Nel 1968, quando il gruppo inglese The Crazy World capitanato da Arthur Brown salì sul palco, il pubblico rimase letteralmente scioccato. Il rock psichedelico che suonavano, senza chitarre ma con il potente accompagnamento di un organo elettrico Hammond, schizzò immediatamente in cima alle classifiche, nonostante e forse anche grazie alle furibonde critiche lanciate contro il look del gruppo, in particolare quello del suo leader, Arthur Brown.
Erano molti, per l’epoca, gli elementi scandalosi di questa band che ebbe parecchi problemi in vari paesi. Dall’Italia fu addirittura espulsa nel 1969 con il divieto di rimettere piede nel paese.
Il volto truccato di bianco con larghe occhiaie nere (definito Corpse Paint, “Trucco Cadaverico”) si ispirava ai guerrieri delle armate cadaveriche popolari nel folklore nordico. In seguito sarebbe diventato uno dei tratti distintivi di molti gruppi heavy metal, ma fu Arthur Brown il primo ad utilizzarlo sul palco.
Non contento Brown si esibiva portando sulla testa un elmetto che conteneva un liquido infiammabile, che era incendiato nel momento in cui saliva sul palco. Poiché il copricapo era di metallo, rapidamente il dolore diventava quasi intollerabile per il cantante. Durante l’esecuzione, più volte accadde che il liquido infiammato uscisse dal contenitore, appiccando il fuoco ai capelli e agli abiti. In un caso Brown fu salvato dall’intervento della sicurezza che gli versò della birra in testa per spegnerlo.
Anche la canzone fu considerata particolarmente oltraggiosa. Brown l’introduceva infatti con il grido “I’m the god of Hell’s Fire” e il brano si concludeva con il sinistro sibilo di un vento.
Occorre dire, oltretutto, che alle orecchie del pubblico anglosassone il nome Hell’s Fire richiamava una serie di circoli segreti sorti nell’Inghilterra del Settecento e noti appunto come Hellsfire Club.
Non è chiaro cosa facessero esattamente i componenti di questi circoli (dei quali facevano parte esponenti della più potente aristocrazia inglese) anche se è certo che avessero un orientamento paganeggiante e dionisiaco.
Attorno agli Hellsfire Clubs crebbe così una leggenda nera, alimentata da molti romanzi e fumetti, che li ritrae come covi di satanisti dediti ai peggiori crimini. Prove precise in questo senso non sono però mai emerse, anche perché i documenti contenuti nei loro archivi segreti furono tutti bruciati. Qualunque cosa contenessero erano certo troppo compromettenti per personaggi che rivestirono importanti incarichi di governo.
Dentro questi club segreti circolavano però anche molte idee illuministe e rivoluzionarie, considerate come il fumo del Diavolo dai governi e dalla Chiesa.
Tra i frequentatori dell’Hellsfire Club figura infatti anche lo scienziato e filosofo Benjamin Franklyn, che fu un grande cultore del fuoco: tra le molte sue invenzioni ci sono il parafulmine e una particolare stufa che prende il suo nome; inoltre diede vita alla prima assicurazione contro gli incendi e al primo corpo volontario dei pompieri. Ma soprattutto fu uno dei padri della rivoluzione che incendiò le Tredici Colonie d’oltreoceano portando alla nascita degli Stati Uniti d’America.
La canzone cantata da Arthur Brown, in ogni caso, si ispirava soprattutto al motto del Hellsfire Club, “fai ciò che vuoi”, e più che altro va inserita nello spirito di ribellione e trasgressione (“Sex & Drugs & Rock & Roll”) che caratterizzò quegli anni.
The Crazy World of Arthur Brown, Fire
Erano molti, per l’epoca, gli elementi scandalosi di questa band che ebbe parecchi problemi in vari paesi. Dall’Italia fu addirittura espulsa nel 1969 con il divieto di rimettere piede nel paese.
Il volto truccato di bianco con larghe occhiaie nere (definito Corpse Paint, “Trucco Cadaverico”) si ispirava ai guerrieri delle armate cadaveriche popolari nel folklore nordico. In seguito sarebbe diventato uno dei tratti distintivi di molti gruppi heavy metal, ma fu Arthur Brown il primo ad utilizzarlo sul palco.
Non contento Brown si esibiva portando sulla testa un elmetto che conteneva un liquido infiammabile, che era incendiato nel momento in cui saliva sul palco. Poiché il copricapo era di metallo, rapidamente il dolore diventava quasi intollerabile per il cantante. Durante l’esecuzione, più volte accadde che il liquido infiammato uscisse dal contenitore, appiccando il fuoco ai capelli e agli abiti. In un caso Brown fu salvato dall’intervento della sicurezza che gli versò della birra in testa per spegnerlo.
Anche la canzone fu considerata particolarmente oltraggiosa. Brown l’introduceva infatti con il grido “I’m the god of Hell’s Fire” e il brano si concludeva con il sinistro sibilo di un vento.
Occorre dire, oltretutto, che alle orecchie del pubblico anglosassone il nome Hell’s Fire richiamava una serie di circoli segreti sorti nell’Inghilterra del Settecento e noti appunto come Hellsfire Club.
Non è chiaro cosa facessero esattamente i componenti di questi circoli (dei quali facevano parte esponenti della più potente aristocrazia inglese) anche se è certo che avessero un orientamento paganeggiante e dionisiaco.
Attorno agli Hellsfire Clubs crebbe così una leggenda nera, alimentata da molti romanzi e fumetti, che li ritrae come covi di satanisti dediti ai peggiori crimini. Prove precise in questo senso non sono però mai emerse, anche perché i documenti contenuti nei loro archivi segreti furono tutti bruciati. Qualunque cosa contenessero erano certo troppo compromettenti per personaggi che rivestirono importanti incarichi di governo.
Dentro questi club segreti circolavano però anche molte idee illuministe e rivoluzionarie, considerate come il fumo del Diavolo dai governi e dalla Chiesa.
Tra i frequentatori dell’Hellsfire Club figura infatti anche lo scienziato e filosofo Benjamin Franklyn, che fu un grande cultore del fuoco: tra le molte sue invenzioni ci sono il parafulmine e una particolare stufa che prende il suo nome; inoltre diede vita alla prima assicurazione contro gli incendi e al primo corpo volontario dei pompieri. Ma soprattutto fu uno dei padri della rivoluzione che incendiò le Tredici Colonie d’oltreoceano portando alla nascita degli Stati Uniti d’America.
La canzone cantata da Arthur Brown, in ogni caso, si ispirava soprattutto al motto del Hellsfire Club, “fai ciò che vuoi”, e più che altro va inserita nello spirito di ribellione e trasgressione (“Sex & Drugs & Rock & Roll”) che caratterizzò quegli anni.
The Crazy World of Arthur Brown, Fire
Immagino che i circoli segreti degli aristocratici inglesi fossero i bunga bunga dell'epoca. Chissà perchè ho l'impressione che lo spessore intellettuale, per quanto scarso, fosse comunque superiore a quello dei circoli segreti dei potenti di oggi...
RispondiEliminaDirei più stile Kubrik che Lele Mora...
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