La maggior parte degli storici contemporanei è orientata a ritenere che la storia dei martiri acaunensi sia sostanzialmente il frutto della invenzione di Teodoro, vescovo di Octodurum tra il 381 e il 393 d.C., probabilmente appoggiata sul rinvenimento di qualche antica sepoltura che avrebbe fornito le “reliquie” oggetto della successiva venerazione.
Questo è un blog di racconti, leggende, storie raccontate dagli ubriachi nelle osterie e di cialtronesche invenzioni che ruotano attorno al lago d'Orta. Se cercate la Verità, qualunque sia quella che v’illudete di trovare, avete sbagliato indirizzo.
Pagine
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sabato 31 luglio 2010
sabato 24 luglio 2010
Il parere degli storici sulla Legione Tebea
Quale realtà si nasconde dietro il racconto agiografico di San Maurizio e della Legione Tebea? Veramente una legione romana e cristiana, arruolata nella regione di Tebe in Egitto e comandata da Maurizio, si era rifiutata di perseguitare le popolazioni cristiane della valle del Rodano e fu massacrata per questo su ordine del tetrarca Massimiano tra il 285 e il 290?
giovedì 22 luglio 2010
A proposito dei draghi del Lago d’Orta
Vi appassionano i draghi?
Qualche tempo fa ebbi un incontro con il Maestro, il mio scettico e fumigante amico, in cui parlammo a lungo dei draghi dell’isola.
Se non vi ricordate quella storia, vi consiglio di andare a rileggerla qui.
E se ancora non vi basta, ascoltate Punto Mistero, oggi.
Qualche tempo fa ebbi un incontro con il Maestro, il mio scettico e fumigante amico, in cui parlammo a lungo dei draghi dell’isola.
Se non vi ricordate quella storia, vi consiglio di andare a rileggerla qui.
E se ancora non vi basta, ascoltate Punto Mistero, oggi.
domenica 18 luglio 2010
La lancia e la svastica
La lancia sacra di San Maurizio divenne uno degli oggetti simbolici più importanti d’Europa. Dai tempi di Ottone il Grande, il vincitore degli Ungari a Lechfeld nel 955, fino al 1806, quando Napoleone decretò la fine del Sacro Romano Impero, essa fu utilizzata nelle cerimonie di incoronazione degli Imperatori. Anche in seguito, la lancia venne adoperata per l’incoronazione degli Imperatori austriaci e austro ungarici fino al fino 1916, quando Carlo I d’Asburgo successe a Francesco Giuseppe.
sabato 17 luglio 2010
Se il Lago dei Misteri incontra Punto Mistero
Punto Mistero è una trasmissione in quattro puntate che William Facchinetti Kerdudo conduce il giovedì su Puntoradio in diretta alle ore 13-14 (in replica alle ore 20-21)
Giovedì 22 l’argomento della puntata saranno le creature mitologiche (draghi, elfi, folletti, mostro di Lochness, uomo falena, ecc.).
Ospite della puntata sarà Alfa dei Misteri per parlare dei draghi dell’isola di San Giulio e di altre storie.
Giovedì 22 l’argomento della puntata saranno le creature mitologiche (draghi, elfi, folletti, mostro di Lochness, uomo falena, ecc.).
Ospite della puntata sarà Alfa dei Misteri per parlare dei draghi dell’isola di San Giulio e di altre storie.
Punto Mistero su Puntoradio
Fm 96.3 - streaming www.puntoradio.net
Per sms in diretta: 389 96 96 96 0
Per testimonianze personali e suggerimenti: puntomistero@puntoradio.net
Il gruppo di “Punto Mistero” è su Facebook:
venerdì 16 luglio 2010
La fine di un incubo
Avevano saccheggiato tutta l’Europa, dalla Spagna al Bosforo, costringendo i sovrani ad umiliarsi e versare il tributo. Persino il superbo imperatore di Costantinopoli, la seconda Roma, aveva dovuto scendere a patti con loro. C’era solo una terra che resisteva alle loro incursioni. Da quando Enrico l’Uccellatore li aveva battuti, ventidue anni prima, per gli Ungari “Germania” era un nome della vendetta a lungo rimandata.
giovedì 15 luglio 2010
I Menestrelli colpiscono ancora…
... e presenteranno la nuova rivista letteraria Arabica Fenice venerdì 16 luglio 2010 alle ore 19.00 presso il locale Blues Café in viale Grandi 18 a Novara.
Il primo numero di Arabica Fenice ha per tema “Caffè e Libertà”, così, per l’occasione sarà possibile degustare inediti cocktail a base di caffè.
L’Associazione Culturale Menestrelli di Jorvik, nata nel 2007, è formata da un gruppo di scrittori e grafici. Collabora con il programma Siamo in Onda dell’emittente radiofonica Puntoradio, organizza corsi di scrittura e serate di lettura.
mercoledì 14 luglio 2010
La lancia del destino
Enrico aveva trentasei anni, aveva un figlio, era vedovo ed era conosciuto soprattutto per la sua passione per la caccia con il falcone. Per questo divenne noto come Enrico l’Uccellatore. Matilde aveva sedici anni e lasciava il convento dove era stata cresciuta dalla badessa sua nonna per sposarlo. Iniziava così, nell’anno del Signore Novecentonove la storia di una dinastia che avrebbe cambiato il destino dell’Europa.
martedì 13 luglio 2010
I cavalieri dell’Apocalisse
«Il sole, lasciando il segno dell’Ariete, non aveva ancora occupato quello dei Pesci» dell’anno 899 quando un immenso esercito entrò in Italia da Oriente, aggirando Aquileia e Verona, città ben fortificate, per giungere sotto le mura di Pavia.
Lo sgomento per quell’attacco improvviso fu enorme. Quell’orda di cavalieri mai visti prima non solo parlava una lingua incomprensibile, ma distruggeva castelli, bruciava chiese, sgozzava persone di cui beveva il sangue direttamente dalle ferite e trascinava in catene centinaia di prigionieri, soprattutto giovani donne, verso un destino di schiavitù in una terra straniera.
Chi erano quelli che apparivano come mostri disumani, che riempirono per secoli l’immaginario collettivo dei popoli d’Europa di orchi (in francese “ogre”) rapitori di bambini?
La risposta, che i saggi trovavano con sgomento nell’Apocalisse, era di quelle da gettare nel panico il popolo: “Satana sarà scatenato dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, per radunarli alla battaglia.”
Anche perché giungevano voci e notizie di altri popoli, di altre orde, che da ogni parte assalivano le terre d’Europa. Vichinghi dal settentrione e da occidente, Saraceni da sud e “l’odiosa razza degli Ungari” da oriente.
Nella realtà storica gli Ungari o Magiari si erano insediati in quella che è l’attuale Ungheria nell’anno 896, quando Árpád figlio di Álmos aveva guidato sette tribù di lingua ugrica a occupare il territorio dell’antica Pannonia, in larga misura disabitato dopo la distruzione del regno degli Avari ad opera dell’Imperatore Carlo Magno un secolo prima.
L’invasione dell’Italia nell’anno 899 non mirava alla conquista del paese, ma esclusivamente al saccheggio. Popolo di cavalieri delle steppe, maestri nell’arte della guerra psicologica che faceva del terrore il suo principale strumento, gli Ungari evitavano di assediare le città murate e saccheggiavano le campagne, depredandole di bestiame e altri beni, prendendo prigionieri e pretendendo riscatti e tributi. I monasteri e le chiese, piene di oggetti preziosi e derrate alimentari, erano gli obiettivi ideali delle loro scorrerie, tanto più che essendo pagani non avevano alcun rispetto per gli edifici sacri.
A quei tempi l’impero, che Carlo Magno (800-814) aveva rifondato sognando che potesse emulare i fasti dell’Impero di Roma, era in piena decadenza. Dall’anno 887, con la morte di Carlo il Grosso, era sconvolto da discordie interne e lotte per la successione al trono imperiale.
Berengario del Friuli (Cividale del Friuli, 850 – Verona, 924) era re d’Italia ed uno degli aspiranti al titolo di Imperatore. A lui spettava affrontare la minaccia che giungeva da oriente e contro di essa si mosse con l’esercito.
Sul fiume Brenta ingaggiò battaglia con gli Ungari, che fuggirono davanti ai cavalieri pesantemente corazzati. Quando però, certi della vittoria, gli italiani si fermarono per il pranzo, gli Ungari, con una rapida manovra, tornarono all’attacco come nelle loro consuetudini. Il tiro inesorabile dei loro archi colse l’armata di Berengario del tutto impreparata. Come raccontarono cronisti dell’epoca, per la velocità fulminea del contro attacco, le frecce trafiggevano “il cibo nella gola di coloro che stavano mangiando”.
La disfatta fu totale e lo stesso Berengario si salvò a stento pagando un enorme tributo e coprendosi di vergogna. A questa si aggiunse la condanna generale quando, invece di combattere quelle orde che annualmente tornavano per saccheggiare il suo regno, le arruolò per utilizzarle contro i suoi rivali.
Un esercito di mercenari, forte di cinquemila Ungari, fu scagliato contro Pavia. Quando si arrese la città venne distrutta e i cittadini furono massacrati, senza rispetto per le donne e i bambini.
La misura dell’ira era colma contro Berengario. A Verona nel 924 i congiurati lo pugnalarono alle spalle mentre pregava in ginocchio durante la messa.
La morte di Berengario, se poteva forse placare la sete di vendetta dei suoi nemici, era però assolutamente inutile nei confronti della minaccia rappresentata dagli Ungari.
Fu allora che un re con la passione della caccia comprese che per affrontare un nemico che sembrava essere l’incarnazione stessa del Male occorreva trovare un vessillo attorno a cui radunare le impaurite e disperse forze del Bene…
Lo sgomento per quell’attacco improvviso fu enorme. Quell’orda di cavalieri mai visti prima non solo parlava una lingua incomprensibile, ma distruggeva castelli, bruciava chiese, sgozzava persone di cui beveva il sangue direttamente dalle ferite e trascinava in catene centinaia di prigionieri, soprattutto giovani donne, verso un destino di schiavitù in una terra straniera.
Chi erano quelli che apparivano come mostri disumani, che riempirono per secoli l’immaginario collettivo dei popoli d’Europa di orchi (in francese “ogre”) rapitori di bambini?
La risposta, che i saggi trovavano con sgomento nell’Apocalisse, era di quelle da gettare nel panico il popolo: “Satana sarà scatenato dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, per radunarli alla battaglia.”
Anche perché giungevano voci e notizie di altri popoli, di altre orde, che da ogni parte assalivano le terre d’Europa. Vichinghi dal settentrione e da occidente, Saraceni da sud e “l’odiosa razza degli Ungari” da oriente.
Nella realtà storica gli Ungari o Magiari si erano insediati in quella che è l’attuale Ungheria nell’anno 896, quando Árpád figlio di Álmos aveva guidato sette tribù di lingua ugrica a occupare il territorio dell’antica Pannonia, in larga misura disabitato dopo la distruzione del regno degli Avari ad opera dell’Imperatore Carlo Magno un secolo prima.
L’invasione dell’Italia nell’anno 899 non mirava alla conquista del paese, ma esclusivamente al saccheggio. Popolo di cavalieri delle steppe, maestri nell’arte della guerra psicologica che faceva del terrore il suo principale strumento, gli Ungari evitavano di assediare le città murate e saccheggiavano le campagne, depredandole di bestiame e altri beni, prendendo prigionieri e pretendendo riscatti e tributi. I monasteri e le chiese, piene di oggetti preziosi e derrate alimentari, erano gli obiettivi ideali delle loro scorrerie, tanto più che essendo pagani non avevano alcun rispetto per gli edifici sacri.
A quei tempi l’impero, che Carlo Magno (800-814) aveva rifondato sognando che potesse emulare i fasti dell’Impero di Roma, era in piena decadenza. Dall’anno 887, con la morte di Carlo il Grosso, era sconvolto da discordie interne e lotte per la successione al trono imperiale.
Berengario del Friuli (Cividale del Friuli, 850 – Verona, 924) era re d’Italia ed uno degli aspiranti al titolo di Imperatore. A lui spettava affrontare la minaccia che giungeva da oriente e contro di essa si mosse con l’esercito.
Sul fiume Brenta ingaggiò battaglia con gli Ungari, che fuggirono davanti ai cavalieri pesantemente corazzati. Quando però, certi della vittoria, gli italiani si fermarono per il pranzo, gli Ungari, con una rapida manovra, tornarono all’attacco come nelle loro consuetudini. Il tiro inesorabile dei loro archi colse l’armata di Berengario del tutto impreparata. Come raccontarono cronisti dell’epoca, per la velocità fulminea del contro attacco, le frecce trafiggevano “il cibo nella gola di coloro che stavano mangiando”.
La disfatta fu totale e lo stesso Berengario si salvò a stento pagando un enorme tributo e coprendosi di vergogna. A questa si aggiunse la condanna generale quando, invece di combattere quelle orde che annualmente tornavano per saccheggiare il suo regno, le arruolò per utilizzarle contro i suoi rivali.
Un esercito di mercenari, forte di cinquemila Ungari, fu scagliato contro Pavia. Quando si arrese la città venne distrutta e i cittadini furono massacrati, senza rispetto per le donne e i bambini.
La misura dell’ira era colma contro Berengario. A Verona nel 924 i congiurati lo pugnalarono alle spalle mentre pregava in ginocchio durante la messa.
La morte di Berengario, se poteva forse placare la sete di vendetta dei suoi nemici, era però assolutamente inutile nei confronti della minaccia rappresentata dagli Ungari.
Fu allora che un re con la passione della caccia comprese che per affrontare un nemico che sembrava essere l’incarnazione stessa del Male occorreva trovare un vessillo attorno a cui radunare le impaurite e disperse forze del Bene…
Parte 4 - Continua
parte 1
parte 2
parte 3
parte 4
Parte 5
Parte 6
Parte 7
Parte 8
Parte 9
lunedì 12 luglio 2010
I martiri tebei
La venerazione verso San Maurizio conobbe parecchia fortuna alcuni secoli dopo la data presunta del martirio. Con la caduta dell’impero, le massicce invasioni germaniche e la conversione dei nuovi padroni al cristianesimo, i santi soldati erano chiaramente molto graditi a genti che dell’uso delle armi facevano un elemento di distinzione.
Il racconto del martirio di un’intera legione, i cui effettivi regolari erano normalmente di circa seimila uomini (6660 secondo alcune versioni della Passio) suscitò però anche il desiderio di conoscere i nomi e le vicende dei molti martiri caduti con Maurizio.
Il racconto del martirio di un’intera legione, i cui effettivi regolari erano normalmente di circa seimila uomini (6660 secondo alcune versioni della Passio) suscitò però anche il desiderio di conoscere i nomi e le vicende dei molti martiri caduti con Maurizio.
domenica 11 luglio 2010
La leggenda della legione egiziana accampata ai piedi delle Alpi
Secondo la Passio Acaunensium martyrum (Passione dei martiri di Acauno), scritta da Eucherio vescovo di Lione (Lione 380 – 449/50) Maurizio era il generale di un'unità dell’esercito romano che portava il nome di “Legione Tebea”. Questo nome era dovuto al fatto che i suoi effettivi erano stati arruolati in Egitto, nella regione della città di Tebe. Eucherio raccontò la storia della Legione Tebea e dei suoi martiri, indicando il luogo del martirio in Agaunum (Saint Maurice-en-Valais) dove ancora oggi si trova l'Abbazia territoriale di San Maurizio d'Agauno.
Ecco a grandi linee la storia.
L’impero romano nel terzo secolo d.C. si era rivelato troppo vasto per essere guidato da un solo imperatore. Così era stato deciso che a governarlo fossero quattro tetrarchi (una loro statua è tuttora visibile a Venezia): due “augusti” aiutati ciascuno da un “cesare”, che dovevano regnare in armonia. Dei due augusti, tuttavia, uno spiccava per autorità. Era l’augusto Diocleziano, un soldato che aveva fatto carriera ed era salito al trono nel 284 d.C. dopo una serie di congiure di palazzo e violente guerre civili. Ora, secondo il racconto agiografico, Diocleziano ordinò alla Legione Tebea di lasciare la parte orientale dell’impero per difendere, agli ordini dell’augusto Massimiano, i confini occidentali di Roma dalle invasioni dei popoli barbarici.
Possiamo immaginare la meraviglia di questi uomini del deserto – che avevano attraversato il mare e poi percorso la verde Pianura Padana – quando si trovarono accampati ai piedi della barriera formidabile costituita dalle Alpi. Ma i Romani, questo è noto, avevano costruito un’ottima rete di strade, così per la legione non fu un problema valicare le montagne e passare dall’altra parte, nella terra chiamata Gallia.
Un tempo essa era stata patria di guerrieri valorosi , chiamati Galli, ma ora, più di trecento anni dopo la conquista realizzata da Giulio Cesare, era una terra pacifica di città ricche e industriose. Così prospera da suscitare il desiderio di razzia da parte delle tribù dei feroci Germani, che vivevano oltre il fiume Reno, in una terra in cui non esistevano città, ma solo villaggi isolati, circondati da selve e paludi.
La Legione del generale Maurizio si batté valorosamente contro i Germani, riuscendo infine a ricacciarli nelle loro terre oltre il fiume. A quel punto, tuttavia, l’augusto Massimiano, invece di rimandare a casa la legione, decise di utilizzarla per una missione imprevista. Nella valle del Rodano si era insediata una comunità cristiana. A quel tempo la fede in Cristo costituiva un gravissimo delitto, contro il quale erano comminate le sanzioni più gravi, compresa la pena capitale.
Ai Tebani fu ordinato di rastrellare i cristiani presenti in quelle terre perché fossero portati davanti al giudice e condannati. Qui però sorse un problema. I legionari erano tutti cristiani e dal comandante in giù si rifiutarono di eseguire questo ordine inumano contro i loro fratelli nella fede.
«Siamo tuoi soldati» scrisse Maurizio all’imperatore «ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l'integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita [...]. Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti [...]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio... Ecco deponiamo le armi [...] preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli [...] non neghiamo di essere cristiani [...] perciò non possiamo perseguitare i cristiani».
Massimiano, dopo aver vanamente minacciato i ribelli ,ordinò di frustarli e poi di decimare la legione: un uomo ogni dieci fu messo a morte, secondo un’antica punizione dell’esercito. Poiché i soldati non si piegavano fu ordinata una nuova decimazione. Infine, vista inutile ogni minaccia, l’intera legione fu messa a morte. Solo pochissimi riuscirono a fuggire, riparando a sud delle Alpi.
È interessante conoscere anche le loro storie…
Ecco a grandi linee la storia.
L’impero romano nel terzo secolo d.C. si era rivelato troppo vasto per essere guidato da un solo imperatore. Così era stato deciso che a governarlo fossero quattro tetrarchi (una loro statua è tuttora visibile a Venezia): due “augusti” aiutati ciascuno da un “cesare”, che dovevano regnare in armonia. Dei due augusti, tuttavia, uno spiccava per autorità. Era l’augusto Diocleziano, un soldato che aveva fatto carriera ed era salito al trono nel 284 d.C. dopo una serie di congiure di palazzo e violente guerre civili. Ora, secondo il racconto agiografico, Diocleziano ordinò alla Legione Tebea di lasciare la parte orientale dell’impero per difendere, agli ordini dell’augusto Massimiano, i confini occidentali di Roma dalle invasioni dei popoli barbarici.
Possiamo immaginare la meraviglia di questi uomini del deserto – che avevano attraversato il mare e poi percorso la verde Pianura Padana – quando si trovarono accampati ai piedi della barriera formidabile costituita dalle Alpi. Ma i Romani, questo è noto, avevano costruito un’ottima rete di strade, così per la legione non fu un problema valicare le montagne e passare dall’altra parte, nella terra chiamata Gallia.
Un tempo essa era stata patria di guerrieri valorosi , chiamati Galli, ma ora, più di trecento anni dopo la conquista realizzata da Giulio Cesare, era una terra pacifica di città ricche e industriose. Così prospera da suscitare il desiderio di razzia da parte delle tribù dei feroci Germani, che vivevano oltre il fiume Reno, in una terra in cui non esistevano città, ma solo villaggi isolati, circondati da selve e paludi.
La Legione del generale Maurizio si batté valorosamente contro i Germani, riuscendo infine a ricacciarli nelle loro terre oltre il fiume. A quel punto, tuttavia, l’augusto Massimiano, invece di rimandare a casa la legione, decise di utilizzarla per una missione imprevista. Nella valle del Rodano si era insediata una comunità cristiana. A quel tempo la fede in Cristo costituiva un gravissimo delitto, contro il quale erano comminate le sanzioni più gravi, compresa la pena capitale.
Ai Tebani fu ordinato di rastrellare i cristiani presenti in quelle terre perché fossero portati davanti al giudice e condannati. Qui però sorse un problema. I legionari erano tutti cristiani e dal comandante in giù si rifiutarono di eseguire questo ordine inumano contro i loro fratelli nella fede.
«Siamo tuoi soldati» scrisse Maurizio all’imperatore «ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l'integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita [...]. Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti [...]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio... Ecco deponiamo le armi [...] preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli [...] non neghiamo di essere cristiani [...] perciò non possiamo perseguitare i cristiani».
Massimiano, dopo aver vanamente minacciato i ribelli ,ordinò di frustarli e poi di decimare la legione: un uomo ogni dieci fu messo a morte, secondo un’antica punizione dell’esercito. Poiché i soldati non si piegavano fu ordinata una nuova decimazione. Infine, vista inutile ogni minaccia, l’intera legione fu messa a morte. Solo pochissimi riuscirono a fuggire, riparando a sud delle Alpi.
È interessante conoscere anche le loro storie…
Parte 2 (continua)
parte 1
parte 2
parte 3
parte 4
Parte 5
Parte 6
Parte 7
Parte 8
Parte 9
sabato 10 luglio 2010
Il santo patrono del paese dei rubinetti
Sulla sponda occidentale del Cusio, dove il lago fa una grande curva per allontanarsi dai paesaggi scoscesi dei monti e circondarsi invece di dolci colline boscose, in una grande piana un tempo dedicata al pascolo, sorge un paese il cui nome è famoso in tutto il mondo per la sua specialità.
Non sto parlando di dolciumi, o salami, o di qualche varietà d’ortaggio. Sto parlando di uno strumento prezioso, che ciascuno di noi utilizza più volte al giorno: il rubinetto.
San Maurizio d'Opaglio, così si chiama questo comune di poco più di tremila anime (in crescita, ci tengono a precisare i sammauriziesi), ha fatto della produzione di rubinetti e valvole la sua principale attività. A dire il vero non si fanno rubinetti solo in questo paese, ma in qualche modo esso detiene un primato produttivo che lo rende di fatto “la capitale” di un distretto industriale molto vasto e ancora combattivo, nonostante i mille problemi della crisi economica attuale.
Non sto parlando di dolciumi, o salami, o di qualche varietà d’ortaggio. Sto parlando di uno strumento prezioso, che ciascuno di noi utilizza più volte al giorno: il rubinetto.
San Maurizio d'Opaglio, così si chiama questo comune di poco più di tremila anime (in crescita, ci tengono a precisare i sammauriziesi), ha fatto della produzione di rubinetti e valvole la sua principale attività. A dire il vero non si fanno rubinetti solo in questo paese, ma in qualche modo esso detiene un primato produttivo che lo rende di fatto “la capitale” di un distretto industriale molto vasto e ancora combattivo, nonostante i mille problemi della crisi economica attuale.
venerdì 9 luglio 2010
Legge bavaglio
Una legge che limita la libertà di informazione.
Una legge che rende più difficile indagare sulla corruzione e la criminalità organizzata.
Una legge che vuole alterare gli equilibri democratici rendendo l’opinione pubblica sempre meno informata.
Una legge che è contestata da chi conduce indagini sulle mafie in Italia e all’estero.
Una legge contro la Costituzione.
Una legge che tutela solo la privacy di mafiosi, tangentari e corrotti.
Una legge di cui nessuno sente realmente il bisogno.
Una legge bavaglio.
Una legge vergogna.
Per questo dico no!
Una legge che rende più difficile indagare sulla corruzione e la criminalità organizzata.
Una legge che vuole alterare gli equilibri democratici rendendo l’opinione pubblica sempre meno informata.
Una legge che è contestata da chi conduce indagini sulle mafie in Italia e all’estero.
Una legge contro la Costituzione.
Una legge che tutela solo la privacy di mafiosi, tangentari e corrotti.
Una legge di cui nessuno sente realmente il bisogno.
Una legge bavaglio.
Una legge vergogna.
Per questo dico no!
giovedì 8 luglio 2010
Il battello che navigò sulla terraferma
Nell’agosto del 1909 un gruppo di notabili ortesi decise di trasportare via terra, con un carro trainato da una macchina a vapore (una “Locomobile”), da Nizza a Gozzano, un battello da adibire a servizio pubblico di navigazione sul lago d’Orta.
Come si può facilmente intuire, considerando le condizioni delle strade agli inizi del Novecento, fu un’impresa quasi epica, con momenti di rischio reale anche per le vite di coloro che ci lavorarono, di difficoltà tecniche stravaganti e inusitate, di stralunata poeticità quasi felliniana.
Un trasporto che rimase nella memoria, come riportato da varie fonti, come quella che ne testimonia il passaggio da Borgomanero.
Questa storia, rielaborata in forma teatrale dal Teatro delle Selve verrà messo in scena (nell’ambito di TEATRI ANDANTI 2010 - X edizione), sulla spiaggia che vide l’inaugurazione della nuovissima imbarcazione.
Lo spettacolo, già proposto l'anno scorso con notevole successo, nasce da un’idea di Laura Pariani e Franco Acquaviva, con l’interpretazione di Franco Acquaviva, Domenico Brioschi, Anna Olivero, Michele Schneider, Marta Smaruj.
Testo originale e regia: Franco AcquavivaSpiaggia del lido di Buccione, Gozzano, 22 e 23 luglio ore 20.30. In caso di pioggia: recupero 26 / 27 luglio
Per informazioni:
Teatro delle Selve
Sede Legale: Via Carmine 5, Vacciago - 28010 AMENO (NO)
Sede Operativa: SPAZIOTEATRO SELVE - Via Zanotti, 26 - 28010 PELLA (NO)
email: info(at)teatrodelleselve.it
Tel + Fax: +39 0322 96 97 06
Cell. +39 339 66 16 179
martedì 6 luglio 2010
Il misterioso rettile dell’Ossola: la risposta della scienza.
Nei giorni scorsi, l’amica Paesesommerso (che si sta guadagnando sul campo il titolo di “informatore” ufficiale del Lago dei Misteri) mi aveva segnalato un articolo apparso su Rivista Ossolana n. 2 del 1997 riguardante un misterioso scheletro di rettile.
Ne era seguito un post pubblicato il 29 giugno “La strana storia del serpente con gli occhiali”
Avendo deciso di andare a fondo dell’argomento, Paesesommerso ha inviato copia dell’articolo di "Rivista Ossolana" al Museo di Storia Naturale di Milano per avere maggiori informazioni.
La risposta non si è fatta attendere ed è con molto piacere che andiamo a pubblicarla, con il consenso dell’autore, il Dr. Stefano Scali.
Il parere della scienza su questi argomenti è netto, come potrete leggere. Ed è giusto che sia così. In assenza di prove certe le leggende è bene che rimangano leggende. Se poi qualcuno riuscirà a dimostrare l’esistenza di qualche nuova specie animale, credo che i primi ad essere contenti saranno proprio gli scienziati.
Ne era seguito un post pubblicato il 29 giugno “La strana storia del serpente con gli occhiali”
Avendo deciso di andare a fondo dell’argomento, Paesesommerso ha inviato copia dell’articolo di "Rivista Ossolana" al Museo di Storia Naturale di Milano per avere maggiori informazioni.
La risposta non si è fatta attendere ed è con molto piacere che andiamo a pubblicarla, con il consenso dell’autore, il Dr. Stefano Scali.
Il parere della scienza su questi argomenti è netto, come potrete leggere. Ed è giusto che sia così. In assenza di prove certe le leggende è bene che rimangano leggende. Se poi qualcuno riuscirà a dimostrare l’esistenza di qualche nuova specie animale, credo che i primi ad essere contenti saranno proprio gli scienziati.
lunedì 5 luglio 2010
Le favole del Pancatantra
Tornano Le favole del Pacatantra
Un antichissimo testo della cultura indiana ridotto per il teatro.
Il Pañcatantra, che significa letteralmente “cinque parti”, fu scritto probabilmente nel Kashmir nel secondo secolo a.C. sulla base di racconti molto più antichi. Nel Medio Evo diventa uno dei libri più conosciuti e tradotti al mondo.
Un’attrice e un musicista rendono agile, fresca e appassionante questa sua particolare riduzione teatrale.
MUTAMENTO ZONA CASTALIA 21:30 - SORISO
Con: Eliana Amato Cantone
Regia e drammaturgia: Giordano V. Amato
In caso di pioggia: da definire
Per informazioni:
Sede Legale: Via Carmine 5, Vacciago - 28010 AMENO (NO)
Sede Operativa: SPAZIOTEATRO SELVE - Via Zanotti, 26 - 28010 PELLA (NO)
P. Iva 01695070035
email: info(at)teatrodelleselve.it
Tel + Fax: +39 0322 96 97 06
Cell. +39 339 66 16 179
Un antichissimo testo della cultura indiana ridotto per il teatro.
Il Pañcatantra, che significa letteralmente “cinque parti”, fu scritto probabilmente nel Kashmir nel secondo secolo a.C. sulla base di racconti molto più antichi. Nel Medio Evo diventa uno dei libri più conosciuti e tradotti al mondo.
Un’attrice e un musicista rendono agile, fresca e appassionante questa sua particolare riduzione teatrale.
MUTAMENTO ZONA CASTALIA 21:30 - SORISO
Con: Eliana Amato Cantone
Regia e drammaturgia: Giordano V. Amato
In caso di pioggia: da definire
Per informazioni:
Sede Legale: Via Carmine 5, Vacciago - 28010 AMENO (NO)
Sede Operativa: SPAZIOTEATRO SELVE - Via Zanotti, 26 - 28010 PELLA (NO)
P. Iva 01695070035
email: info(at)teatrodelleselve.it
Tel + Fax: +39 0322 96 97 06
Cell. +39 339 66 16 179
domenica 4 luglio 2010
Quando la notte si mangia le stelle
Giovedì 8 Luglio, alle ore 21, il circolo Operaio di Baveno ( via Libertà,30) ospiterà una delle “tappe” della rassegna di Arcinvetta, le serate culturali promosse dall’Arci VCO nei circoli.
Ospite, con il suo libro “Quando la notte si mangia le stelle” , un bavenese “doc”: lo scrittore Marco Travaglini. Insieme a lui, l’attrice Raffaella Gambuzzi che leggerà alcuni dei 45 racconti del libro.
Le storie sono quasi tutte ambientate a Baveno, tra il lago Maggiore e il Mottarone che incombe. Tra i luoghi-simbolo c’è anche il Circolo Operaio dove “ fuori, nella bella stagione, c`era sempre qualcuno che si sfidava sui campi da bocce, mentre gli altri avventori si dividevano tra coloro che sbirciavano la partita, leggevano il giornale, commentavano i fatti del paese o si lasciavano prendere la mano dal turbinio delle carte da ramino o da scopa”.
Il “campionario umano”, che anima le storie, è di prim`ordine. Uomini e donne dei quali si raccontano le storie strampalate, strappando sorrisi o qualche lacrima, sul fondale naturale di un ambiente straordinariamente bello com’è la sponda piemontese del Verbano.
Dall`osteria dei Gabbiani dove,soprattutto il sabato sera, “l`aria era densa come la nebbia di Milano” agli sguardi del Remolazzi che , tagliando il fieno nel suo prato, scruta il cielo che s’annuvola e dice al Bartolo Quand al Mutaron `l ga sù al capèl, mòla la rànza e ciàpa `l restèl. Il quale, guardando a sua volta il cielo, borbotta : “Sècunda mì, Remulazz, a l`è un tempural varesott: poca acqua e tant casott”. Che, tradotto, significa tanto rumore per nulla.
C’è la Baveno d’oggigiorno, quella di ieri l’altro e quella dei ricordi “d’antan”. Con le sue storie, oltre alle scorribande giovanili e alle vicende lacustri, Travaglini ricorda anche l’epoca in cui passava da Baveno il mitico “Simplon Orient Express” che – sferragliando e portandosi appresso il suo alone di mistero - collegava la stazione parigina della Gare de l`Est ad Istanbul. Infatti, dal 1919- a seguito dell`apertura del tunnel del Sempione – venne inaugurata questa nuova tratta ferroviaria, a sud delle Alpi:così, scendendo da Briga a Domodossola e da lì fino al lago Maggiore, le signore imbellettate potevano guardare dal finestrino i paesi e le isole del golfo Borromeo.
Fonte: lagodorta.net
Ospite, con il suo libro “Quando la notte si mangia le stelle” , un bavenese “doc”: lo scrittore Marco Travaglini. Insieme a lui, l’attrice Raffaella Gambuzzi che leggerà alcuni dei 45 racconti del libro.
Le storie sono quasi tutte ambientate a Baveno, tra il lago Maggiore e il Mottarone che incombe. Tra i luoghi-simbolo c’è anche il Circolo Operaio dove “ fuori, nella bella stagione, c`era sempre qualcuno che si sfidava sui campi da bocce, mentre gli altri avventori si dividevano tra coloro che sbirciavano la partita, leggevano il giornale, commentavano i fatti del paese o si lasciavano prendere la mano dal turbinio delle carte da ramino o da scopa”.
Il “campionario umano”, che anima le storie, è di prim`ordine. Uomini e donne dei quali si raccontano le storie strampalate, strappando sorrisi o qualche lacrima, sul fondale naturale di un ambiente straordinariamente bello com’è la sponda piemontese del Verbano.
Dall`osteria dei Gabbiani dove,soprattutto il sabato sera, “l`aria era densa come la nebbia di Milano” agli sguardi del Remolazzi che , tagliando il fieno nel suo prato, scruta il cielo che s’annuvola e dice al Bartolo Quand al Mutaron `l ga sù al capèl, mòla la rànza e ciàpa `l restèl. Il quale, guardando a sua volta il cielo, borbotta : “Sècunda mì, Remulazz, a l`è un tempural varesott: poca acqua e tant casott”. Che, tradotto, significa tanto rumore per nulla.
C’è la Baveno d’oggigiorno, quella di ieri l’altro e quella dei ricordi “d’antan”. Con le sue storie, oltre alle scorribande giovanili e alle vicende lacustri, Travaglini ricorda anche l’epoca in cui passava da Baveno il mitico “Simplon Orient Express” che – sferragliando e portandosi appresso il suo alone di mistero - collegava la stazione parigina della Gare de l`Est ad Istanbul. Infatti, dal 1919- a seguito dell`apertura del tunnel del Sempione – venne inaugurata questa nuova tratta ferroviaria, a sud delle Alpi:così, scendendo da Briga a Domodossola e da lì fino al lago Maggiore, le signore imbellettate potevano guardare dal finestrino i paesi e le isole del golfo Borromeo.
Fonte: lagodorta.net
venerdì 2 luglio 2010
I mondiali di Alfa
Nell’immaginaria biografia dell’autore di questo blog affidata al suo famiglio, non può mancare, di questi tempi un capitolo dedicato ai Mondiali di calcio. Non perché egli sia particolarmente appassionato di questo sport, ché al contrario ha smesso da tempo questo vizio, come fanno certi fumatori occasionali che ad un certo punto rinunciano al tabacco senza troppi rimpianti.
Sempre come alcuni di quei fumatori, tuttavia, occasionalmente si concede un sigaro. E questo vizietto si chiama Mondiali di Calcio. Magari non tutti, certo, ma quando la Nazionale supera i primi turni e il gioco comincia a farsi duro, diventa difficile resistere all’arcaico richiamo del tamburo che chiama la tribù a sostenere i suoi campioni. Come milioni di altri italiani ecco quindi anche il nostro sul divano a fissare il piccolo schermo, mentre l’adrenalina sale.
C’è però uno strano mistero connesso ai Mondiali. Per una curiosa coincidenza, quando la Nazionale supera i primi turni e si batte per il podio qualcosa di importante o insolito accade nella vita di Alfa. Per lo più, ma non solo, in campo sentimentale. Amori che nascono, storie che si chiudono, persone che compaiono nella sua vita, relazioni che evolvono e complicazioni impreviste.
Così mentre Rossi guidava la galoppata azzurra verso la vittoria, nella Spagna del 1982, sbocciavano i primi germogli del suo primo amore finito ai tempi di Italia ‘90. Nell’estate del 1994, invece, Baggio calciava sopra la traversa, assieme al rigore, anche i resti agonizzanti di una relazione che ormai aveva ampiamente superato i tempi supplementari. Aprendo peraltro la strada ad una complessa serie di eventi che portò all’incontro con Malikà…
In certi casi, però, accadono fatti davvero strani, come quello che accadde in occasione dell’ultimo mondiale. Ricostruiamo la scena. A quell’epoca Alfa non aveva ancora scoperto il Lago dei Misteri e la sua dimora non era sulla “Seconda Isola”, bensì in un appartamentino a ***. Qui, sedeva tranquillo sul divano, accanto a Malikà, guardando la famosa finale Italia - Francia.
Si era, grosso modo, alla metà del primo tempo quando, improvvisamente, il campanello suonò.
«Chi potrà mai essere a quest’ora e nel bel mezzo della partita?» si domandarono – grosso modo con queste parole – i due guardandosi l’un l’altro con fare interrogativo.
Senza staccare gli occhi dal televisore Alfa si avvicinò la porta e trovata a tentoni la maniglia domandò chi fosse, con la segreta speranza di aver sentito male o che qualcuno avesse inavvertitamente urtato il campanello, magari scambiandolo per l’interruttore della luce.
Non si trattava, tuttavia, di un errore, perché dall’altra parte della porta si udiva una voce che chiedeva aiuto. A voler essere più precisi si trattava della voce della vicina, che chiedeva soccorso per essere rimasta chiusa fuori di casa. A voler essere ancora più precisi Alfa capì cosa gli stava dicendo solo dopo aver aperto la porta ed essersela trovata di fronte.
Prima che qualcuno tra i lettori di sesso maschile cominci a fantasticare su una hostess vicina di casa rimasta chiusa fuori di casa avvolta solo da un asciugamano è opportuno precisare che la vicina non era avvolta in un asciugamano e tanto meno era una hostess.
Ciò appurato – in caso contrario non avrebbe certo lasciato la povera ragazza in una situazione così incresciosa – Malikà, che aveva seguito le prime fasi della vicenda, lasciò che fosse Alfa a risolvere la questione, continuando sul divano a seguire anche per lui la partita.
Petronilla, così chiameremo la vicina di casa, era una simpatica e arzilla signora sull’ottantina abbondante. Con un po’ di fatica Alfa riuscì a capire quello che Petronilla, tutta agitata, andava farfugliando. Era uscita per delle commissioni – inutile chiedere quali faccende dovesse sbrigare a quell’ora – e rientrando aveva trovato la porta del suo appartamento chiusa dall’interno.
Il responsabile di questo fatto increscioso altri non poteva essere che Arcibaldo – chiameremo così suo marito – ma la causa di questo insolito comportamento non era nota. Oltretutto il buon Arcibaldo non rispondeva ai ripetuti scampanellii alla porta.
Dopo aver timidamente provato a suonare e a bussare due o tre volte, Alfa poggiò decisamente l’indice sul campanello e lo tenne premuto per una trentina di secondi. Inutilmente. Dall’appartamento veniva solo il rumore della televisione sintonizzata sulla partita.
Nel frattempo Petronilla riuscì a dare ad Alfa il numero di telefono dell’appartamento, pregandolo di chiamare. Cosa che Alfa fece, ma solo per sentirsi dire da una voce femminile che il numero era inesistente. Evidentemente nell’agitazione Petronilla aveva scordato il proprio numero di telefono.
Messo da parte il cellulare, Alfa cominciò a passare in rassegna le possibili opzioni e le altrettanto possibili conseguenze. Chiamare i Vigili del Fuoco o i Carabinieri gli sembrava eccessivo fino a che non avesse avuto certezza di una situazione di emergenza. Già gli pareva di vedere le facce dei pubblici ufficiali disturbati in una sera in cui c’erano cose ben più importanti da fare.
Buttare giù la porta avrebbe forse potuto dare soddisfazione ad un certo impulso primordiale che andava aumentando man mano che i minuti passavano e la situazione non si sbloccava. Lo fece desistere però l’immagine della faccia del padrone di casa che gli chiedeva i danni sovrapposta a quella degli infermieri che gli fasciavano la spalla.
D’altro canto il povero Arcibaldo poteva essere in pericolo o in difficoltà ed un intervento deciso si rendeva sempre più urgente…
Nel frattempo Petronilla tornava alla carica con un nuovo numero di telefono. Sospirando Alfa riprovò a chiamare e questa volta udì il telefono suonare oltre la porta. Dopo quasi un minuto, una voce maschile rispose al telefono. Era Arcibaldo, era vivo e pareva stare bene.
Cercando di essere chiaro e conciso Alfa spiegò che Petronilla era rimasta chiusa fuori di casa; che sì, le chiavi le aveva, ma non poteva utilizzarle perché all’interno della serratura c’erano quelle di Arcibaldo; che se cortesemente avesse aperto la porta tutto sarebbe tornato alla normalità.
Quando ebbe terminato dovette tranquillizzare Petronilla, spiegandole che sì, aveva parlato con Arcibaldo; che stava bene; che ora sarebbe venuto ad aprire la porta.
Pausa. Una lunga pausa. Una lunga pausa riempita solo dalle parole di Petronilla che brontolava incessantemente contro Arcibaldo.
Circa cinque minuti dopo la porta si aprì e Arcibaldo apparve, con la faccia seccata di chi è stato disturbato mentre sta guardando una finale dei Campionati del mondo in cui gioca la Nazionale.
Ad Alfa non restava che salutare Petronilla; rassicurarla sul fatto che tutto era a posto; che no, non desiderava bere un caffè; che davvero non c’era nessun problema; che ora doveva proprio scappare.
Solo quando ebbe chiuso la propria porta alle sue spalle e girato la chiave nella serratura, Alfa poté tirare un lungo sospiro di sollievo.
C’è però uno strano mistero connesso ai Mondiali. Per una curiosa coincidenza, quando la Nazionale supera i primi turni e si batte per il podio qualcosa di importante o insolito accade nella vita di Alfa. Per lo più, ma non solo, in campo sentimentale. Amori che nascono, storie che si chiudono, persone che compaiono nella sua vita, relazioni che evolvono e complicazioni impreviste.
Così mentre Rossi guidava la galoppata azzurra verso la vittoria, nella Spagna del 1982, sbocciavano i primi germogli del suo primo amore finito ai tempi di Italia ‘90. Nell’estate del 1994, invece, Baggio calciava sopra la traversa, assieme al rigore, anche i resti agonizzanti di una relazione che ormai aveva ampiamente superato i tempi supplementari. Aprendo peraltro la strada ad una complessa serie di eventi che portò all’incontro con Malikà…
In certi casi, però, accadono fatti davvero strani, come quello che accadde in occasione dell’ultimo mondiale. Ricostruiamo la scena. A quell’epoca Alfa non aveva ancora scoperto il Lago dei Misteri e la sua dimora non era sulla “Seconda Isola”, bensì in un appartamentino a ***. Qui, sedeva tranquillo sul divano, accanto a Malikà, guardando la famosa finale Italia - Francia.
Si era, grosso modo, alla metà del primo tempo quando, improvvisamente, il campanello suonò.
«Chi potrà mai essere a quest’ora e nel bel mezzo della partita?» si domandarono – grosso modo con queste parole – i due guardandosi l’un l’altro con fare interrogativo.
Senza staccare gli occhi dal televisore Alfa si avvicinò la porta e trovata a tentoni la maniglia domandò chi fosse, con la segreta speranza di aver sentito male o che qualcuno avesse inavvertitamente urtato il campanello, magari scambiandolo per l’interruttore della luce.
Non si trattava, tuttavia, di un errore, perché dall’altra parte della porta si udiva una voce che chiedeva aiuto. A voler essere più precisi si trattava della voce della vicina, che chiedeva soccorso per essere rimasta chiusa fuori di casa. A voler essere ancora più precisi Alfa capì cosa gli stava dicendo solo dopo aver aperto la porta ed essersela trovata di fronte.
Prima che qualcuno tra i lettori di sesso maschile cominci a fantasticare su una hostess vicina di casa rimasta chiusa fuori di casa avvolta solo da un asciugamano è opportuno precisare che la vicina non era avvolta in un asciugamano e tanto meno era una hostess.
Ciò appurato – in caso contrario non avrebbe certo lasciato la povera ragazza in una situazione così incresciosa – Malikà, che aveva seguito le prime fasi della vicenda, lasciò che fosse Alfa a risolvere la questione, continuando sul divano a seguire anche per lui la partita.
Petronilla, così chiameremo la vicina di casa, era una simpatica e arzilla signora sull’ottantina abbondante. Con un po’ di fatica Alfa riuscì a capire quello che Petronilla, tutta agitata, andava farfugliando. Era uscita per delle commissioni – inutile chiedere quali faccende dovesse sbrigare a quell’ora – e rientrando aveva trovato la porta del suo appartamento chiusa dall’interno.
Il responsabile di questo fatto increscioso altri non poteva essere che Arcibaldo – chiameremo così suo marito – ma la causa di questo insolito comportamento non era nota. Oltretutto il buon Arcibaldo non rispondeva ai ripetuti scampanellii alla porta.
Dopo aver timidamente provato a suonare e a bussare due o tre volte, Alfa poggiò decisamente l’indice sul campanello e lo tenne premuto per una trentina di secondi. Inutilmente. Dall’appartamento veniva solo il rumore della televisione sintonizzata sulla partita.
Nel frattempo Petronilla riuscì a dare ad Alfa il numero di telefono dell’appartamento, pregandolo di chiamare. Cosa che Alfa fece, ma solo per sentirsi dire da una voce femminile che il numero era inesistente. Evidentemente nell’agitazione Petronilla aveva scordato il proprio numero di telefono.
Messo da parte il cellulare, Alfa cominciò a passare in rassegna le possibili opzioni e le altrettanto possibili conseguenze. Chiamare i Vigili del Fuoco o i Carabinieri gli sembrava eccessivo fino a che non avesse avuto certezza di una situazione di emergenza. Già gli pareva di vedere le facce dei pubblici ufficiali disturbati in una sera in cui c’erano cose ben più importanti da fare.
Buttare giù la porta avrebbe forse potuto dare soddisfazione ad un certo impulso primordiale che andava aumentando man mano che i minuti passavano e la situazione non si sbloccava. Lo fece desistere però l’immagine della faccia del padrone di casa che gli chiedeva i danni sovrapposta a quella degli infermieri che gli fasciavano la spalla.
D’altro canto il povero Arcibaldo poteva essere in pericolo o in difficoltà ed un intervento deciso si rendeva sempre più urgente…
Nel frattempo Petronilla tornava alla carica con un nuovo numero di telefono. Sospirando Alfa riprovò a chiamare e questa volta udì il telefono suonare oltre la porta. Dopo quasi un minuto, una voce maschile rispose al telefono. Era Arcibaldo, era vivo e pareva stare bene.
Cercando di essere chiaro e conciso Alfa spiegò che Petronilla era rimasta chiusa fuori di casa; che sì, le chiavi le aveva, ma non poteva utilizzarle perché all’interno della serratura c’erano quelle di Arcibaldo; che se cortesemente avesse aperto la porta tutto sarebbe tornato alla normalità.
Quando ebbe terminato dovette tranquillizzare Petronilla, spiegandole che sì, aveva parlato con Arcibaldo; che stava bene; che ora sarebbe venuto ad aprire la porta.
Pausa. Una lunga pausa. Una lunga pausa riempita solo dalle parole di Petronilla che brontolava incessantemente contro Arcibaldo.
Circa cinque minuti dopo la porta si aprì e Arcibaldo apparve, con la faccia seccata di chi è stato disturbato mentre sta guardando una finale dei Campionati del mondo in cui gioca la Nazionale.
Ad Alfa non restava che salutare Petronilla; rassicurarla sul fatto che tutto era a posto; che no, non desiderava bere un caffè; che davvero non c’era nessun problema; che ora doveva proprio scappare.
Solo quando ebbe chiuso la propria porta alle sue spalle e girato la chiave nella serratura, Alfa poté tirare un lungo sospiro di sollievo.
Lago dei Misteri
giovedì 1 luglio 2010
Paperblog
Paperblog è una piattaforma partecipativa di informazione che si presenta come un magazine on-line dove gli articoli sono tratti dai blog iscritti.
Il suo scopo è da una parte quello di offrire ai lettori l'informazione – normalmente sparsa nella rete – permettendo loro di restare su un'unica interfaccia; dall'altra quello di permettere ai blogger meno conosciuti di raggiungere un numero più elevato di lettori, farsi conoscere e allo stesso tempo
incontrare altri blogger.
Paperblog nasce proprio con l'obiettivo di localizzare e rendere visibili i contenuti più interessanti, originali e accattivanti per presentarli a un numero di utenti sempre maggiore.
Da qualche giorno anche il lago dei misteri ha aderito a questa piattaforma, nella rubrica cultura, con i post pubblicati su http://illagodeimisteri.blogspot.com
C’è anche una scheda con il profilo di Alfa in cui trovate tutti gli articoli pubblicati.