Mercoledì, ore 9.15
Durante l’alluvione del 1993 molti avevano accusato gli Svizzeri di aver aperto le dighe provocando la piena, ma era una leggenda, come accade per molte voci che girano sulla nazione elvetica. La verità era che nessuno aveva mai dato quell’ordine. Semplicemente una diga è un gigantesco catino. Come accade per la sopportazione in certi individui, quando è pieno smette di trattenere l’acqua e comincia a versare a valle la stessa quantità che riceve da monte.
Quel livello era stato raggiunto nella notte e i fiumi avevano aumentato la loro portata. Pallanza era sott’acqua, ma l’inondazione aveva raggiunto anche Suna, di solito meno esposta al fenomeno. Vaste zone di Arona erano invase, con la popolazione costretta ad uscire di casa sui canotti dei Vigili del Fuoco. A Stresa la situazione stava diventando sempre più problematica. Le centinaia di turisti che giornalmente si recavano alle incantate isole del Golfo Borromeo erano scappati da tempo. Restavano i curiosi che assistevano all’evacuazione dello storico Grand Hotel des Iles Borromées che annoverava tra i suoi ospiti sovrani, presidenti e tycoon di tutto il mondo oltre a personaggi celebri come Gabriele D'Annunzio, George Bernard Shaw ed Ernest Hemingway.
Lo distolse da questi pensieri l’ingresso di Martelli con un giovane dall’aria arruffata, lo sguardo spiritato e in evidente sovrappeso. Giovanni Mogano tese la mano a De Lorenzi, che per tutta risposta gli indicò la sedia.
«Si accomodi pure».
«Ho saputo della morte di Maccagno, una vera sfiga!»
Accavallò le gambe e prese a giocare con un foglietto di carta che aveva recuperato da una tasca dei jeans sdruciti.
«Lo conosceva bene?»
«L’ho incontrato a una presentazione letteraria qui a Stresa la settimana scorsa. Mi ha detto che stava cercando un buon romanzo giallo ambientato sul lago. Così ho mandato quello che avevo nel cassetto.»
«Ha avuto qualche riscontro?»
«Direi di sì. Lunedì pomeriggio Maccagno mi ha telefonato dicendo che il romanzo gli piaceva e che voleva parlarmi. Avevamo appuntamento proprio oggi.»
«Per quale motivo?»
«Credo volesse propormi di firmare un contratto.»
«Crede o ne è certo?»
«Per quale altro motivo avrebbe voluto vedermi?»
«Quindi lei è convinto che sarebbe diventato un collega di Aldo Terzi…»
«Non me lo nomini neppure!» fece un salto sulla sedia poggiando entrambi i piedi a terra e perdendo il foglietto. «Terzi è l’esempio vivente della decadenza della letteratura italiana. Fa cassetta, ma tutti i critici lo stroncano sui contenuti. Ho espresso il mio giudizio sulla mia rivista letteraria "Fiumi di inchiostro": un pessimo insegnante e un cattivo maestro; uno scrittore mediocre con un solo romanzo, che è un monumento alla prostituzione della penna al più becero consumismo, buono solo per un branco di adolescenti senza cervello...»
«Mia figlia lo adora…»
«Beh, non è tutta colpa loro» scrollò le spalle Mogano. «I ragazzi hanno solo modelli sbagliati. La televisione impera, la scuola arranca e la famiglia è distratta…»
De Lorenzi si domandò quali modelli avessero ispirato Mogano nei suoi vent’otto anni.
«Non è un po’ contraddittoria questa sua visione» domandò invece «con il fatto di volersi far pubblicare da Maccagno che in catalogo ha autori come Terzi?»
«Che vuole farci? È la dura legge della giungla editoriale per noi scrittori. Quanto meno Maccagno è, anzi era, uno dei pochi editori che non pretendeva di essere pagato per fare il suo lavoro.»
«Dove si trovava martedì pomeriggio tra le 16 e le 20?»
«Ero con la mia fidanzata. Poi sono tornato a casa.»
«Dovrò sentirla. Come si chiama?»
«Alice Fraschini.»
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