Sull’Isola di San Giulio si trova un enigmatico oggetto metallico dalla forma di drago. Cosa ci fa un drago all’interno di uno dei luoghi più sacri e antichi della Chiesa novarese? Di cosa si tratta? Quali oscuri misteri nasconde?
Poiché a noi piacciono i misteri, ma soprattutto capire qual è la storia vera che si cela dietro essi, siamo andati a sentire il parere di un’autentica esperta, Fiorella Mattioli, che ne ha parlato alcuni anni fa un convegno dal titolo “Da San Giulio a San Giorgio. Draghi e Basilischi dalle Alpi alla Cina”
“Il ricordo di Satana che poi alla fine la Chiesa deve ridurre all’impotenza – perché l’Apocalisse stessa ci dice che alla fine dei tempi la donna vestita di sole lo schiaccerà definitivamente (ecco tra l’altro il ruolo della Madonna come grande sauroctona, insieme alle sante Marta, Cristina di Bolsena, Margherita d’Antiochia, ma quante altre donne scacciatrici di draghi!) – prende forma in un attrezzo liturgico usato durante le rogazioni, cioè l’antichissimo rito, che vede le sue origini nel V secolo nella diocesi di Vienne in Francia, atto a invocare Dio, la Vergine e i Santi con formule propiziatorie e richieste di liberazione da ogni tipo di male, affinché proteggano il territorio e le campagne e qui con scopi soprattutto propiziatori per la fertilità, ma anche di liberazione.
Chiamato anche “uccellaccio”, il drago delle rogazioni, che si può trovare anche all’isola di San Giulio, aveva una specifica funzione all’interno dell’apparato liturgico, che comunque sempre è un grande apparato scenico.
Il drago veniva utilizzato appunto nelle rogazioni, cerimonie propiziatorie della natura che venivano fatte proprio in primavera, nel periodo tra san Giorgio e san Marco, in cui si richiedeva l’intervento di tutte le potenze perché ci fossero buoni raccolti, piogge opportune e si impetrava affinché “a peste, bello, malo, libera nos Domino” (“dalla peste, dalla guerra e dal male liberaci o Signore”, ndr).
Questi riti svolti in forma processionale duravano tre giorni ed erano sempre accompagnati dal drago processionale, che veniva collocato in tre punti diversi della processione e in tre situazioni diverse.
Il primo giorno se ne andava baldanzoso, a capo della processione, con la famosa coda dritta e la bocca piena di fiori (a Parigi addirittura venivano buttati dolci e fiori nella bocca di questo drago che era in vimini, mentre i nostri sono di metallo).
Il secondo giorno era collocato a metà della processione, ed aveva un aspetto meno fiero, procedendo con la coda allineata al corpo, adorno di pochi fiori L’ultimo giorno, quello del trionfo di Cristo sulle forze del male, il drago chiudeva il corteo, con la coda a penzoloni, l’aspetto mogio e la bocca aperta priva di fiori.”
Se volete leggere tutto l’articolo e gli altri interventi di quel convegno potete trovarli qui.
La foto è di Daniele Maria Valle che l’ha voluta condividere con noi su Facebook