Seguendo
un menù di prodotti locali possiamo divertirci a scoprire gli aneddoti
che stanno dietro ogni saporito boccone. Partiamo da un ottimo antipasto
di salumi.
I maiali sono
allevati da tempi antichissimi e già i Celti allevavano i suini
nutrendoli con le ghiande dei querceti dell’Italia settentrionale. Il
cinghiale era anche un animale sacro per i guerrieri Celti che ne
ammiravano il coraggio e lo raffiguravano sulle armi.
Tra
i tanti modi per conservare i salami ce n’è uno tipico delle province
di Novara e Vercelli: il salame della duja. I salami sono prodotti con
carni suine di prima scelta e messi a stagionare in un contenitore di
ceramica riempito di strutto fuso. Solidificandosi lo strutto assicura
una lunga conservazione.
Accompagniamo
il salame con del pane di segale, un cereale coltivato fin dall’età del
bronzo, duemila anni prima di Cristo. Considerato inizialmente una
pianta infestante dei campi di grano, se ne scoprirono presto le virtù,
soprattutto la resistenza ai climi freddi, che ne fecero per secoli uno
dei cereali più coltivati e presenti nell’alimentazione dei contadini.
Dopo
l’antipasto possiamo servire una polenta accompagnata dal tapulone. Per
chi non lo conosce si tratta di uno stufato di carne d’asino, stracotta
con spezie e vari sapori e due bicchieri di vino rosso delle colline
novaresi. Secondo una leggenda che si tramanda di bocca in bocca la sua
invenzione si deve a tredici omaccioni, che qualcuno non esita a
definire orchi.
Tornavano
dall’Isola di San Giulio e giunti al guado sul torrente Agogna si
accorsero di aver finito le provviste. Vedendo il loro asino che brucava
tranquillo pensarono di trasformare lui in bistecche. Essendo però il
povero quadrupede di età antica e carne coriacea i tredici misero la
carne in una pentola e la fecero cuocere a lungo. Infine, sazi e
soddisfatti decisero di fondare in quel luogo la città di Borgomanero.
Per
terminare la polenta rimasta possiamo condirla con pezzi di gorgonzola,
formaggio che, nonostante il nome registrato nel dopoguerra nella città
lombarda, ha una lunga storia in terra novarese dove è conosciuto col
nome di chèga e dove ancora oggi si concentra buona parte della
produzione.
Già i romani
parlavano con ammirazione di un formaggio gallico dalle proprietà
meravigliose e quasi curative. Lo stracchino prodotto con il latte delle
vacche scese dai pascoli montani era punto con un ago intinto nella
muffa del pane di segale. Questa prosperava consentendo la stagionatura e
conferendo il sapore e l’aspetto tipico del formaggio erborinato.
I
Celti lo accompagnavano con il vino rosso delle colline novaresi. E lo
bevevano a canna da larghe fiasche in terracotta che avevano la funzione
dei nostri decanter, i cosiddetti vasi a trottola (foto). Noi lo assaporiamo
nel bicchiere prima di gustare un dolce che ha dato origine anche ad una
maschera del carnevale novarese: Re Biscottino.
Il
Biscottino di Novara nasce nei monasteri femminili della città come
"biscottino delle monache di Novara". Quando i conventi furono soppressi
da Napoleone la ricetta fu perfezionata dai pasticcieri novaresi
rendendone possibile il commercio su larga scala. Tra gli estimatori del
Biscottino di Novara si dice ci fosse anche il Conte Cavour che lo
gustava abbinato al... gorgonzola!
Cosa sarebbe il mondo senza gorgonzola...
RispondiEliminaSarebbe un mondo ben triste!
EliminaSono le 9.20 del mattino e mi hai fetto voglia di fare un pranzo megagalattico!!! Sento dei profumi così invitanti... Faaame...
RispondiEliminasono contento di esserci riuscito!
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