Le parole del capitano avevano infuso in quella mandria di anziani che eravamo diventati una frenesia che in un'altra situazione sarebbe stata sconveniente. Niente avrebbe potuto trattenerci dal momento in cui ci aveva mostrato la rotta, esortandoci ad andare oltre i limiti del noto e del lecito, oltre quelli fisici e dell’età. Volavamo sull’acqua come quando eravamo giovani e incoscienti o, forse, eravamo ritornati giovani e incoscienti. Nessuno più si lamentava dell’artrite, della digestione, del mal di schiena, della prostata. Sudavamo ai remi e ci arrampicavamo sul sartiame per manovrare le vele come un branco di adolescenti affamati di vita.
Infine la montagna emerse dal mare davanti ai nostri occhi. Scintillava alla luce dell’alba proiettando sull’acqua i riflessi dell’arcobaleno e riempiendoci il cuore di una gioia impossibile da contenere. Per un lungo istante ci fermammo estasiati per poi correre ad abbracciarci e a rendere grazie a colui che aveva reso possibile la più grande delle imprese.
«È bellissima, o Laerziade!» esclamai con le lacrime agli occhi. «Grazie infinitamente, Ulisse!»
Furono le ultime parole che pronunciai prima che il mare si aprisse per inghiottirci.
Il racconto è stato scritto per il n. 29 di A6 Fanzine, che aveva come tema il viaggio.
E chi meglio di Ulisse poteva dirci qualcosa su questo argomento? O meglio, in questo caso a parlare è uno dei suoi vecchi e tardi compagni, senza le cui braccia la nave non si sarebbe mossa.
Naturalmente il riferimento esplicito è Dante, che nel ventiseiesimo canto dell’Inferno (vv. 85-142) ascolta dalla morta voce dell’eroe il racconto del suo ultimo viaggio. La potenza e la grandiosità di quei versi celeberrimi è qualcosa di unico ed essi sono diventati la migliore descrizione dell'ansia di conoscenza che muove le azioni umane.
Se poi pensiamo che Dante li scrisse rimettendo in scena un personaggio come Ulisse, uscito dalla mente di quel poeta altrettanto straordinario e misteriosissimo (chi era realmente?) che fu Omero, ci troviamo veramente di fronte ai vertici della letteratura.
Questo racconto è un modestissimo inchino di fronte a cotanto genio.