Pagine

domenica 31 maggio 2009

sabato 30 maggio 2009

Vi serviremo di barba e capelli

... stasera a Siamo in Onda.

E questo è il quesito a cui potete rispondere:

Vi è mai successo di servire qualcuno di barba e capelli?
(ovvero DARGLI IL FATTO SUO?)


Potete dire la vostra lasciando qui un voistro commento oppure
vi sms 389 96 96 960

o via mail a diretta@puntoradio.net

Per concludere, lasciamo la parola ad un esperto...



venerdì 29 maggio 2009

Disfida 5 (beta). I sopravvissuti

Ci sono creature che sopravvivono a tutto. Alcune persino a se stesse, quando ormai tutto è perduto.


La guardia sul colle
Il Colle della Guardia è un'altura poco sopra Bugnate, in comune di Gozzano. Dalla sommità, su cui vi è una piccola cappella dedicata alla Madonna, si ha una notevole vista sul lago d'Orta, anche se la vegetazione, negli ultimi anni, ha ridotto di molto il panorama visibile.
Nessuno sa esattamente perché si chiami così. Ho voluto immaginare una storia, collegata a questo luogo.


La guardia stava immobile, avvolta nel suo mantello, a scrutare l’orizzonte oltre il lago, verso le montagne. Aveva giurato fedeltà all’imperatore e l’imperatore gli aveva ordinato di vigilare. Oltre il lago, oltre le montagne stavano orde di barbari, che attendevano solo il momento giusto per invadere l’impero.
Un impero decadente e corrotto, che aveva perso il senso del proprio esistere ed era costretto ad assoldare barbari per difendersi da altri barbari.
Un tempo anche la guardia era stato uno di loro, un barbaro, prima di giurare fedeltà all’imperatore. Ci sono uomini che hanno poche parole e a quelle restano fedeli per tutta la vita. La guardia era uno di questi. Così se ne stava immobile a scrutare l’orizzonte, oltre il lago, verso le montagne.
Un tempo non era solo. C’erano altri con lui. Poi, uno ad uno se n’erano andati tutti. Qualcuno era andato in congedo; altri erano morti. I più avevano disertato quando lo stipendio aveva smesso di arrivare.
Lui no. Lui era rimasto a vigilare, pronto ad accendere il fuoco per allertare le guarnigioni a sud, perché il segnale corresse, di torre in torre fino alla capitale.
Era rimasto lì, a vegliare, accanto alla tomba della donna che gli aveva regalato troppo brevi momenti di felicità, e a cui aveva eretto un piccolo monumento. Lo sostenevano i parenti di lei, che ancora gli portavano qualcosa da mangiare e vestiti per combattere il freddo ogni inverno più intenso.
Si dice che sia ancora lì, sul colle della Guardia, a scrutare l’orizzonte, oltre il lago, verso le montagne, in attesa dell’arrivo dei barbari.



L’ultima fuga

Il mio nome è Ecuba e io sono l’ultima.
Io sono l’ultima di una razza maledetta e perseguitata fin sulle cime dei monti. Posso sentire i passi e l’odore del nemico, mentre mi dà la caccia, guidato dai suoi schiavi. Non c’è tregua, né di giorno né di notte. Dove non può la violenza, agisce l’inganno. Ferro e veleni, insidie e violenza mi stringono in un cerchio sempre più stretto, che la fame rende ormai impossibile evitare. Non ho scampo, questo mi è chiaro, ma se anche ne avessi, a che scopo fuggire?
Io sono l’ultima. Ho visto cadere tutti: i miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle, i miei compagni, uno ad uno sono morti. E i miei piccolini! Anche loro, senza pietà, caduti tutti nelle mani degli assassini.
Ululo lungamente alla luna e il mio è d’upupa lugubre un urlo, luttuoso all’infinito.
Io sono l’ultima. Domani il sole sorgerà, ancora una volta, per poi lasciare il cielo alla luna. E quando l’aurora si leverà nuovamente non ci saranno più lupi nella valle.
Perché io sono l’ultima.


Note storiche
L’ultimo lupo fu ucciso nella Valle Strona nel 1927 all'alpe Mazzucher, alle pendici del Pizzo Camino, da un cacciatore che lo inseguì per un giorno intero dall'alpe Campo sopra Forno dove aveva assalito un gregge di pecore.

Ecuba, ultima regina di Troia, dovette assistere alla distruzione della città e allo sterminio della sua famiglia e del suo popolo.

giovedì 28 maggio 2009

Disfida 4 (beta). Due storie di morti

Due racconti che hanno a che fare coi morti. Morti che paiono non avere alcuna voglia di starsene sottoterra in santa (ed eterna) pace….


Il cavallo bianco

Un’altra storia ispirata ad una testimonianza raccolta da Paesi di Mezzo. I becchini erano figure strane, evitate e temute, per quel loro contatto quotidiano con la morte. Qui però il becchino ha a che fare con qualcuno ancora più temibile.


C’era un uomo, che faceva il becchino. In tempi in cui le fosse si scavavano e si riempivano a mano capitava spesso che il lavoro finisse ben oltre il tramonto.
Poiché se avesse avuto paura dei morti il nostro non avrebbe fatto quel lavoro, l’essere da solo nel cimitero dopo il tramonto, con una pala in mano e una bara da seppellire non era per lui un problema. Certo, c’era l’umidità della notte, specie nei mesi invernali, ma un fiasco di vino era un ottimo rimedio per quello.
Così il becchino, finito il suo lavoro, se ne tornava verso casa, tutto sommato contento del suo lavoro, che gli permetteva di non emigrare. Una cosa di cui non c’era mai penuria erano i morti, per cui il suo era quasi un vivere di rendita.
Certo, c’erano cose antipatiche, come quel toccarsi quando lo incrociavano. Del resto gli uomini frugavano nei pantaloni anche quando incontravano i preti e, con più discrezione però, le suore. A suo modo il becchino si sentiva di appartenere ad una casta privilegiata, guardata sempre con timore, se non con rispetto.
«Sono un collega del prete!»
Lo raccontava ridendo all’osteria, dove non mancavano mai le occasioni per farsi offrire da bere, perché di storie da raccontare ne aveva sempre tante. I cadaveri hanno infatti comportamenti strani. Talora, riesumandoli per purgare il cimitero, si trovavano scheletri scomposti, come se si fossero rigirati più volte nella tomba. O corpi stranamente conservati. Altri ancora sembravano aver rosicchiato il sudario in cui erano stati avvolti…
Quello che gli accadeva da un po’ di tempo era però inspiegabile. Ogni volta che tornava a casa, passando dal Brentu vedeva un cavallo bianco. Aveva chiesto in giro di chi fosse, ma nessuno possedeva un animale del genere. Eppure, ogni volta, il cavallo sembrava attenderlo. Lo seguiva per un tratto di strada quasi sfidandolo a salirgli in groppa, poi, misteriosamente come era apparso, scompariva nell’oscurità della notte.
Il becchino non si fermava, perché sapeva che in questi casi era sempre meglio continuare il cammino, ma aveva cominciato ad inquietarsi.
Una notte, dopo un po’ di tempo che questa storia andava avanti, arrivato al Brentu non vide il cavallo. Non fece però in tempo a tirare un sospiro di sollievo, perché da dietro un cespuglio sbucò un cane nero che gli ringhiava contro. Allora alzò la pala e gli diede un gran colpo di piatto sulla schiena.
Il giorno successivo vide il prete che camminava tutto indolenzito con la mano sulla schiena. Da allora il cavallo bianco non si fece più vedere...




I morti che camminano

Una storia che viene dalla Valle Strona, ma che a sua volta è ispirata ad una credenza radicata in tutta Europa, quella dei morti che camminano.

Solo poche persone possono vederli e solo in alcuni giorni dell’anno. Nessuno sa dove vadano e perché. Del resto è noto: i morti non parlano. Nemmeno quando vanno in processione.
Procedono lenti in lunghe file. Talora sono interi eserciti, resti di legioni romane, orde barbariche o eserciti medievali, in marcia dietro una bandiera o un generale che hanno giurato di seguire fino agli inferi.
Talora sono anonime folle disarmate, che illuminano la strada con il fuoco che arde sulle mani. Punizione eterna per i loro peccati? Espiazione in attesa del giudizio? Difficile dirlo…
In tutta Europa gli avvistamenti di queste processioni di fantasmi sono innumerevoli. E non potevano mancare, naturalmente, nella Valle Strona, la valle più selvaggia del Cusio, dove le tradizioni fanno ancora parte del presente.

Si narra di una donna che, molti anni fa, rimase senza il fuoco. Era inverno e il camino spento pareva utile solo a convogliare nella casa il freddo della notte. Col marito in Germania a fare il peltraio e il bambino che piangeva nella culla, per la donna che abitava in quella casa isolata la notte si preannunciava più tetra del solito.
Così, quando dalla finestra vide le luci, uscì per chiedere a quelle persone se potessero darle un po’ di fuoco. Lo chiese alla prima, che camminava avvolta nel mantello nero, senza ottenere risposta. Lo chiese alla seconda, alla terza, alla quarta… senza ottenere nulla, fino all’ultima, che le diede una candela senza parlare.
La donna, felice, corse ad accendere il camino. Solo quando soffiò per spegnere la fiamma che aveva in mano, si accorse che non si trattava di una candela, ma di un dito. Inorridita lo lasciò cadere a terra, restando a fissarlo per molto tempo. Infine cedette alla stanchezza e andò a dormire.
Poco prima dell’alba fu svegliata da un bussare alla porta. Quando andò ad aprire trovò una figura ammantata che protendeva una mano scheletrica con sole quattro dita.
La donna corse in tutta fretta a raccogliere il dito e glielo diede. Poi rimase a guardare, incapace di muoversi, mentre quell’ombra si allontanava per accodarsi alle altre che scomparivano dietro la curva.

mercoledì 27 maggio 2009

Disfida 3 (beta). Due storie della fisica nei Paesi di mezzo

Ecco due storie di stregoneria, raccolte nei Paesi di Mezzo. Si credeva che certe persone potessero "fare la fisica", realizzando incantesimi per molestare la gente.

Il carretto e il muretto
L’alcool e la stanchezza alla guida provocano brutti effetti. Se poi ci si mette anche la “fisica”…
Un uomo di Boleto portava le pietre delle cave di granito col carro. I buoi conoscevano così bene la strada che spesso l’uomo dormiva, soprattutto alla sera quando rientrava a casa stanco per la lunga giornata.Poiché all’epoca nessuno aveva nemmeno immaginato l’etilometro e la patente a punti (per un carretto poi!) l’uomo era solito fare prima una lunga pausa all’osteria.«Un bicchiere di vino. Raso.»Raso voleva dire pieno fino all’orlo. E quando si diceva orlo si intendeva quello in cima al bicchiere, non quello un centimetro sotto! Doveva essere pieno al punto da fare fatica a non versarne nemmeno una goccia, quando lo si portava la prima volta alla bocca. Il che era anche un ottimo sistema per controllare quanto avevi bevuto e soprattutto quanto potevi ancora bere. Perché di bicchieri rasi ne andavano giù parecchi prima che i buoi potessero rimettersi in marcia.La maggior parte delle volte l’uomo aveva il sonno così conciliato dal vino da svegliarsi davanti alla porta di casa, più spesso per i rimbrotti della moglie che per naturale soprassalto di lucidità.Quella sera però si svegliò perché i buoi si erano arrestati, ma emettevano un verso strano. Davanti a loro c’era un muretto che sbarrava la strada. E non c’era spazio per girare, perché sui lati c’erano altri muri e piante.Allora l’uomo afferrò la livera, la leva di ferro che usava per spostare le pietre, e scese dal carro.Patapim! patapam! in breve cominciò a menare botte e a smontare il muro, finché aprì un varco nel muretto sufficiente a passare, lui, i buoi e il carretto.Il giorno dopo, si dice, incontrò il prete che zoppicava.«Come sta, don?» gli chiese.«Eh, così, così…»«La prossima volta, se non vuole zoppicare, se ne stia a casa di notte…»


La pecora
Chi lo dice che l’età porta la pace dei sensi? L’amore non ha età e ci sono persone pronte a fare qualsiasi cosa per conquistare la persona desiderata. Se poi ad innamorarsi è una strega…

Un giovane andava tutte le sere a trovare la fidanzata.Un bel giorno, lungo la strada, vide una pecora che belava e lo fissava, quasi invitandolo a seguirla.Le prime volte non gli diede peso, ma dopo alcune sere provò ad avvicinarsi. La pecora si lasciava accarezzare e anzi quasi pareva gli si strusciasse addosso, belando dolcemente.Così, dopo alcune sere, decise di prenderla e portarla a casa da sua madre. La pecora però non lo seguiva mai se lui si allontanava. Trascinarla a braccia era impossibile, così una sera salì portando con sé una corda. Però, non appena fece per avvicinarsi, la pecora spiccò un gran balzo, saltando il muretto di pietra e scomparendo nel bosco.La sera seguente, perché la pecora non si accorgesse della trappola, prese un rosario grosso, con la corda robusta e se lo mise in tasca. Quando la pecora si lasciò accarezzare, strusciandogli addosso, gli passò attorno al collo il rosario e con quella la trattenne. Quindi se ne tornò a casa con la pecora, chiudendola nel gabbiotto del maiale.Il mattino dopo disse alla madre: «Ti ho portato a casa una pecora».La madre, che lo conosceva bene, gli rispose: «Una pecora a casa! Ma smettila di fare il balordo!»Il figlio insisteva: «È vero ti dico! L’ho chiusa nel gabbiotto del maiale!»La madre, per levargli quella fissazione, lo seguì fino al gabbiotto, sospirando. Quando aprirono la porta si mise una mano sulla bocca, per non urlare.Dentro c’era una donna nuda. Era una vecchia di loro conoscenza, che faceva sempre tanti complimenti al giovane…

martedì 26 maggio 2009

Disfida 2 (beta). Due storie Casalesi

Vi propongo due storie che provengono da Casale Corte Cerro, comune composto da numerose frazioni, sovente impegnate a sbeffeggiarsi l’un l’altra. Entrambe le storie sono state raccolte, anni fa, dal Bunin di Casale.


Rimedi sicuri per riavere un bambino

La prima storia racconta la vicenda di una creatura leggendaria, una femmina selvatica, che viveva secondo la tradizione sopra il paese di Casale.


Quante volte le mamme esasperate hanno gridato: «Se non la smetti ti do via e ne prendo un altro!»
Immaginate ora di essere l’altra madre, quella vittima dello scambio…

Un fatto del genere è accaduto molto tempo fa a Casale Corte Cerro. Non mi riferisco, però a uno dei disgraziati casi descritti dalla cronaca nera.
Quel giorno, quando la madre ritornò alla culla quasi svenne vedendo al posto del suo bel bambino un piccolo mostro peloso dalla pelle scura e dura come il cuoio che la fissava con due grandi occhi da selvatico.
Non sapendo cosa fare e sospettando un incantesimo, prese il bambino e corse diritta dal prete. I preti si sa, fanno la “fisica”, la magia dotta. E possono quindi contrastare gli altri incantesimi.
Infatti, quando il prete vide la creatura comprese immediatamente cosa fosse accaduto.
«Ma questo è uno stregoncino! Deve essere il figlio della Cusc...»
Sopra Casale c’era una grotta, presso il luogo ove sorge ora il Getzemani, dove viveva una strana donna. Il suo corpo era peloso e il suo volto aveva poco di umano. Tutti pensavano che fosse una strega e dicevano fosse immortale, perché viveva in quel luogo da tempo immemorabile. Il suo nome era appunto Cusc.
«La Cusc deve aver partorito un piccolo stregoncino» spiegò il prete «ma vedendolo così brutto e peloso ha provato invidia per i bambini teneri e paffuti delle donne. Probabilmente viene a spiarvi mentre andate al riale a lavare i panni. Così, senza essere vista, si è avvicinata alla culla e, rapida come un gatto, ha preso il bambino sostituendolo con il proprio stregoncino.»
«Come posso fare a riavere il mio bambino?» domandò disperata la donna. «Io proprio non riesco a dare il seno a questa bestia e se penso al mio piccolo tra le mani di quella strega…»
«C’è solo una cosa da fare» l’ammonì il prete. «Torna a casa e non dargli nulla da mangiare. Lascia che pianga, finché la Cusc lo senta.»
La donna tornò a casa e fece come il prete le aveva detto. Quando il piccolo incominciò a strillare per la fame, la donna si tappò le orecchie per non sentirlo gridare. Forte, sempre più forte…
Finché la porta si spalancò e la Cusc entrò nella casa. Diede un fagotto con il bambino alla madre e corse alla culla afferrando lo stregoncino. Poi, stringendolo al petto, si dileguò rapidissima su per la montagna.





Inseguendo la luna

Il secondo racconto è ambientato a Montebuglio, luogo da cui si può osservare la luna sorgere da dietro il Mottarone. Anche in questo caso è una storia tradizionale, nata probabilmente per prendere in giro i Montebugliesi, considerati un po’ strani.. Ad ogni buon conto l’inseguire la luna diviene il simbolo della capacità di sognare.
Allora potremmo dire, come Edoardo Bennato (L’isola che non c’è): “E ti prendono in giro / se continui a cercarla / ma non darti per vinto perché / chi ci ha già rinunciato /
e ti ride alle spalle / forse è ancora più pazzo di te!”


Sembrava una normale sera quella sera a Montebuglio. Il piccolo abitato, una frazione di Casale Corte Cerro, vedeva ripetere il solito copione da parte dei frequentatori del circolo. Un bicchiere di vino, una partita a carte, una partita un bicchiere. Questa regola in realtà conosceva diverse varianti. C’era chi beveva un solo bicchiere per più partite e chi, per riequilibrare la media, più bicchieri nella stessa partita.

Ad ogni modo la tranquillità di quella sera venne scossa dall’unico uomo che non stava giocando. Se ne stava, come da un po’ di sere a quella parte, seduto a fissare il Mergozzolo. La montagna, che oggi è più nota come Mottarone, sta proprio di fronte a Montebuglio, dall’altra parte della valle.
«Eccola che sorge!» esclamò l’uomo indicando il bagliore che si alzava da dietro il monte.
«E allora?» rispose un altro che stava giocando. «È la luna che sorge…»
«Come è bella» continuò il primo. «Ed è così vicina che pare di poterla prendere… Basterebbe salire in cima al Mergozzolo.»
«Ma che dici?» rise l’altro. «Mica sta appoggiata sulla montagna!»
«Certo che no! Dovremmo avere delle scale. Delle scale lunghe e delle corde, per poterla legare. Ma si può fare, se solo riusciamo a sorprenderla mentre passa dietro la montagna.»
«Ma va là!» rispose l’altro, che come avrete capito era uno di quegli uomini che hanno smesso da tempo di sognare.
L’uomo della luna però non voleva rinunciare al suo sogno. Saltò sulla sedia e cominciò a parlare.
«Ascoltatemi tutti. Pensate come sarebbe bello avere la luna qui sopra il circolo. Vi farebbe luce mentre giocate e bevete. Si risparmierebbero le candele e poi tutti gli altri paesi ci invidierebbero un’insegna di quel genere.»
Continuò così per molto tempo, spiegando agli uomini seduti che la luna era là, pronta per essere presa se solo avessero avuto il coraggio di alzarsi e farlo. Disse loro che l’uomo non è fatto per vivere guardando a terra, ma che nelle stelle sta scritto il suo destino e al cielo deve quindi volgere il viso. Che una grande impresa va tentata anche se appare impossibile, anzi proprio perché sembra impossibile, altrimenti non sarebbe degna di essere ricordata.
Tanto parlò che alla fine un uomo si alzò in piedi e disse: «Per me va bene!»
Uno ad uno tutti gli uomini si alzarono. Tutti tranne lo scettico, che li guardava scuotendo la testa.
«Ci occorreranno scale! »
«Io porterò le corde!»
«Dovremo partire presto, per coglierla al momento giusto.»
«Saliremo da quella parte. Conosco io il sentiero. Saremo su in meno di quanto pensiate.»
Così, in preda all’euforia, gli uomini si diedero da fare per poter essere pronti la sera dopo per la più grande caccia che l’uomo avesse mai tentato. La caccia alla luna piena.

La sera successiva partirono di buon’ora, armati di scale, uncini e corde. Discesero nella valle, attraversarono la Strona e risalirono col passo veloce dei montanari il Mergozzolo. Col fiato in gola arrivarono sulla cima… giusto per vedere che la luna era già alta in cielo.
«Le nostre scale sono troppo corte.»
«E anche le corde…»
Così, scornati, se ne tornarono a Montebuglio.

Se pensate però che il sogno che inseguivano quegli uomini fosse la folle chimera di un pazzo vi sbagliate. Perché in un modo o nell’altro essi infine riuscirono a prendere la luna. Che ancora oggi fa bella mostra di sé sull’insegna del Circolo di Montebuglio.

lunedì 25 maggio 2009

Disfida 1 (beta): Inquietanti creature dei monti

Con questa prima disfida del secondo ciclo di storie affrontate, vi ripropongo le storie di due pericolose creature che infestano le montagne attorno al Lago d'Orta. Sono leggende raccontate dai vecchi, che a loro volta le ascoltarono da bambini.


L’Uriana

La prima storia è una leggenda della Valle Strona. Racconta di una misteriosa creatura delle acque, un babau utile a tenere lontani dall’acqua i bambini e talora anche i concorrenti da tenere alla larga.


Vive nelle acque dello Strona, ma non è un pesce.
È femmina, ma non è affascinante come una sirena.
Ha otto zampe, ma non è un ragno.

L’Uriana è vecchia, calva, brutta, ha gli occhi rossi e lunghi denti gialli e affilati, una lingua lunga che agita come una frusta, la parte inferiore del corpo coperta di squame.
Il suo cibo preferito? I bambini che si avvicinano troppo all’acqua.
«Stai lontano dall’acqua che l’Uriana ti mangia!» gridano le donne ai bambini che paiono irresistibilmente attratti dai viscidi sassi sulle sponde del torrente. «State molto lontani dalle rive, bambini, che esce l’Uriana col rastrello e vi tira dentro».

Molti giurano di averla vista emergere dalle acque gelide, con il suo aspetto spaventoso, i suoi artigli affilati, l’insaziabile fame di tenera carne di bambino. Lascia la grotta in cui, si dice, nasconde un tesoro favoloso, e si apposta nel fiume, col rastrello in mano, pronta a ghermire le sue prede.

L’Uriana però è di bocca buona e può accontentarsi anche di pesci, soprattutto quando i bambini si mostrano saggi e ubbidiscono agli ordini degli adulti. Per questo motivo infesta anche le lanche più pescose del torrente. Zone del torrente da cui anche gli adulti fanno bene a stare lontano. Così almeno raccontano certi pescatori…


Il pargolo rotolante dai dirupi

La seconda leggenda viene dalle montagne della Val Divedro, ma una creatura simile si aggira su pei monti del Cusio

Passeggiando sui monti della Val Divedro vi potrebbe capitare di vedere un bambino avvolto in fasce rotolare giù per un pendio; oppure trascinato dalla corrente impetuosa di un torrente. Piange, perde la fascia e urla disperato, facendo stringere il cuore.
È un istinto, un impulso irrefrenabile, soprattutto per le donne giovani e belle… che si ritrovano così avvinte tra le braccia di un giovane, biondo, audace e avvenente uomo.

Ora, prima che centinaia di donne in cerca di avventura si riversino da quelle parti a setacciare i torrenti e i pascoli, è bene dire una cosa: quella “cosa” è solo apparentemente “un giovane, biondo, audace e avvenente uomo”. In realtà è una creatura demoniaca, il cui scopo è quello di sedurre le donne specie - appunto - se giovani e belle, per riprodursi.

Il frutto di quei brevi momenti di passione alpestre però è, purtroppo, una creatura mostruosa, rivelatrice della vera natura dell’essere, così malvagio da far persino abortire le donne già in attesa per insediare, come un malefico cuculo, il proprio immondo discendente.

L’unico rimedio per tenere lontana tale orrida creatura, il cui nome è Vàina, è quello di tenere addosso almeno un oggetto benedetto.

domenica 24 maggio 2009

Una nuova disfida

Mentre va cooncludendosi la "Disfida del Mistero" tra le Pillole di Mistero scritte per Siamo in Onda, la prossima settimana vorrei riproporvi alcuni dei racconti apparsi sul blog ai suoi inizi.

All'epoca molti degli attuali lettori non conoscevano ancora questo blog e, in attesa di rendere più facilmente accessibile questo materiale, mi piacerebbe sottoporre alcuni di questi racconti al vostro giudizio.

Anche in questo caso userò la cornice della "disfida", indicando anche la fonte d'ispirazione o qualche nota curiosa per ciascuna storia.

I lettori più affezionati possono, se lo desiderano, suggerire alcuni "ripescaggi".

sabato 23 maggio 2009

La spia del lago

Nella notte del 6 dicembre 1944, il Maggiore William V. Holohan, comandante di una missione segreta dietro le linee nemiche incaricata di coordinare i rifornimenti alleati alle formazioni partigiane, scomparve misteriosamente a San Maurizio d'Opaglio, sul lago d'Orta.
Il racconto è anche un affettuoso omaggio ad un famoso giallista italiano, che i lettori del blog indovineranno facilmente...


Immaginatevi dicembre. E il freddo, un freddo cattivo in questo lembo d’Italia settentrionale. Perché lui, l’ufficiale dei servizi segreti americani paracadutato dietro le linee nazifasciste, se l’era sempre immaginata calda, l’Italia.
Immaginate che abbia trovato un rifugio sicuro in un angolo tranquillo del Lago d'Orta: una villa a cui non si può accedere che a piedi; che abbia con sé due sottoposti e due uomini di scorta. Gente che conosce bene i luoghi e che tiene una barca pronta per la fuga, in caso di pericolo.
Immaginate infine una valigia. Una valigia che l’ufficiale tiene sempre con sé e che contiene soldi, molti soldi. Milioni di dollari destinati alle formazioni dei resistenti. Perché la sua missione è prendere contatto, armarli e coordinare via radio i rifornimenti.
Come può l’ufficiale scomparire nel nulla durante un attacco nemico, senza essere catturato e senza che il suo cadavere venga rinvenuto?
Questo è il mistero che tormenta un altro uomo. C’è qualcosa che non quadra in quella strana storia e, in ogni caso, ritrovare almeno il cadavere di suo fratello diventa una missione. Così indaga, ascolta testimoni, scrive lettere, finché, come in ogni giallo che si rispetti, una di quelle lettere finisce nelle mani di un carabiniere.
E il carabiniere a sua volta inizia ad indagare, raccogliere elementi, interrogare fino a quando giunge la confessione. Il Maggiore non è caduto in combattimento, né è stato catturato. Ad ucciderlo, avvelenandolo e sparandogli due colpi in testa, a sprofondare il suo cadavere nel lago è stata la scorta che avrebbe dovuto proteggerlo.
È il lago dei misteri stesso a confermare quelle accuse. Le sue gelide acque profonde restituiscono, cinque anni dopo l’omicidio, il corpo incredibilmente conservato. Quasi avesse voluto preservare il cadavere come un dito puntato contro i suoi assassini.
Un sottile velo di nebbia, tuttavia, nasconde ancora il volto dei possibili mandanti.

venerdì 22 maggio 2009

Un lago in giallo


“Quella che stiamo per raccontare è una storia di puro semplice orrore, un mistero, naturalmente, un mistero misterioso”
Carlo Lucarelli, Cornelio: delitti d’autore



Il “giallo” è il colore del genere poliziesco (ma solo in Italia) fin da quando, nel 1929, Arnoldo Mondadori cominciò a pubblicare la collana “Il Giallo Mondadori”. In altri paesei il genere è definito “romanzo poliziesco”.

In che modo, si domanderanno gli acuti lettori di questo blog, il giallo si interseca con il Lago d’Orta? Le nobili ville cinte da alte mura sulle sponde, gli antichi conventi pieni di segreti, le operose borgate immerse nel verde che si specchiano nell’azzurro delle profonde acque del lago dei misteri sono lo scenario ideale per ambientare storie “gialle”.
E talora la realtà supera la fantasia e non sono narrativa i cadaveri o le armi recuperate dal lago. Un lago che può occultare e restituire, in modo sovente imprevedibile.

Domani a Siamo in Onda torneremo, con la consueta Pillola di Mistero, su un giallo che riguarda il Lago d’Orta. Uno dei tanti, ma anche uno dei più dimenticati.

Prima di annunciare la domanda posta dallo staff di Siamo in Onda, vi segnalo che “Cornelio, delitti d’autore” è un fumetto ideato da Carlo Lucarelli, Giuseppe Di Bernardo e Carlo Smocovich ( pubblicato da Star Comics) in cui uno scrittore in crisi, scrittore noir di successo, ma con il terrore della pagina bianca, si trova ad indagare su una serie di inquietanti misteri. Il protagonista (nel disegno) manco a dirlo ha una straordinaria somiglianza con un famoso e reale “giallista”…

Veniamo ora alla domanda dello staff di Siamo in Onda:

Se dovessi dare il cartellino giallo a qualcuno, a chi lo daresti?

Se volete potete rispondere anche inviando un sms al n. 389 9696960 o una mail a diretta@puntoradio.net

giovedì 21 maggio 2009

Disfida 5 – Magici incontri ai confini del sogno

Due racconti scritti per Siamo in Onda, in cui la magia del popolo fatato è protagonista.


La grotta del sogno

La prima pillola di mistero, che parte dal tema "sogno", è ispirata alla famosa leggenda della grotta delle fate, che si aprirebbe ogni cento anni ai piedi della rocca si Angera (VA). Una storia ispirata a questa credenza è stata pubblicata in “Storie e leggende tra due laghi”. Ho voluto trarne anch'io una storia per omaggiare il lavoro di ricerca fatto da chi prima di me si è occupato di leggende e misteri.



Aprì gli occhi all’improvviso. Pensò con sollievo che era stato solo un sogno, ma quando si mise a sedere comprese il suo errore. Ai piedi del letto c’era la borsa. L’aprì con timore: come sapeva era piena di monete d’oro. Si prese la testa tra le mani e pianse, vedendo che non aveva sognato…
Girovagando per i boschi si era trovato, senza sapere bene come, ai piedi della rocca. Aveva trovato un posto delizioso all’ombra, così si era sdraiato per schiacciare un pisolino. Si era appena addormentato quando era stato svegliato da una voce suadente.
«Vieni, entra nella caverna.»
Alzatosi, aveva visto davanti a sé, dove prima c’era solida roccia, una grande apertura. Incuriosito, si era diretto verso la luce che vedeva dinnanzi a sé. Era giunto infine in una sala sotterranea, al centro della quale si trovavano un campanaccio di ferro, una borsa piena di monete d’oro e un letto su cui giaceva una donna addormentata.
«Puoi prendere una sola cosa» disse la voce. «Il campanaccio farà moltiplicare il tuo gregge, la borsa contiene un tesoro inestimabile e sul letto giace la donna più bella del mondo. Questa scelta è data solo ogni cento anni ad un mortale. Scegli con giudizio, se puoi.»
Aveva riflettuto, guardando ora l’uno ora l’altro dei regali che gli venivano offerti. Aveva scartato subito il campanaccio, perché non era un contadino. Aveva guardato a lungo la donna, che dormiva coperta da un lenzuolo, con gli occhi chiusi su un sogno che a lui non era dato vedere. Era stato incerto a lungo, ma alla fine aveva scelto, prendendo la borsa. Con quella ne avrebbe avute mille di donne!
In quel preciso istante il campanaccio aveva suonato e la donna aveva aperto gli occhi. Li aveva visti passare in un istante dalla sorpresa alla speranza e dal desiderio alla delusione. L’ultima impressione rimastagli di quegli occhi bellissimi era il silenzioso rimprovero per aver rinunciato al grande amore della sua vita.



La voce è quella di Marco l'Equi Librista



Le Creature del Piccolo Popolo

Partendo dal tema “Fortuna/sfortuna” questa Pillola di Mistero ci porta ad incontrare delle creature fatate, che secondo le leggende popolano il nostro territorio sfuggendo per lo più il contatto con gli esseri umani. Incontrarli può essere una gran fortuna, se ci rivelano i loro segreti, ma anche un’enorme sfortuna, perché sanno essere dispettosi e crudeli.


Occorre molta fortuna per vederli, ma può essere una maledetta sfortuna incontrarli.
Non hanno ombra, non lasciano tracce sul terreno, possono svanire come fumo o diventare invisibili. Sono permalosi, golosi, dispettosi, ma possono essere anche crudeli e malefici.
Talora li si può vedere sotto forma di fiammelle che danzano nell’aria scura della notte o alla luce del crepuscolo; o anche come vortici di vento che attraversano i campi, mulinando foglie ed erba secca.
Sono i Folletti!
Sono detti anche Creature del Piccolo Popolo e sono divisi in oltre un centinaio di stirpi, con caratteristiche e zone di azione molto differenti.
Ci sono folletti sostanzialmente buoni che possono aiutare nelle faccende domestiche. Altri sono dispettosi e fanno sparire gli oggetti nelle case (con una predilezione per la calza sinistra). Altri sono cattivi e di notte siedono sul petto dei dormienti per provocare incubi angosciosi. Alcuni sono così malvagi che ben pochi di coloro che li hanno incontrati hanno avuto la fortuna di poterlo raccontare.
Farseli amici, in certi casi, è davvero una fortuna. Molti di essi nascondono immensi tesori e possono farli trovare ai loro amici umani.
Non dite, però, che i folletti non esistono. Ogni volta che un umano pronuncia queste parole, infatti, un folletto muore…



La voce è quella di Marco l'Equi Librista

mercoledì 20 maggio 2009

Disfida 4 – Inquietanti incontri

Due Pillole di Mistero scritte per Siamo in Onda che trattano di incontri misteriosi nella notte, raccontati da due amici di Alfa, il Filosofo e l’Intortatore. Al primo capitano sovente incontri con entità misteriose e nel racconto ci narra che questa peculiarità risale ai suoi antenati. L’Intortatore è, invece, il tipico play boy di provincia, assolutamente convinto di essere irresistibile. Le sue storie, raccontate agli amici durante gli aperitivi, hanno però di solito un finale decisamente diverso da quello che il seduttore aveva previsto.



La scelta

Il racconto è ispirato ad una storia ascoltata da un’anziana donna e affronta il tema del “Destino”. L’ambientazione è nel bosco, teatro usuale per le leggende e i racconti misteriosi. Ci sono infatti luoghi, nelle paludi e nei boschi, che è bene attraversare con gli occhi ben aperti. Il finale è, volutamente, aperto. Ci sono scelte che sta a noi compiere, per quanto ignota sia la sorte che ci riservano. E se non sappiamo cosa riserverà il destino, possiamo decidere come affrontarlo.


È il mio amico Filosofo a raccontarmi questa storia.
“Alla metà dell’Ottocento un uomo aveva un alpeggio sul Mottarone. Poiché le bestie erano sorvegliate da un alpigiano, egli preferiva risiedere a Gozzano, salendo all’alpe ogni due giorni. Partiva la mattina presto, ben sapendo che il cavallo ormai conosceva la strada. In questo modo poteva ancora schiacciare un pisolino durante il tragitto.
Anche quella mattina sellò l’animale sbadigliando e partì, addormentandosi poco dopo, come suo solito. Fu svegliato all’improvviso da un nitrito del cavallo. Si trovava nel mezzo di un bosco, in corrispondenza di un incrocio. Stranamente non ricordava di essere mai stato in quel posto prima e anche il cavallo dava segni di nervosismo.
«Sta a te scegliere!»
La voce fece impennare l’animale e rizzare i capelli all’uomo, che si aggrappò alle redini, stringendo le gambe per riprendere il controllo. Da dietro un albero comparve una sagoma scura, che indossava un cappello a cilindro e un vestito nero.
«Cosa scegli?» domandò di nuovo la figura. «Puoi svoltare a destra, proseguire diritto o svoltare a sinistra, ma non puoi più tornare indietro.»
L’uomo guardò allarmato dietro le spalle e vide che il sentiero stava svanendo, inghiottito da una nebbia così scura e minacciosa da fargli accapponare la pelle.
«Sta a te scegliere» ripeté per l’ultima volta l’essere. «Sappi che una strada, non ti è lecito sapere quale, ti consentirà di raggiungere la tua meta; un’altra ti farà trovare un tesoro favoloso; ma guai a te se sceglierai la terza!»
«Cosa mi accadrebbe?» domandò allarmato l’uomo, che era il mio trisavolo.
«Se la prenderai» gridò la figura prima di svanire «sarete maledetti tu e i tuoi discendenti per sette generazioni!»
L’uomo non poteva sapere quale fosse la direzione giusta, ma una cosa sapeva con certezza: se non la meta, poteva decidere il modo. Spronò il cavallo e scelse la sua via, a tutta velocità.




La voce è quella di Marco l’Equi Librista



La pupa e il motore

Il tema è “donne e motori”. La storia è la classica leggenda metropolitana dell’autostoppista fantasma. In questo caso però l’ambientazione è cusiana. Sulla strada che da Arona conduce al lago d’Orta esiste una palude, la famigerata palude di Invorio. E poco distante c’è un piccolo cimitero, ai piedi dell’antica chiesetta di San martino d’Ingravo. Qui, in tempi antichi sorgeva un paese, Ingravo, scomparso misteriosamente nel nulla.


Stavo salendo sulla mia nuova Porsche, fuori dal solito bar di Arona, quando la vidi. Una pupa di quelle che ti lasciano a bocca aperta. Carrozzeria da urlo, accessoriata al punto giusto, sguardo smarrito.
«Puoi darmi un passaggio?» mi chiede «Dovrei tornare a casa…»
«Ti porto anche in Paradiso, se vuoi!» le rispondo.
La faccio salire, aprendole la portiera. Un po’ di cavalleria non guasta per creare la giusta atmosfera. Le chiedo dove abita.
«A Bolzano» mi risponde con un filo di voce.
Sfodero uno dei miei sorrisi scioglicuore, ingrano la marcia e parto sgommando.
Mentre i fari squarciano le tenebre davanti a noi, inizio ad accordare le distanze tra di noi. Il motore è la musica che fa da sottofondo al canto delle mie parole, che la carezzano gentilmente, tessendo attorno all’uccellino una rete da cui non potrà fuggire. La vedo giocherellare con una ciocca di capelli, segno inequivocabile che le mie parole stanno centrando il bersaglio.
Stiamo uscendo da Invorio quando parla nuovamente.
«Voi uomini avete parole dolci, ma i vostri gesti, poi, ci feriscono…»
Rimango un po’ sorpreso da quelle parole, ma non mi scoraggio. Se fosse mia abitudine fermarmi alle prime difficoltà non avrei il carniere pieno di prede.
Mentre infilo le curve lungo la palude assesto i colpi definitivi, dicendo quelle parole a cui nessuna donna potrà mai resistere. Quando imbocco la salita, dopo il ponte sull’Agogna, sono certo di averla in pugno.
«Fermati qui» mi dice, infatti, poco dopo l’ultima curva.
«Davanti al cimitero?» domando ironico.
«Sono arrivata. Non vuoi scendere da me?»
In quel momento sento un brivido gelato. Mi volto verso di lei, ma non vedo nessuno.
Il giorno successivo ho dovuto far cambiare il sedile della macchina…





La voce è sempre quella di Marco l’Equi Librista

martedì 19 maggio 2009

Disfida 3 – Luoghi inquietanti

Oggi confrontiamo due Pillole di Mistero che hanno a che fare con due luoghi molto diversi: la Rocca che si erge superba sulla rupe di Angera e un antico mulino di cui oggi non restano che rovine.


Bambole

Una Pillola di Mistero che si muove sul tema “bambole” ripercorrendo la storia di queste creature dalle sembianze umane, talora molto inquietanti. La presenza di un “Museo della bambola” nella rocca di Angera rappresenta il collegamento con il nostro territorio. Una presenza discreta, ma non per questo meno, sottilmente, preoccupante, se si pensa all’esercito di bambole ivi asserragliato.


Sono belle, bellissime, e sanno di esserlo. Hanno il sorriso crudele di chi sa di essere ammirata, ma intoccabile. Le accogliamo nelle nostre case per divertire i nostri figli. Se ne stanno lì a fissarci con occhi immobili che non ci perdono mai di vista. Ci osservano di giorno, ma soprattutto di notte. Vegliano su di noi o forse ci sorvegliano attendendo solo il momento giusto.
Le bambole sono antiche quanto la nostra specie. Erano già con noi nelle caverne. Gli Egizi, i Greci e i Romani le costruivano per le loro bambine. Anche gli antichi druidi costruivano enormi bambole, o fantocci, di vimini. Poi li riempivano di esseri umani e appiccavano il fuoco per propiziarsi la sorte.
C’è chi sospetta che mentre dormiamo esse possano prendere vita e aggirarsi attorno a noi nell’oscurità. Nessuno, tuttavia, è mai riuscito a sorprenderne una mentre lo faceva. Forse per questo le bambole sono usate dalle streghe per i loro crudeli riti. Si crede infatti che gli spiriti inquieti possano trovare dimora in esse, in attesa di poter passare in un corpo più accogliente.
Ci sono molte case piene di bambole, ma nessuna è pari alla Rocca di Angera. C’è un intero esercito schierato lì dentro, come in attesa di un burattinaio che impartisca l’ordine di mettersi in marcia. Se amate le bambole vi consiglio di visitare questo museo. Solamente, non fatelo dopo la mezzanotte…




La voce in questo caso è quella di Fulvio Julita.


La farina del Diavolo

Ci sono luoghi, paesi, nazioni per il cui possesso gli uomini sono disposti ad ingannare, rubare o uccidere e persino ricorrere ad alleati che sarebbe meglio non invocare. La brama sfrenata di denaro, potere e sesso è la farina che macina perennemente il mulino infernale. La farina del diavolo, tuttavia, va in crusca e il patto col demonio porta alla rovina chi lo sottoscrive. Insomma, cibarsene nuoce gravemente alla salute… dell’anima.


Sulle colline attorno al lago esiste un mulino di cui non vi dirò il nome, perché troppo sfortunata è la memoria di quel luogo.
Il mulino era uno dei più belli e ricchi della zona. Ci viveva un mugnaio che aveva due figli. Alla sua morte lasciò il mulino al figlio maggiore, mentre il minore fu mandato in convento, così da lasciare indivisa la proprietà. Il ragazzo però non ne voleva sapere della vita monastica. Si era anzi messo in testa che il mulino dovesse essere suo a tutti i costi. Per una questione di principio prima ancora che di interesse.
Una volta adulto gettò la tonaca alle ortiche. Tutti pensavano che presto la fame l’avrebbe spinto a ritornare tra i frati, invece l’uomo cominciò subito a spendere soldi a destra e a manca. Nessuno sapeva come facesse e da dove li prendesse, ma più spendeva e più pareva averne. Col denaro conquistò rapidamente una notevole influenza e riuscì a farsi eleggere a varie cariche. Ricchezza e potere gli attrassero, naturalmente, molte donne.
Fu allora che cominciarono a circolare strane voci. Alcune delle donne che l’avevano frequentato ebbero strani incidenti. Alcune impazzirono. Altre raccontarono di cose misteriose e terribili che avevano visto nella sua casa.
Nessuno tuttavia prestò fede a queste dicerie, finché il fratello maggiore morì improvvisamente. Chi vide il suo cadavere giurò che sul suo volto c’era un’espressione di terrore assoluto.
Il mulino passò al fratello minore, che poteva finalmente coronare il suo sogno. Proprio allora, però, come per magia, tutta la sua fortuna svanì. Perse rapidamente tutti i soldi e i creditori divennero numerosi.
Infine la donna che viveva con lui venne trovata morta in un bosco, orribilmente assassinata. Il giudice ordinò di arrestare l’uomo. Quando le guardie andarono per prenderlo, lo sentirono urlare da dentro il mulino: «Mi hai ingannato, maledetto!»
Allora sfondarono la porta ed entrarono, ma trovarono solo il suo cadavere penzolante da una corda.




La voce è quella di Marco l’Equi Librista.

lunedì 18 maggio 2009

Disfida 2 - Il coraggio e la paura

A confronto due “Pillole di Mistero” sul tema della paura. Paure arcaiche che diventano improvvisamente concrete, costringendoci a guardare dentro noi stessi, per scoprirci eroi o vigliacchi.


“La caccia infinita” ovvero “La Bestia che si aggira nelle tenebre”.

Il tema proposto da Siamo in Onda era “Giro d’Italia”.

Mi è tornata in mente, a questo proposito, una storia antica. Una storia di improvvise esplosioni di violenza attribuite, nei secoli passati, ad una misteriosa “bestia” a lungo cacciata e mai realmente presa. Una lunga scia di sangue che si aggirava per l’Italia e l’Europa e che si intrecciava, spesso sovrapponendosi, ai tanti assalti attribuiti, a torto o a ragione, ai lupi.

Talora però le dimensioni o la descrizione fornita da vittime miracolosamente scampate all’assalto, individuavano in una misteriosa “Bestia” la responsabile delle aggressioni.
Alcuni di questi assalti furono particolarmente celebri, come quello della Bestia di Milano, che colpì tra il 1792 e il 1794 o quella, ancora più famosa Bête du Gévaudan che terrorizzò la zona del Gévaudan, tra il 1764 e il 1767. Quest’ultima vicenda ha ispirato anche dei film, l’ultimo dei quali è “Il patto dei lupi” con Vincent Cassel e Monica Bellucci.

Bestie che colpivano e scomparivano nelle tenebre, suscitando ondate di panico tra la popolazione, fino a che la cattura di un qualche grosso lupo metteva la parola fine a vicende piene di dubbi e mistero. Finché la Bestia non tornava a colpire in un altro luogo…

Così, quando circa un anno fa, ad Arona, qualcosa ha saltato un recinto…


E’ accaduto.
Avremmo dovuto saperlo. No, avremmo potuto saperlo se tanti anni di assenza non ne avessero cancellato persino il ricordo. I vecchi sapevano della sua esistenza, ma sono passati così tanti anni da quando abbiamo smesso di prestar fede alle storie dei vecchi…
Persino i più anziani non ricordano di averne mai sentito parlare.
Un tempo era diverso. Al calar del sole ci si serrava dentro le cascine, sprangando le porte, chiudendo le ante di finestre munite di solide sbarre. Soltanto gli uomini più coraggiosi osavano uscire fuori, nelle tenebre.
Dentro, accanto al fuoco e nelle stalle, i vecchi raccontavano alle donne e ai bambini di occhi che brillano nel buio; di artigli che lacerano la carne e zanne che squarciano la gola; della Bestia che si aggira nelle tenebre in cerca di preda; delle grandi cacce organizzate per stanare la Bestia; dei latrati dei cani; delle armi nervosamente strette tra le mani; delle trappole nascoste nelle foglie.

Tutto inutile.

La Bestia spariva, dopo aver lasciato una lunga striscia di sangue. Talora un lupo o un orso, quando ancora ce n’erano, o un cane idrofobo, finivano nella trappola, ma i racconti dei testimoni non coincidevano mai con la fredda realtà di un cadavere.
Le zampe erano troppo piccole, le fauci meno feroci e lo sguardo, no, lo sguardo era diverso.
E poi, come a confermare quel sospetto, a distanza di chilometri, talora di anni, una nuova esplosione di violenza, una nuova caccia, una nuova preda insoddisfacente…
È accaduto. Qualcosa è entrato in un recinto, saltando una rete alta due metri e sgozzando sei daini. Qualche giorno prima era toccato a tre caprette.
Si parla di un cane. No, quegli artigli non sono da cane, sono da felino.
È una lince, misteriosamente tornata dopo un esilio centenario. No, una lince non può fare quel macello. Deve essere una pantera, una tigre, forse fuggita da un circo o da uno zoo clandestino… Di nuovo si tendono trappole, si preparano battute, col timore che la bestia possa attaccare di nuovo.

E la caccia infinita riprende...




La voce è quella di Marco l'Equi Librista.



“La culla”

C’è un luogo, appena sotto Invorio, in cui sono situati molti inquietanti racconti. Si mormora che ai margini della palude le streghe compiano i loro crudeli riti e che sia pericoloso transitarvi di notte.
Il tema della puntata di Siamo in Onda era “il coraggio e la paura”. Mi sono divertito ad immaginare la storia di un uomo forte coi deboli e sempre pronto a celebrare se stesso. Un uomo che scopre, nel buio della notte davanti ad una culla, di essere molto meno coraggioso di quanto sosteneva di essere.



Il Rosso non aveva paura del buio. Tanto meno delle favole che circolavano sulle sinistre presenze nella palude sotto Invorio….
«Tutte sciocchezze!» sbuffò e picchiò il pugno sul tavolo dell’osteria. «Siamo nel Ventesimo secolo e ancora credete a queste cose da medioevo. Streghe, diavoli, fantasmi! Vorrei proprio vederli! Chissà come mai a me non si manifestano mai. Eppure passo sempre di lì.»
«Il Peppo li ha visti» mormorò il Togn, stringendo nervosamente le carte nelle mani. «E anche la Maria…»
«Un ubriacone e una donna isterica» la risata del Rosso rimbombò nella sala piena di fumo.
Era grande e grosso e ben pochi osavano discutere con lui, specie quando aveva bevuto un paio di bicchieri. Non ci metteva molto a menare le mani, come ben sapeva quella santa donna di sua moglie. Nessuno osò sostenere la sfida del Rosso, che cercava sempre qualcuno così stupido da contraddirlo. Solo gli occhi del vecchio Ferro non si abbassarono come canne piegate dal vento davanti al suo sguardo.
«Spera che non ti sentano loro» aveva detto solamente.
«Devono solo provarci a fare la fisica a me!» ruggì il Rosso.
Il Ferro sputò per terra ed tornò ad immergersi nel proprio sigaro. Nella Grande Guerra era stato un Ardito, era stato decorato e aveva perso una gamba. Non doveva dimostrare niente a nessuno. Così il Rosso se n’era andato, sbattendo la porta. Alcuni pensarono che quella sarebbe stata una brutta notte per sua moglie.

Il Rosso s’incamminò verso casa, lungo la strada che costeggiava la palude. Dietro una curva, improvvisamente, sentì il pianto di un bambino. Incuriosito si avvicinò e vide una culla, da cui provenivano i lamenti. Allora si fece avanti, per vedere chi fosse il bambino abbandonato.
Appena si sporse sopra la culla vide una testa colossale, che lo fissava con gli occhi gialli ed emetteva urla dalla bocca enorme.
Allora il Rosso fuggì a gambe levate fino a casa e la moglie ebbe il suo daffare per calmarlo, come un bambino spaventato, e metterlo a letto.



La voce è sempre quella di Marco l'Equi Librista

domenica 17 maggio 2009

Disfida 1 - Oscurità

Le prima disfida vede confrontarsi due "Pillole di mistero" ambientate nell'oscurità della notte.


Occhi gialli nell'oscurità.

Il racconto nasce da una testimonianza contenuta nel libro Paesi di mezzo.
Ho voluto raccontare questa storia, che mette insieme vicende vissute, racconti d'osteria e paure ancestrali.
E' la paura del buio e del timore verso i preti, custodi di un potere vissuto come incomprensibile ed esoterico, a costituire la base del racconto. Si credeva infatti che i preti potessero "fare la fisica" trasformandosi in animali o agendo sulle cose.
In questo caso la forza dell'amore e della giovinezza si rivelano più forti di qualsiasi ostacolo.

Il tema della puntata era "occhi".


Era un giovane coraggioso; uno di quelli che non avevano paura a camminare di notte, nelle tenebre. E poi aveva ottime ragioni per salire fino all’alpe: c’era la sua morosa lassù e aveva voglia di vederla per fare all’amore con lei.
Camminava veloce, risalendo il sentiero come un salmone un torrente. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo, nemmeno il diavolo in persona.
Forse questo l’aveva pure detto all’osteria, bevendo l’ultimo bicchiere prima di mettersi in cammino. O forse qualcuno del paese aveva deciso che quel ragazzo di fuori non doveva venire a parlare con una di loro, ma temendo di affrontarlo di persona aveva deciso di chiedere aiuto a qualcuno in grado di evocare un pauroso potere…
Sia come sia, nelle tenebre iniziò a vedere due occhi gialli che lo fissavano, in mezzo alla strada. Rallentò il passo: dalla nera sagoma del cane cominciò a provenire un ringhiare sordo. Avanzò e la bestia indietreggiò, ringhiando più forte. Faceva alcuni passi indietro, ma poi ringhiava più forte di prima, con l’aria di volergli saltare alla gola.
Allora il giovane, che temeva di arrivare tardi e trovare tutti ormai a letto e la morosa sotto le coperte a piangere, si arrabbiò così tanto che con pochi salti fu davanti al cane e gli sferrò un calcio così forte che lo fece guaire. La bestia fuggì zoppicando e gemendo, svanendo nelle tenebre.
Il giorno dopo il giovane seppe che il prete aveva un braccio rotto.





La voce è quella di Marco l'Equi Librista.



L'armata delle tenebre
Il racconto prende spunto da un fatto raccontatomi da mio zio, una tempesta di fulmini che si abbatte sulle collini del lago d'Orta. Ho voluto immaginare che, nel bel mezzo di una simile tempesta tempesta, qualcuno bussi alla porta...
La leggenda di Hellequin e dell'armata di morit che lo seguirebbe ha origini molto antiche.
Si ritiene che affondino nei miti scandinavi, quando il dio Odino mandava le Valchirie, sotto forma di corvi, a raccogliere le anime dei valorosi morti sui campi di battaglia.

Di una dea corvo che esalta il valore dei guerrieri si parla però anche nei miti celtici, a proposito della dea Morrigan, il "Corvo della battaglia", dea splendida e terrificante, che incita gli uomini all'odio in battaglia, ma anche al furore sessuale.

Il tema della puntata di Siamo in Onda era "Paura".


Il vecchio guardò fuori dalla finestra. Di solito non aveva paura dei tuoni, ma quello non era un normale temporale. Sulle montagne tra il Cusio e la Valsesia c’era un’autentica tempesta di fulmini, che illuminava a giorno il cielo. Il cane, suo unico compagno in quel paese deserto era scomparso, lasciandolo solo sotto il rombo continuo dei tuoni.
Quel rumore gli ricordava la guerra. Per questo, forse, si fece viva invece quell’antica ferita. Una bella fortuna, gli avevano detto i dottori, all’epoca. La fortuna di essere l’unico sopravvissuto all’esplosione di quella maledetta granata che aveva disintegrato i suoi ragazzi.
Fu allora che iniziò a vederli. All’inizio gli erano parsi alberi agitati dal vento ma ora distingueva gli stendardi sotto i quali avanzavano. Entrarono lentamente nel giardino, fino a circondare la casa. Con un brivido di paura vide dragoni e ussari, legionari romani e samurai giapponesi, giannizzeri turchi e opliti spartani, picchieri svizzeri e lanzi tedeschi, cavalieri teutonici e arcieri inglesi... I valorosi di tutte le epoche, fianco a fianco, coi volti d’un pallore cadaverico lo fissavano con orbite vuote.
Li guidava, su un cavallo nero come la notte, un gigante dagli abiti variopinti, con un cappellaccio in testa e una vistosa benda su un occhio. Sulle sue spalle stavano appollaiati due corvi e ai suo fianchi cavalcavano due valchirie.
Bussarono alla porta.
«Hellequin, il gran condottiero dell’Armata dei Morti è qui per te!»
Il vecchio non aveva più paura ora. Corse in soffitta, aprì il baule, indossò l’uniforme e cinse la sciabola da ufficiale. Infine apri la porta, per unirsi a loro.




La voce è ancora quella di Marco l'Equi Librista.

sabato 16 maggio 2009

La disfida del mistero

Le "Pillole di Mistero" nascono dalla collaborazione tra Il lago dei misteri e Siamo in Onda.
Durante il Talk show, settimanalmente nel 2008 e ogni quindici giorni nel 2009, viene letta una Pillola di Mistero.
I lettori si alternano, anche sulla base del contenuto. La maggior parte dei racconti è stata letta da Marco l’Equi Librista, ma altri sono stati interpretati da Fulvio Julita, la Gabri, Ivano Balabio e Cristina Medina.
L’audio della trasmissione è poi utilizzato per montare brevi video che pubblico sul canale You Tube de Il Lago dei Misteri.

Ora, mi è stato proposto di selezionare alcune “pillole” per un progetto di cui vi parlerò dettagliatamente più avanti. E naturalmente vorrei chiedere la vostra collaborazione per la scelta.

Di seguito trovate l’elenco delle “Pillole”.

Pillole di Mistero 2008:

1. La Dama di Ghiaccio. Venerdì 23 maggio 2008:
2. I due muratori. Sabato 31 maggio 2008.
3. La caccia infinita. Sabato 7 giugno 2008.
4. Le Creature del Piccolo Popolo. Sabato 14 giugno 2008
5. Le Grazie. Sabato 11 ottobre 2008.
6. Occhi gialli nell'oscurità. Sabato 18 ottobre 2008.
7. La guardia sul colle. Sabato 25 ottobre 2008
8. L’armata delle tenebre. Sabato 1 novembre 2008
9. La grotta del sogno. Sabato 8 novembre 2008
10. Le streghe di Sambughetto. Sabato 15 novembre 2008
11. La pupa e il motore. Sabato 22 novembre 2008
12. La potenza della Vipera. Sabato 29 novembre 2008
13. La farina del Diavolo. Sabato 6 dicembre 2008
14. Il labirinto dell’oscurità. Sabato 13 dicembre 2008
15. Babbo Natale esiste! Sabato 20 dicembre 2008


Pillole di Mistero 2009:

1. La culla. Sabato 24 gennaio 2009
2. La scelta. Sabato 7 febbraio 2009
3. La Maria del sasso. Sabato 14 febbraio 2009
4. Bambole. Sabato 28 febbraio 2009
5. Niente è gratuito. Sabato 14 marzo 2009
6. Rotaie nella brughiera. Sabato 28 marzo 2009
7. Luci nella notte. Sabato 11 aprile 2009
8. Vento di libertà. Sabato 25 aprile 2009
9. Wolverine in Valle Strona. Sabato 9 maggio 2009

Di queste ventiquattro storie ne sono state selezionate otto, che vi proporrò per una sorta di incontro scontro, chiedendovi di indicare la vostra preferita.


Questi saranno i confronti

“L’armata delle tenebre” vs “Occhi gialli nell'oscurità”
“La caccia infinita” vs “La culla”
“Bambole” vs “La farina del diavolo”
“La scelta”
vs “La pupa e il motore”

Inoltre, se lo riterrete, potrete ripescare (entro mercoledì) fino a due pillole tra quelle non indicate in questo elenco e proporle alla sfida.

Contemporaneamente potete votare in modo anonimo nel sondaggio a destra.

Attendo i vostri giudizi...

venerdì 15 maggio 2009

Diario



Caro Diario,

Scusa se ti ho un po’ trascurato negli ultimi tempi, ma tra il lavoro e i vari impegni… beh, sai benissimo come vanno queste cose…

Comunque, venendo a noi…


Negli scorsi giorni lo Staff di Siamo in onda mi ha fatto una proposta molto bella, di cui presto parlerò ai lettori del mio blog. Una proposta che riguarda le Pillole di Mistero scritte per Siamo in Onda e lette su Puntoradio.
In attesa di poterne parlare voglio pubblicare oggi sul blog il quesito che lo staff di siamo in Onda sottopone agli ascoltatori e ai lettori di questo blog.

I commenti lasciati a questo post oppure quelli mandati a mezzo sms al n. 389.9696960 (o inviati a diretta@puntoradio.net), saranno letti in diretta durante la trasmissione di sabato 16 maggio dalle 21 alle 24 e in replica martedì sera.

Anche i lettori più lontani potranno ascoltare il talk show collegandosi al sito www.puntoradio.mobi.

Se il tuo diario segreto potesse parlare... cosa direbbe di te?

giovedì 14 maggio 2009

La Valle delle Leggende


A maggio torna “La Valle delle Leggende”, grande caccia al tesoro della Valle Grana, organizzata dall’Associazione culturale La Cevitou.
L’iniziativa, nata lo scorso anno, ha lo scopo di valorizzare il territorio facendo conoscere alcuni luoghi ormai dimenticati della Valle Grana.
La scorsa edizione, nonostante le difficoltà dovute all’alluvione, ha riscontrato un buon successo di pubblico di tutte le fasce d’età.
Scopo del concorso è quello di individuare e fotografare alcuni luoghi nascosti della valle grazie all’aiuto delle leggende che saranno fornite, assieme alla mappa, al momento dell’iscrizione.
A legare le leggende ed aiutare i concorrenti sarà il racconto di Jacques, un cataro che percorrerà tutta la valle imbattendosi nei vari siti e fornendo descrizioni importanti sui luoghi da trovare. Questi dovranno essere immortalati in modo artistico.
I vincitori dello scorso anno si sono distinti per capacità di osservazione, ambientazione fantasiosa, inquadrature particolari, simpatia e voglia di mettersi in gioco in modo scherzoso: importante è quindi armarsi di curiosità e creatività.
La nuova edizione del concorso, che, ricordiamo, è aperto a tutti, si presenta con un’impostazione trasformata ed avvincente.
Il numero di leggende da individuare è sceso a cinque ed è sufficiente scoprire due luoghi per poter partecipare alla valutazione della giuria. Inoltre i partecipanti, lasciando la loro e-mail al momento dell’iscrizione, verranno contattati periodicamente per ottenere informazioni sui percorsi o curiosità sulle località toccate dalla mappa.
Si è pensato di indicare il livello di difficoltà di ogni sito per favorire le famiglie, chi non è esperto di camminate in montagna o, semplicemente, chi non conosce la valle.
L’elenco dei luoghi da trovare contiene un sito misterioso che i concorrenti dovranno scoprire attraverso l’uso della speciale mappa, del racconto e, volendo, aiutandosi con cartine o domandando alla gente del luogo: ogni mezzo è valido!
Le fotografie potranno essere consegnate a scelta presso BEICO – Filatoio Rosso di Caraglio – sabato e domenica dalle 15 alle 19, a mano o mediante chiavetta USB, oppure spedite via e-mail all’indirizzo lavalledelleleggende@libero.it.

Le opere ammesse potranno essere esposte al pubblico presso il Filatoio di Caraglio al termine del concorso.

La caccia al tesoro ha una durata di cinque mesi per offrire ai partecipanti il tempo necessario per trovare con comodità i luoghi nascosti.

L’iscrizione può essere effettuata dal 9 maggio al 25 settembre al Filatoio Rosso di Caraglio, presso Beico (sabato e domenica dalle 15.00 alle19. 00), oppure presso la trattoria Aquila Nera di Monterosso Grana, versando una quota di 5 euro a persona. I concorrenti riceveranno, insieme al materiale necessario per scoprire i luoghi nascosti, la tessera omaggio dell’Associazione.

La premiazione avverrà nel mese di novembre, in occasione della festa annuale dell’Associazione. In palio ricchi premi legati alle tradizioni della Valle Grana.

Per informazioni: e-mail lavalledelleleggende@libero.it

Tel. 333.3234452


Fonte:
Associazione culturale La Cevitou
fraz. San Pietro, 89
12020 Monterosso Grana, CN
www.lacevitou.it
associazione@lacevitou.it

mercoledì 13 maggio 2009

La Memoria è la nostra Storia. Volume sulla storia di Pella



Domenica 17 maggio 2009 alle ore 15,00 presso il Teatro della Casa Maria Ausiliatrice di Pella (NO), in Via Lungo Lago 64, il Comune di Pella e l’Associazione Famiglia Alzese presenteranno il volume

La Memoria è la nostra Storia. Mulini, ruvide tele e raffinate sete.


Indice del volume

LE ORIGINI
Alle origini di un paese
Andrea Del Duca

LA RELIGIONE
Il Sacro: segni, istituzioni religiose e forme devozionali.
Fiorella Mattioli Carcano

Pella e dintorni (secoli XI/XVI). Organizzazione del territorio, cura animarum, architetture religiose.
Simone Caldano

Un dipinto di Giuseppe Zanatta (Miasino 1634-ivi 1720) nella parrocchiale di Sant’Albino a Pella.
Marina Dell’Omo

La statua della Madonna con Bambino della parrocchiale di Alzo.
Marina Dell’Omo

Chiesa di San Giovanni Battista di Alzo di Pella.
Giulia Porta

LA COMUNITÀ
Famiglie nobili e notabili di Pella ed Alzo fra il XVI ed il XIX secolo.
Maurizio Bettoja

Alzo e Pella: documenti dal XVI al XVIII secolo.
Alfredo Papale

Gli edifici rurali nel territorio di Pella.
Marta Tacchini

Il paesaggio di Pella e di Alzo nella cartografia storica.
Piero de Gennaro, Angelo Marzi

La selva di San Filiberto.
Angelo Marzi, Piero de Gennaro

Cosa ci raccontano le lapidi di San Filiberto.
Piero de Gennaro

Il XIX e XX Secolo.
Identità ed economia fra Ottocento e Novecento.
Angelo Vecchi

Quand al Mutarón g’ha sü al capel, o che piou o che fa bél!
Quando il Mottarone ha il cappello (le nuvole), o piove o è sereno!
Emanuela Valeri

L’industria della rubinetteria in cento anni di storia.

Galleria Immagini

Fonte: Ecomuseo Cusius

martedì 12 maggio 2009

La spia del lago - 7. Nuove verità sul caso Holohan?

Il maggiore dell'O.S.S. William V. Holohan


Quasi tre anni fa su Varese News fu annunciato che la figlia di Aldo Icardi stava per portare nuove carte, fino a quel momento riservate, che avrebbero finalmente fatto luce sul caso dell’omicidio del Maggiore Holohan.

Occorre dire
che il ruolo di Aldo Icardi "Ike" nella vicenda non fu per nulla marginale. William V. Holohan era un maggiore del 2677° reggimento dell’OSS (Office of Strategic Services, l’antenato della CIA) ed era il comandante di una missione segreta (la missione “Chrysler”) paracadutata dietro le linee nemiche per coordinare i rifornimenti alleati alle formazioni partigiane.
Nella notte del 6 dicembre 1944 il Maggiore scomparve misteriosamente a San Maurizio d'Opaglio. Il tenente Aldo Icardi gli subentrò al comando e trasferì la Chrysler a Busto Arsizio. Pochi anni dopo la fine della guerra si scoprì che Holohan era stato assassinato.
Il processo svoltosi in Italia portò alla condanna in contumacia dei due agenti italoamericani che facevano parte della missione: lo stesso Icardi, condannato all’ergastolo, e il sergente Carlo LoDolce, a 22 anni. I due però non vennero estradati e rimasero liberi. Vennero assolti, per aver agito in stato di necessità, anche i due partigiani italiani Giuseppe Manini e Gualtiero Tozzini detto Pupo, le uniche altre persone presenti, la notte del 6 dicembre 1944, nella villa teatro del delitto.

Un secondo processo, svoltosi negli USA, si svolse a carico del solo Icardi che, ribadendo la propria assoluta innocenza, fu accusato di spergiuro per aver mentito ad una sottocommissione. Durante questo secondo processo la difesa di Icardi, condotta dal “superavvocato delle cause impossibili”, Edward B. Williams, gettò l’ombra del sospetto su Cino Moscatelli, comandante partigiano delle brigate garibaldine.
Il movente dell’omicidio non sarebbe stato economico (impadronirsi dei fondi segreti della missione) ma politico: Holohan, cattolico convintamene anticomunista, sarebbe stato ostile a qualsiasi ipotesi di aiuto alle formazioni “rosse” nel timore che i soldi e le armi potessero essere utilizzate, dopo la vittoria contro i nazifascisti, ad avviare la rivoluzione. Per ottenere un cambio nella linea strategia della missione (mutamento che effettivamente dopo la morte di Holohan ci fu), Moscatelli sarebbe stato il mandante dell’omicidio.
Icardi fu prosciolto per un vizio procedurale: la sottocommissione non aveva alcun diritto di interrogare Icardi, pertanto le sue risposte non potevano configurarsi come reato di spergiuro.


I nuovi documenti di cui si da notizia nell’articolo citato, ma di cui non sono noti i dettagli, indirizzerebbero i sospetti su un sesto uomo, rimasto estraneo ai procedimenti. Luigi Fusco, detto “Cinquanta”, era il comandante del gruppo garibaldino “Franco”. In realtà (la cosa venne scoperta dal S.I.P.) il Cinquanta era passato al nemico. Il tradimento del “Cinquanta” portò alla cattura dell’intero gruppo “Franco” presso il rifugio della Volante Rossa, sul Mottarone. Il Cinquanta, in seguito, fu catturato dai suoi ex compagni e giustiziato.
Secondo la nuova versione fornita da Icardi, che si è sempre proclamato innocente, dietro l’assassinio del Maggiore Holohan ci sarebbe proprio la mano del traditore “Cinquanta”. L’ipotesi, in sostanza, individua il movente del delitto non nel denaro, né nella politica, ma nelle normali dinamiche della guerra, attribuendone la colpa ad un partigiano traditore morto da tempo, sgravando così da qualsiasi responsabilità sia i subordinati americani dell'OSS, sia i partigiani.

Questa tesi solleva per altro più domande di quelle a cui fornisce risposta.

1. È credibile che il Cinquanta potesse presentarsi al rifugio segreto della Missione Chrysler a San Maurizio d'Opaglio la notte del 6 dicembre, dal momento che risultava essersi arreso col suo gruppo al nemico il 2 dicembre?
2. Se il Cinquanta (al quale, secondo i rapporti del S.I.P., era stato promesso dal Prefetto un posto come ricompensa del tradimento) fosse stato a conoscenza del rifugio segreto della Chrysler non sarebbe stato per lui più remunerativo consegnare l’intera missione alleata ai nazifascisti?
3. Perché al contrario avrebbe deciso di occultare il corpo del Maggiore affondandolo nel lago senza nemmeno segnalare l'eliminazione ai fascisti?
4. Perché della presenza del Cinquanta (il cui tradimento fu chiaro ai partigiani attorno al 9/10 dicembre) nella villa del delitto, a quanto consta, nessuno dei protagonisti ha mai fatto cenno in sede processuale?
5. Chi sarebbero, infine i complici dell’omicidio, dal momento che Holohan fu dapprima avvelenato e poi ucciso a revolverate a causa della sua imprevista resistenza all’azione del cianuro?

A queste domande auspichiamo possano dare una risposta convincente i documenti citati dall’articolo.