La “Benedetto Brin” apparteneva alla classe di corazzate “Regina Margherita”, ideata dall’ingegnere, generale, ispettore del Genio Navale e deputato Benedetto Brin (Torino 1833 – Roma 1898) che nella seconda metà dell’Ottocento diede grande impulso alla marina militare italiana al punto che alla sua morte su 202 unità in servizio nella Regia Marina, ben 141 erano state ordinate o progettate da lui. Con la morte del Generale Brin il progetto fu portato avanti e modificato dal generale Ruggero Alfredo Micheli (Volterra 1847 – Roma 1919) direttore del cantiere di Castellammare di Stabia, dove la nave fu varata e ultimata il 1° settembre 1905.
La “Benedetto Brin” partecipò alle operazioni militati della guerra contro la Turchia per la conquista della Libia, prendendo parte all’attacco su Tripoli che portò alla presa della città. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale, nel 1915, era l'unità di bandiera del contrammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin ed era comandata dal capitano di vascello Gino Fara Forni, nato a Pettenasco, sul lago d’Orta nel 1867.
Alle otto del mattino del 27 settembre del 1915 molte persone si radunarono come al solito sulla banchina del Viale Regina Margherita di Brindisi per assistere all’emozionante cerimonia dell’alzabandiera da parte delle navi ormeggiate nell’avamporto, tra il canale Pigolati e Forte a Mare. Si trattava delle corazzate “Dante Alighieri”, “Nino Bixio”, “Emanuele Filiberto” e “Benedetto Brin”. Nel porto erano inoltre presenti altre navi francesi, inglesi ed italiane. Mentre gli equipaggi erano radunati per la cerimonia e venivano suonati gli inni, improvvisamente, la “Benedetto Brin” esplose.
La devastazione provocata dall’onda d’urto fu immane. Senza calcolare i danni materiali, nella tragedia morirono 456 uomini su 943 d’equipaggio, precisamente, 433 marinai e 23 ufficiali, tra i quali lo stesso contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin.
Le cause della sciagura furono immediatamente oggetto di indagini, ma il mistero ancora aleggia attorno a questa nave e alle vittime della sua distruzione.
Quasi immediatamente venne esclusa la possibilità che l’esplosione fosse stata causata da un sottomarino nemico, in quanto l’entrata del porto era sbarrata con una rete metallica verticale tenuta tesa da galleggianti e strettamente sorvegliata. La propaganda ufficiale parlò di “vile attentato del nemico”, opera di sabotatori, ma i risultati dell’inchiesta vennero tenuti secretati “per non dare vantaggi al nemico”.
In particolar modo non venne reso pubblico un rapporto che un anno prima proprio il capitano Gino Fara Forni aveva inviato a mezzo lettera alla Divisione Generale di Artiglieria ed Armamenti del Ministero della Marina a Roma. In esso denunciava una “deficienza di ventilazione e di refrigerazione della “Santabarbara” che faceva salire oltre il limite di sicurezza la temperatura interna. Il locale, dove erano immagazzinati materiali altamente pericolosi e infiammabili quali esplosivi, munizioni e gas, era oltretutto ubicato, con un’infelice scelta progettuale, proprio accanto alla sala dei motori e delle macchine.
Nonostante fosse consapevole dei rischi il capitano Fara Forni era rimasto al suo posto, attendendo forse un intervento del Ministero che non vi fu. Morì con gli altri, al comando della propria nave, come nella migliore tradizione marinara.
La storia oltre che misteriosa è anche molto triste, ma almeno il capitano ha fatto ciò che doveva fare in modo dignitosissimo al contrario di un personaggio di nostra conoscenza che se l'è data a gambe...
RispondiEliminaBellissimo post, a presto.. Dream Teller
Bellissimo post