Per festeggiare insieme a voi il novecentesimo post di questo blog ospito molto volentieri il racconto di un amico, che ha voluto condividerlo con i lettori di questo blog.
Oscar Taufer è uno degli autori che collaborano con Puntoradio per le "Storie di Siamo in Onda", che vi ricordo sono liberamente scaricabili da questo link.
Quello che segue è un suo racconto, intitolato “Una vita sul lago” e ambientato sul Lago di Varese, che anche noi, dalla vetta del Mottarone, possiamo ammirare.
In coda Oscar stesso vi spiegherà in quale occasione è nato.
Una vita sul lago
La luna era alta sulla strada diretta alla spiaggia.
Distinguevo le fronde degli alberi, i profili delle case, le ringhiere e superata la curva, di fronte al vecchio mulino, mi accorsi che nei gesti che da sempre ripetevo ogni mattina, qualcosa non era al suo posto.
In fondo alla via, vicino al lago, quattro sagome scure discutevano. Erano i miei amici, ostinati figli di un mestiere iniziato tanti anni prima. Pescatori, come me, che invece di preparare le barche perdevano tempo in chiacchiere. Ero lontano per udirne le voci ma la loro agitazione era evidente e non servì raggiungerli per comprendere cosa mi aveva disorientato. Mancava il nastro di luce che da sempre la luna srotola sull'acqua, per un motivo evidente e incredibile: l'acqua non c'era più, il lago era sparito.
Mai prima d'allora si era verificato qualcosa di simile. Il mistero del lago scomparso richiamò nella zona esperti in geologia, ingegneria, idraulica, scienze naturali. Ognuno analizzava il problema dal suo punto di vista ma la spiegazione non si trovava. Nessuno capiva dove fosse finita l'acqua. Dei torrenti che scendevano dal Campo dei Fiori non restavano che letti asciutti, e le chiuse di Bardello, ridotte a inutili lamiere, arginavano soltanto l'aria. Da lì al Lago Maggiore, al posto del fiume, si allungava una via di terra e sassi.
La pista ciclabile era stata transennata e le forze dell'ordine ne presidiavano ogni metro. Un anello di metallo e uniformi impediva ai curiosi di incamminarsi su quello che era stato il fondale. Le barche giacevano nelle darsene o con la chiglia affondata nel fango, in fondo ai tubi di scarico si accumulavano liquami dall'odore insopportabile, e una distesa di pesci morti ricopriva la conca vuota.
Per un'infinità di ragioni la scomparsa del lago era un evento disastroso, ma l'unica che per me valeva qualcosa era quella affettiva. Per il resto, il tempo avrebbe aggiustato le cose. La natura e le attività degli uomini si sarebbero adattate al cambiamento e le nuove generazioni avrebbero conosciuto il lago nei libri e nei racconti degli anziani. Ma per chi aveva vissuto con i piedi su una barca e una lenza in mano era come morire.
Ero al lido di Gavirate e mi sentii mancare. Pensavo all'isolino, divenuto terraferma e perduto, fissavo Biandronno, Cassinetta, Bodio, incredulo all'idea di poterci andare a piedi anche in estate, e non solo sul ghiaccio, come faceva mio nonno. Piansi, la testa iniziò a girare e sprofondai nel buio.
Riaprii gli occhi, ancora nel buio. Sul display le quattro e mezza. Saltai giù dal letto e schizzai sul balcone così com'ero, mutande, canottiera e cuore in gola.
La luna era alta sulla strada diretta alla spiaggia e il suo nastro di luce illuminava il lago.
Mi affrettai, gli amici mi aspettavano.
Il racconto è stato scritto nel 2010, in occasione della quarta edizione della manifestazione “Abbracciamo il lago”, in cui migliaia di persone, mano nella mano per i 28,9 chilometri della pista ciclabile che circonda il lago di Varese, hanno dato vita a una lunghissima catena umana.
La storia è un omaggio alle persone conosciute su quel lago da bambino, quando ancora non sapevo che mi aveva stregato.
Oscar Taufer
La luna era alta sulla strada diretta alla spiaggia.
Distinguevo le fronde degli alberi, i profili delle case, le ringhiere e superata la curva, di fronte al vecchio mulino, mi accorsi che nei gesti che da sempre ripetevo ogni mattina, qualcosa non era al suo posto.
In fondo alla via, vicino al lago, quattro sagome scure discutevano. Erano i miei amici, ostinati figli di un mestiere iniziato tanti anni prima. Pescatori, come me, che invece di preparare le barche perdevano tempo in chiacchiere. Ero lontano per udirne le voci ma la loro agitazione era evidente e non servì raggiungerli per comprendere cosa mi aveva disorientato. Mancava il nastro di luce che da sempre la luna srotola sull'acqua, per un motivo evidente e incredibile: l'acqua non c'era più, il lago era sparito.
Mai prima d'allora si era verificato qualcosa di simile. Il mistero del lago scomparso richiamò nella zona esperti in geologia, ingegneria, idraulica, scienze naturali. Ognuno analizzava il problema dal suo punto di vista ma la spiegazione non si trovava. Nessuno capiva dove fosse finita l'acqua. Dei torrenti che scendevano dal Campo dei Fiori non restavano che letti asciutti, e le chiuse di Bardello, ridotte a inutili lamiere, arginavano soltanto l'aria. Da lì al Lago Maggiore, al posto del fiume, si allungava una via di terra e sassi.
La pista ciclabile era stata transennata e le forze dell'ordine ne presidiavano ogni metro. Un anello di metallo e uniformi impediva ai curiosi di incamminarsi su quello che era stato il fondale. Le barche giacevano nelle darsene o con la chiglia affondata nel fango, in fondo ai tubi di scarico si accumulavano liquami dall'odore insopportabile, e una distesa di pesci morti ricopriva la conca vuota.
Per un'infinità di ragioni la scomparsa del lago era un evento disastroso, ma l'unica che per me valeva qualcosa era quella affettiva. Per il resto, il tempo avrebbe aggiustato le cose. La natura e le attività degli uomini si sarebbero adattate al cambiamento e le nuove generazioni avrebbero conosciuto il lago nei libri e nei racconti degli anziani. Ma per chi aveva vissuto con i piedi su una barca e una lenza in mano era come morire.
Ero al lido di Gavirate e mi sentii mancare. Pensavo all'isolino, divenuto terraferma e perduto, fissavo Biandronno, Cassinetta, Bodio, incredulo all'idea di poterci andare a piedi anche in estate, e non solo sul ghiaccio, come faceva mio nonno. Piansi, la testa iniziò a girare e sprofondai nel buio.
Riaprii gli occhi, ancora nel buio. Sul display le quattro e mezza. Saltai giù dal letto e schizzai sul balcone così com'ero, mutande, canottiera e cuore in gola.
La luna era alta sulla strada diretta alla spiaggia e il suo nastro di luce illuminava il lago.
Mi affrettai, gli amici mi aspettavano.
Il racconto è stato scritto nel 2010, in occasione della quarta edizione della manifestazione “Abbracciamo il lago”, in cui migliaia di persone, mano nella mano per i 28,9 chilometri della pista ciclabile che circonda il lago di Varese, hanno dato vita a una lunghissima catena umana.
La storia è un omaggio alle persone conosciute su quel lago da bambino, quando ancora non sapevo che mi aveva stregato.
Oscar Taufer
bello!
RispondiEliminaE buon 900° post
Mamma che incubo! Se il mio lago sparisse io impazzirei!!
RispondiEliminaBellissimo racconto, grazie Alfa per averlo pubblicato , complimenti a Oscar Taufer per la fantasia. Naturalmente un wow gattoso per i tuoi 900 - ma sono tantissimi- post , un grande traguardo per un blogger di razza.
RispondiEliminaUn abbraccio felino e pieno d'affetto ffffrrrrrrrrrrrrrr
Congratulazioni!
RispondiEliminaE adesso aspettiamo altri 900 post, perchè, mica ti ci fermi così, vero?
1000 di questi posto !
RispondiEliminapertanto 900x1000= 900.000, troppi ?
Grazie a tutti/e!
RispondiEliminaMagari 900.000 sono un po' troppi, soprattutto al ritmo di uno al giorno, ma di certo ce ne saranno altri!
E grazie ad Oscar per il suo racconto!
grazie a voi!
RispondiElimina