che l’abbia fatto. E se confronto gli orari dei treni di oggi con quelli di un secolo fa, su molte linee mi accorgo che il progresso è minimo.
Con questo non voglio negare che ci siano stati dei progressi, ma solo sottolineare come essi siano stati rivoluzionari in altri campi.
Il primo computer che entrò in casa nostra, il VIC-20 della Commodore (qualcuno lo ricorderà, credo, perché fu il primo ad essere venduto in più di un milione di esemplari) aveva una memoria ROM di circa 20 kB contenente sistema operativo e interprete BASIC e una memoria RAM di 5 kB, di cui 3,5 kB disponibili per la programmazione in BASIC. Costava circa 200.000 lire. Ora ho in tasca una chiavetta USB da 16 GB (non delle più avanzate, dunque) che costa meno di 30 euro. Fate voi i conti di quanti VIC-20 equivalenti mi sto portando dietro…
Un altro esempio. Circa quindici anni fa, dovendo redigere il bollettino autogestito di un’associazione dovevamo impaginarlo in word, stamparlo, fotocopiarlo e distribuirlo per posta o manualmente in una cinquantina di copie. Adesso posso tenere un blog, come effettivamente faccio, che mi consente di pubblicare in tempo reale gli argomenti di cui desidero parlare, e dialogare con altre persone a distanza di decine, centinaia e persino migliaia di chilometri di distanza. Persone che certamente non avrei mai incontrato con il vecchio sistema.
Connettendo il mio blog a Facebook posso ulteriormente condividere le informazioni, facendole apparire sulla bacheca dei miei contatti virtuali, che possono interagire con me in tempo reale.
Detto altrimenti, il semplice atto di leggere queste righe, che lo facciate dal blog o tramite Facebook, ancora pochi anni fa non sarebbe stato possibile. Le implicazioni di ciò sono evidentemente enormi, se ci pensate.
Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni, coi servizi segreti di mezzo mondo impegnati a dare la caccia ad un uomo e a tentare di bloccare i siti che ripropongono i documenti da lui pubblicati, è qualcosa che sarebbe stato impensabile quindici anni fa.
Oggi gli studenti iraniani, e quelli italiani seppure in condizioni diverse, sono in grado di comunicare a tutto il mondo le ragioni della loro protesta tramite la rete. Venti anni fa gli studenti della Pantera dovevano occupare gli uffici delle università per mettere le mani sui fax e tenersi in contatto con le altre facoltà occupate. Oggi è possibile salire sul tetto di un monumento e tenersi in contatto tramite i cellulari connessi alla rete.
Un grande potere, ovviamente, comporta sempre anche una grande responsabilità e l’uso di internet non fa eccezione, ma il treno corre veloce e sono già quasi arrivato alla prossima fermata, perciò vi risparmio la tirata moraleggiante sui rischi della rete. Tanto sono certo che l’avete già sentita…


domenica 5 dicembre 2010

Di nuovo in viaggio



“Non mi assomiglia per niente!” Johnny Stecchino

È cominciato con una stasi improvvisa. Le acque del lago dei misteri, che per molto tempo non avevano mai cessato di sciabordare sulla riva della Seconda Isola, si sono fatte improvvisamente calme, immobili, al punto che solo il volo degli insetti creava piccole turbolenze sul pelo dell’acqua.
Sono rimasto a lungo ad osservare questo fenomeno, cercando di capire cosa potesse significare prima di rendermi conto che il lago stava cercando di dirmi qualcosa.

Come già, più volte, mi è successo in passato devo partire. Come già ho avuto modo di scrivere una fase di questo blog è giunta alla fine  Prima che possa iniziare la nuova è necessario compiere un viaggio, oltre le barriere del tempo e dello spazio, che mi porti in terre lontane ad incontrare vecchi e nuovi amici.
Così, indossati nuovi abiti da viaggio, ho lasciato le rive del lago dei misteri per errare sui tortuosi sentieri del web. Non so esattamente dove mi porterà il andare, ma sono certo che quando tornerò le cose, per me e per i lettori, non saranno più quelle di prima, anche se questo sarà forse solo un passo verso altri cambiamenti…



Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4

venerdì 3 dicembre 2010

La follia di Siamo in Onda

Tra gli Arcani Maggiori dei Tarocchi c’è una carta che non ha un numero o per meglio dire corrisponde al numero 0. È il “Matto” che  rappresenta il caos, dal quale tutto inizia e a cui il tutto ritorna per poi poter ricominciare. Il Matto è il giullare, l’unico che può insolentire l’Imperatore e i suoi cortigiani, dicendo la verità ridendo e irridendo. Il Matto, figura doppia, è il Genio, ma è anche la Follia, che non a caso spesso vanno a braccetto.

Alla follia è dedicata l’ottava puntata di Siamo in Onda, il salotto radiofonico del sabato sera di Puntoradio che vedrà la partecipazione di una band che diffonderà nei nostri studi e nell'etere il ritmo e il sound della bossanova: gli Obrigado!

Il tema della puntata è, come dicevo, la Follia. E la domanda posta agli ascoltatori è:  
se doveste vincere un'importate somma alla lotteria, quale sarebbe la vostra prima follia? 
E ancora... quali follie avete fatto, nella vita?

Dite le vostre follie inviando un sms oppure scrivetelo su questo blog o via mail. Le risposte più belle saranno lette in trasmissione.
Potrete trovare le foto della serata su Facebook oppure sul blog www.siamoinonda.it

Per ascoltare Siamo in Onda:
- FM 96.3 da Novara, Vercelli, Verbania, Biella, Alessandria, Torino, Varese, Milano, Pavia
- FM 93.5 - 96.00 da Borgosesia e Valsesia
- INTERNET in streaming su www.puntoradio.net

Per intervenire in DIRETTA:
- via email: diretta@puntoradio.net - redazione@siamoinonda.it
- via SMS:.389 96 96 960

 Buon Ascolto...

(Sarà possibile seguire la trasmissione in replica il martedì successivo sempre alle 21,00)

giovedì 2 dicembre 2010

L’albatro


Il poeta assomiglia al principe dei nembi” dice Baudelaire.

E come l’albatro, il grande uccello dei mari del sud, è inafferrabile mentre spiega le sue ali nel cielo, ma diventa goffo e impacciato quando si ritrova a terra o, peggio, sul ponte di una nave in balia di marinai che ne deridono le inutili ali spropositate e le zampe minuscole.
Da questa metafora della poesia ispirata all’albatro prende le mosse il terzo numero di Arabica Fenice, dal titolo “Albatros”. Il tema viene variamente declinato, ripreso e sovvertito dai Menestrelli di Jorvik.

Come sempre, trovare l’Arabica Fenice non è mai semplice. Si sussurra che domenica 5 dicembre ci possa essere una presentazione presso la biblioteca di Borgo Ticino, ma la cosa è come sempre avvolta nel mistero più fitto. La cosa migliore per mettere le mani sulle poche copie stampate di Arabica è contattare uno dei Menestrelli  e tentare di corromperlo. Per farsi consegnare una copia di frodo o per farsi rivelare l’ora esatta della presentazione.

Se però con la corruzione ve la cavate male, o semplicemente siete troppo pigri per tentarla, vi posso agevolare rivelandovi il contenuto di una mail segreta sfuggita a Wikileaks ma non a Il lago dei Misteri.

Ecco il testo in cui si allude al misterioso incontro di presentazione del terzo numero di Arabica Fenice.:

«Per prepararci a trascorrere le vacanze invernali in compagnia di belle letture;
Per prepararci a celebrare la ricorrenza del 150° dell’Unità d’Italia nell’anno che verrà;
Vi invitiamo a due pomeriggi impedibili:

Domenica 5 dicembre, ore 15.30

Incontro con i poeti novaresi Nadia Butini e Aldo Ferraris e con la redazione della giovane rivista L’ARABICA FENICE

Aldo Ferraris è nato a Novara dove risiede. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia. Collabora a riviste letterarie nazionali e partecipa a letture ed incontri pubblici.
Nadia Butini, nata a Parigi vive a Novara. E’ insegnante, giornalista e critica letteraria.
Arabica Fenice non è una rivista come le altre. É figlia del giovane gruppo I menestrelli di Jorvik e si trova, nei bar, nei caffè, nei pub...

Sabato 11 dicembre, ore 17.30

Presentazione del nuovo Calendario comunale “Borgo Ticino nella storia 1861 - 2011”

Biblioteca Comunale di Borgo Ticino, Via Cagnago 2, Tel 0321 90582
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mercoledì 1 dicembre 2010

La Curva dei persici


Le vie del web sono misteriose. Così mi è giunta la segnalazione di questo libro che propongo alla vostra attenzione.


A metà dicembre sarà nelle librerie “La Curva dei persici” , il nuovo libro di Marco Travaglini.
Trentuno capitoli, tanti quanti i giorni della maggior parte dei mesi, per raccontare le storie di un gruppo di amici e di un luogo molto speciale, sul lago d’Orta: la “Curva dei persici”, appunto. Un luogo immaginario, sospeso nel tempo, dove la vita scorre  tra grandi e piccoli avvenimenti. Il lago di cui si racconta, quel Cusio che si distende da Gozzano a Omegna, battuto dal vento fresco delle Alpi, si offre come uno sfondo attivo, capace d’interagire con i personaggi, riflettendone gli stati d’animo.
Questi amici e le loro avventure, frutto gli uni e le altre della fantasia di Travaglini,  assistono al cambiamento di colore delle acque o al transito dei battelli, al nascere e al morire di una stagione, alle piogge invernali e  al comparire della neve sui monti, alle giornate di vento che non mancano mai.
Amano, soffrono, si sostengono gli uni con gli altri. Rivivono, nelle storie, le osterie fumose e il set del film “La banca di Monate” che venne girato a Omegna, l’immaginario di vecchie trasmissioni televisive in bianco e nero come il Musichiere e Lascia o raddoppia?, pescatori di anguille e arcigni guardapesca, operai in pensione e vecchi professori che amano citare Gianni Rodari.
Sono una piccola folla, i personaggi che vivono tra le pagine de La Curva dei persici; una folla discreta, che sa divertirsi e  far festa senza per questo  essere chiassosa.

Il titolo del libro mi è stato suggerito dal quadro che compare in copertina che, per l'appunto, s'intitola "La curva dei Persici" ed è stato dipinto da un medico omegnese che si diletta - con successo - con i pennelli: il dott. Mauro Rossi”, confida Travaglini.

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.