Una lunga gelida estate
9 – Frankenstein
Deliri notturni
Quella sera ascoltai una conversazione tra mio marito e John in cui si parlava della possibilità di infondere la vita ad un corpo inanimato mediante l’elettricità.
L’argomento di questa conversazione, unito all’impressione della scena seguita alla lettura di Christabel agitarono il mio riposo notturno. Non riuscivo a prendere sonno, girandomi in continuazione nel letto, finché la stanchezza non mi sopraffece. Allora una visione spaventosa mi si presentò in sogno.
“Vidi, a occhi chiusi, ma con un’acuta potenza evocativa della mente, vidi il pallido studioso di arti profane inginocchiato davanti alla cosa da lui creata. Vidi il fantasma orribile di un uomo disteso e poi, per opera di una potente macchina, vidi che mostrava segni di vita, scosso da un moto inquieto, semivitale. Inorridito lo studioso fuggiva lontano dalla sua odiosa opera, sperando che, abbandonandola a se stessa, si spegnesse la flebile scintilla di vita da lui comunicata. Poi lo studioso si addormenta, ma qualcosa lo risveglia: apre gli occhi e scorge l’orrenda cosa, in piedi, a fianco del letto, nell’atto di aprire le cortine e di guardalo con acquosi occhi gialli, animati tuttavia dall’intelletto.”*
Mi svegliai di colpo, col cuore colmo di angoscia, cercando di allontanare da me quella visione di una mostruosità disumana. Poi, mentre l’emozione si depositava, come la polvere che un turbine di vento ha levato in aria, compresi che avevo trovato la mia storia o meglio, che la mia storia aveva trovato me.
“L’ho trovata!” gridai. “Trasformerò in una storia la terribile visione di questa notte. Infonderò nel lettore lo stesso terrore che ho provato in quel frangente, Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo. Il giorno seguente cominciai a scrivere.
“Fu in una cupa notte di novembre che vidi la fine del mio lavoro. Con un’ansia che arrivava fino allo spasimo raccolsi intorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla animatrice nella cosa immota che mi giaceva davanti. Era già l’una del mattino, la pioggia batteva sinistramente sui vetri e la candela era quasi tutta consumata quando, al bagliore della luce che andava estinguendosi, vidi gli occhi giallo opachi della creatura aprirsi, respirò ansando e un moto convulso gli agitò le membra”.*
9 – Frankenstein
Deliri notturni
Quella sera ascoltai una conversazione tra mio marito e John in cui si parlava della possibilità di infondere la vita ad un corpo inanimato mediante l’elettricità.
L’argomento di questa conversazione, unito all’impressione della scena seguita alla lettura di Christabel agitarono il mio riposo notturno. Non riuscivo a prendere sonno, girandomi in continuazione nel letto, finché la stanchezza non mi sopraffece. Allora una visione spaventosa mi si presentò in sogno.
“Vidi, a occhi chiusi, ma con un’acuta potenza evocativa della mente, vidi il pallido studioso di arti profane inginocchiato davanti alla cosa da lui creata. Vidi il fantasma orribile di un uomo disteso e poi, per opera di una potente macchina, vidi che mostrava segni di vita, scosso da un moto inquieto, semivitale. Inorridito lo studioso fuggiva lontano dalla sua odiosa opera, sperando che, abbandonandola a se stessa, si spegnesse la flebile scintilla di vita da lui comunicata. Poi lo studioso si addormenta, ma qualcosa lo risveglia: apre gli occhi e scorge l’orrenda cosa, in piedi, a fianco del letto, nell’atto di aprire le cortine e di guardalo con acquosi occhi gialli, animati tuttavia dall’intelletto.”*
Mi svegliai di colpo, col cuore colmo di angoscia, cercando di allontanare da me quella visione di una mostruosità disumana. Poi, mentre l’emozione si depositava, come la polvere che un turbine di vento ha levato in aria, compresi che avevo trovato la mia storia o meglio, che la mia storia aveva trovato me.
“L’ho trovata!” gridai. “Trasformerò in una storia la terribile visione di questa notte. Infonderò nel lettore lo stesso terrore che ho provato in quel frangente, Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo. Il giorno seguente cominciai a scrivere.
“Fu in una cupa notte di novembre che vidi la fine del mio lavoro. Con un’ansia che arrivava fino allo spasimo raccolsi intorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla animatrice nella cosa immota che mi giaceva davanti. Era già l’una del mattino, la pioggia batteva sinistramente sui vetri e la candela era quasi tutta consumata quando, al bagliore della luce che andava estinguendosi, vidi gli occhi giallo opachi della creatura aprirsi, respirò ansando e un moto convulso gli agitò le membra”.*
*Mary Wollstonecraft Shelley, Frankenstein ovvero il Prometeo moderno, 1818.
Domani: 9 - Frankenstein. Il Prometeo moderno