domenica 24 maggio 2015

Morte in passerella



«Si spengono le luci e nel buio della sala si spande la musica, come un ritmo di marcia, nervoso, scattante, energico. E – quando modelle dai tacchi vertiginosi avvolte dalla luce avanzano sulla passerella tra due ali di oscurità – la vita inonda la passerella. Nessuno tra il pubblico si chiede quanto durerà quello spettacolo. Va in scena e tanto basta, perché si celebra la vita lì sopra e il tempo pare fermarsi in questo presente luminoso. Un essere effimero tra due diversi non essere. Un oggi che dimentica rapidamente la successione di ieri e vive nella speranza di un’illimitata – o quanto meno lunga – successione di domani. 

I bambini non riescono a concepire l’idea del tempo che passa. Gli adulti non vogliono. I giorni dell’uomo sono contati, ma nessuno finché vive può contarli, può solo numerare quelli passati e desumere da quelli quanti non ne potrà più vivere. Per questo i bambini sono allegri e i vecchi sono tristi. 

Nel frattempo sulla passerella si continua ad esorcizzare in un tripudio di bellezza e di spreco – ben pochi di questi vestiti saranno portati fuori da qui, la maggior parte non sarebbe nemmeno indossabile se non sopra queste assi di legno ricoperte di moquette, sotto questi riflettori e tra queste ali di ombra da cui occhi curiosi osservano ogni dettaglio – quello che viene dopo, quando la luce si spegne e l’essere incontra il non essere, quando l’oggi incontra il suo domani e comprende finalmente – o purtroppo – il suo passato. Quando la Vita incontra la Morte, quando la Vita incontra Me.

Ci sarà una sorpresa oggi in passerella, qualcosa a cui non pensano lo stilista, né i tecnici, né i bodyguard, né i fotografi, né le modelle, né alcuno tra il pubblico. Tutti pensano che le porte siano chiuse ed il Tempo sia fuori, ma il Tempo passa anche se il Tempo, naturalmente, non ha alcun senso per me. Io sono qui, nonostante le porte sbarrate, nonostante la security, nonostante nessuno – né lo stilista, né i tecnici, né i bodyguard, né i fotografi, né le modelle, né alcuno tra il pubblico – abbia pensato né, tanto meno, voluto mandarmi l’invito. Sono qui e tra poco sarà il mio turno di salire in passerella, ma né lo stilista, né i tecnici, né i bodyguard, né i fotografi, né le modelle, né alcuno tra il pubblico mi vedrà arrivare né, tanto meno, applaudirà la mia opera quando la vedrà.

Sarà un aneurisma cerebrale per quell’attrice plaudente tra il pubblico in prima fila, la quale già pensa – devo ottenere quella parte ad ogni costo – a quando indosserà il suo vestito nuovo alla festa che il suo amico produttore – amante – darà il mese prossimo nella villa di Malibù. 

Per l’anoressica modella lituana che sta uscendo ora dopo l’ennesimo cambio d’abito – il tempo passa in fretta per voi, non per me – che ha ricoperto la nudità dei suo trentotto chili per un metro e settanta di ossa, poca carne e negli occhi di ghiaccio troppa paura di perdere il lavoro – la sua amica è stata licenziata per aver superato i cinquantaquattro chili su un metro e settantaquattro di giovane donna – sarà un arresto cardiaco – definizione imprecisa ne convengo, giacché a porre fine alla vita è sempre un arresto del muscolo cardiaco – a far spegnere per sempre i riflettori. 

Una pista di coca fatta in bagno pochi minuti fa – capita più spesso di quello che si creda – sarà la causa di un’inarrestabile emorragia cerebrale per il fotografo tatuato e muscoloso, sul cui biglietto da visita – squallidamente offerto alle ragazze in discoteca: “conosco gente importante, posso fartela conoscere, certo, dipende da te, da cosa sei disposta a fare” – sta scritto, tra l’altro, “talent scout”. 

Una pallottola uscita dalla canna della pistola, improvvisamente impugnata da un innamorato deluso – non voleva nemmeno uccidere, povero pazzo, voleva solo fare un gesto dimostrativo, ma la mano di un altro bodyguard ha fatto partire il colpo indirizzando la pallottola contro il collega – che protesta perché è stato cacciato ed il suo posto è stato preso da quel suo nemico insinuatosi con l’inganno nelle grazie dello stilista, mettendolo in cattiva luce e servendosi di persone che credeva amiche – di chi, poi? ma sarebbe da pazzi inseguire i deliri dei paranoici – a tranciare la giugulare del muscoloso body guard all’ingresso.

Sarà il cortocircuito di un’apparecchiatura difettosa – devo dargli un’occhiata, c’è qualcosa che non va, ma ora non c’è tempo, lo farò dopo – a fulminare nel retropalco il tecnico delle luci, mentre guarda le modelle passargli accanto come se non esistesse e pensa – in quel continuo via vai di corpi agghindati e pitturati – a quanto gli piacerebbe avere ciò che non gli sarà mai concesso di avere, e il suo sogno resterà tale. 

Sarà un passo di troppo nel buio oltre la luce – si vede male con quei fari sparati negli occhi – dove una dura punta di metallo, coperta da un velo leggero di tessuto, attende il cranio fragile dello stilista, stramba e improbabile sorte – improbabile prima, naturalmente, perché dopo diventa notizia e storia e precedente presto dimenticato – e così poco elegante, ponendo la parola fine alla serie dei suoi giorni e, inevitabilmente, a questo spettacolo.

Sarà così, per ciascuno – e potrei enumerare la sorte di tutti quanti si trovano in questa sala e fuori da qui, compresa la tua che leggi e ora cerchi ansiosamente ferro o legno o carne da toccare con la mano – sarà così ora, in questo preciso istante, o sarà tra poco – un giorno un mese, un anno, che importa? per me il Tempo non ha senso – per ciascuno di loro, di voi, in momenti diversi o tutti assieme.

Irromperò sulla scena all’improvviso e prenderò l’attrice o la modella o il fotografo o il bodyguard o il tecnico delle luci o lo stilista o forse alcuni o forse tutti – uno psicopatico che irrompe sulla scena, gridando che deve interrompere il corso del Destino, e lancia una bomba che provoca un incendio che divampa ed avvolge la sala, riempiendola di fumo e di panico, ma tutte le uscite di sicurezza saranno sbarrate, chiuse per evitare ingressi non autorizzati, e lo stilista, il tecnico, il bodyguard, il fotografo, la modella, l’attrice e persino lo psicopatico si accalcheranno inutilmente contro di esse e finiranno i loro giorni gli uni sugli altri, soffocati dal fumo – forse anche tu che leggi – ma non lo puoi sapere e smettere di ascoltare servirà solo a farti restare con il dubbio – e niente sarà più uguale a prima, anche se chi resterà – che sfortuna per loro, che fortuna per me che posso raccontarla – cercherà di far finta di niente, di andare avanti – the show must go on – soprattutto se saranno figure minori – minori per chi poi? Non certo per loro o per chi li conosce bene – dello spettacolo ad essere prese. 

Il pubblico applaude, le modelle sfilano, il fotografo scatta, il bodyguard affronta il pazzo, il tecnico manovra le luci, lo stilista aggiusta gli ultimi dettagli, tu leggi e tutto sta per accadere.»


Il racconto in stile digressivo, sul tema leopardiano moda e morte, fu scritto per una rivista che doveva andare oltre le mode e invece è morta.





2 commenti:

  1. Mi piace un sacco questo racconto! Ed è carina l'idea dei due colori

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    Risposte
    1. Detto da te è un complimento doppio! Lo stile digressivo è ispirato dalla lettura del romanzo "Domani nella battaglia pensa a me" di Javier Marías.
      E siccome è facile perdersi ho pensato di usare i due colori, visto che il web lo permette! ;)

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