I Longobardi provenivano dalla Scandinavia, attraverso un viaggio lungo secoli. Quando si insediarono in Italia portarno con loro molte delle leggende dei popoli del nord.
Dai secoli più bui del medioevo ecco a voi una storia che parla della nascita di un misterioso alfabeto, usato dai popoli germanici per la scrittura. E per oscuri rituali di magia.
Una storia scritta per Siamo in Onda, l'ultima di questa stagione, trasmessa sabato scorso. Viene pubblicata oggi, di mercoledì, non a caso, perché questo è il giorno di Odino, il signore delle rune.
In una fredda sera d’autunno del anno nono del regno di Ròtari, re dei Longobardi, uno sconosciuto bussò alla mia porta, chiedendo ospitalità per la notte. Gli offrii del fuoco e del vino caldo, perché mi era stato insegnato che talora, dietro il misero aspetto di un pellegrino, può nascondersi Odino, il dio viandante.
Il vecchio, il cui volto era nascosto dall’ombra di un largo cappello, svuotò il boccale e cominciò a cantare versi antichi. Davanti a noi, che ascoltavamo incantati le sue parole, prendeva forma il grande albero dell’universo, che regge i nove mondi che formano il cosmo e in cui dimorano gli dei e i giganti, gli elfi oscuri e i nani, i viventi e i morti.
Poiché le sue parole avevano acceso in me una folle sete di conoscenza pregai il nostro ospite, in nome di Odino, il dio della poesia, di cantare come il dio avesse scoperto il segreto delle rune. Ed egli, fissandomi con un unico profondo occhio, cominciò a narrare una storia antica come il mondo.
«A lungo indagai il mistero delle rune, senza riuscire a penetrarlo. Alla fine compresi che solo elevando un degno sacrificio al dio della magia avrei potuto colmare la mia ignoranza. Allora io, Odino, sacrificai me stesso ad Odino.
Per nove giorni e nove notti, ferito da un colpo di lancia, rimasi appeso all’albero della conoscenza, sferzato da venti impetuosi. E nessuno si accostò per placare la mia sete. Infine guardai verso le radici del grande albero e chiamai le rune.
Fèhu, Urùz, Thùrisaz, Ansùz, Ràido, Kàunan… una ad una le chiamai, fino all’ultima, Dàgaz. E una ad una salirono a me, lettere chiare, lettere grandi, lettere possenti, finché m’impadronii del loro segreto.»
A quelle parole riconobbi nel mio ospite lo stesso Odino. E fui afferrata dalla paura. Lottai con me stessa, come per destarmi da un mostruoso incubo in una notte senza speranza. Infine, aprii lentamente gli occhi sull’orrore che mi circondava.
E vidi accanto a me i corpi dei miei figli e delle mie figlie che con le mie stesse mani avevo immolato a Odino, il dio della magia, che solo a carissimo prezzo concede la conoscenza alle sue incantatrici.
Il vecchio, il cui volto era nascosto dall’ombra di un largo cappello, svuotò il boccale e cominciò a cantare versi antichi. Davanti a noi, che ascoltavamo incantati le sue parole, prendeva forma il grande albero dell’universo, che regge i nove mondi che formano il cosmo e in cui dimorano gli dei e i giganti, gli elfi oscuri e i nani, i viventi e i morti.
Poiché le sue parole avevano acceso in me una folle sete di conoscenza pregai il nostro ospite, in nome di Odino, il dio della poesia, di cantare come il dio avesse scoperto il segreto delle rune. Ed egli, fissandomi con un unico profondo occhio, cominciò a narrare una storia antica come il mondo.
«A lungo indagai il mistero delle rune, senza riuscire a penetrarlo. Alla fine compresi che solo elevando un degno sacrificio al dio della magia avrei potuto colmare la mia ignoranza. Allora io, Odino, sacrificai me stesso ad Odino.
Per nove giorni e nove notti, ferito da un colpo di lancia, rimasi appeso all’albero della conoscenza, sferzato da venti impetuosi. E nessuno si accostò per placare la mia sete. Infine guardai verso le radici del grande albero e chiamai le rune.
Fèhu, Urùz, Thùrisaz, Ansùz, Ràido, Kàunan… una ad una le chiamai, fino all’ultima, Dàgaz. E una ad una salirono a me, lettere chiare, lettere grandi, lettere possenti, finché m’impadronii del loro segreto.»
A quelle parole riconobbi nel mio ospite lo stesso Odino. E fui afferrata dalla paura. Lottai con me stessa, come per destarmi da un mostruoso incubo in una notte senza speranza. Infine, aprii lentamente gli occhi sull’orrore che mi circondava.
E vidi accanto a me i corpi dei miei figli e delle mie figlie che con le mie stesse mani avevo immolato a Odino, il dio della magia, che solo a carissimo prezzo concede la conoscenza alle sue incantatrici.
Ciao!!!
RispondiElimina... mai aprire la porta ad uno sconosciuto in una fredda sera d'autunno dell'anno nono del regno di Ròtari, re dei Longobardi!!!
E sì che lo sapevano tutti... ;-)
Un abbraccio!
:) :) :)
Caro Milo, si sa anche che la curiosità è femmina... ma anche maschio!
RispondiEliminaGrazie Alfa della spiegazione ....
RispondiEliminaUn bel tipetto l'Odino ! Miaoooo
La curiosità è sempre una buona cosa... o forse non proprio sempre!
RispondiEliminaLa curiosità apre tante porte. Alcune sarebbe forse meglio lasciarle chiuse...
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