A Milano nell'Ottocento si arrivava in barca |
C’era una volta una bambina, nata esattamente 150 anni fa, che perso il padre ancora piccola per una sorte malaugurata, fu messa in un antico e famoso ricovero milanese per orfane. La Stelline, come erano chiamate le piccole, potevano mangiare tre volte al giorno, a colazione, pranzo e cena. Nel menu oltre al latte, alla frutta e alle minestre, non mancavano le “pietanze”. Scarseggiava però la carne, dal momento che il costo giornaliero era sui 95 centesimi.
Così quando il dottore disse che la piccola era anemica e avrebbe avuto bisogno di mangiare carne, il cuoco disse “ghe pensi mi!”. A beneficio dei lettori non lombardi, l’espressione oltre al suo significato letterale (“ci penso io”) è emblematica di quel modo di pensare milanese per cui un ostacolo non è una problema, ma un’occasione per mettere in mostra il proprio talento.
Così a Maria, così si chiamava, fu servita carne ben cotta, arrostita e saporita. Quando ebbe finito, il cuoco le domandò se le fosse piaciuta e di indovinare cosa fosse. Maria passò in rassegna gli animali che conosceva, ma il cuoco sempre scuoteva i baffoni ridacchiando.
Quando si arrese la risposta le venne servita con un contorno di risate: “topo!”
Fino a noi è giunto il ricordo disgustato della mia bisnonna Maria, che si guardò bene dal toccare altra carne finché fu li dentro, mentre dell’esperto cuocitor di roditori e del suo speciale talento si è persa la memoria.
Ecco come diventare vegetariani ... Buona settimana!
RispondiEliminaPer certe scelte occorrono motivazioni valide e questa in effetti è validissima!
EliminaA sentirsi dire “ghe pensi mi!” non si sa mai se reagire con sollievo o preoccupazione...
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