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giovedì 28 maggio 2009

Disfida 4 (beta). Due storie di morti

Due racconti che hanno a che fare coi morti. Morti che paiono non avere alcuna voglia di starsene sottoterra in santa (ed eterna) pace….


Il cavallo bianco

Un’altra storia ispirata ad una testimonianza raccolta da Paesi di Mezzo. I becchini erano figure strane, evitate e temute, per quel loro contatto quotidiano con la morte. Qui però il becchino ha a che fare con qualcuno ancora più temibile.


C’era un uomo, che faceva il becchino. In tempi in cui le fosse si scavavano e si riempivano a mano capitava spesso che il lavoro finisse ben oltre il tramonto.
Poiché se avesse avuto paura dei morti il nostro non avrebbe fatto quel lavoro, l’essere da solo nel cimitero dopo il tramonto, con una pala in mano e una bara da seppellire non era per lui un problema. Certo, c’era l’umidità della notte, specie nei mesi invernali, ma un fiasco di vino era un ottimo rimedio per quello.
Così il becchino, finito il suo lavoro, se ne tornava verso casa, tutto sommato contento del suo lavoro, che gli permetteva di non emigrare. Una cosa di cui non c’era mai penuria erano i morti, per cui il suo era quasi un vivere di rendita.
Certo, c’erano cose antipatiche, come quel toccarsi quando lo incrociavano. Del resto gli uomini frugavano nei pantaloni anche quando incontravano i preti e, con più discrezione però, le suore. A suo modo il becchino si sentiva di appartenere ad una casta privilegiata, guardata sempre con timore, se non con rispetto.
«Sono un collega del prete!»
Lo raccontava ridendo all’osteria, dove non mancavano mai le occasioni per farsi offrire da bere, perché di storie da raccontare ne aveva sempre tante. I cadaveri hanno infatti comportamenti strani. Talora, riesumandoli per purgare il cimitero, si trovavano scheletri scomposti, come se si fossero rigirati più volte nella tomba. O corpi stranamente conservati. Altri ancora sembravano aver rosicchiato il sudario in cui erano stati avvolti…
Quello che gli accadeva da un po’ di tempo era però inspiegabile. Ogni volta che tornava a casa, passando dal Brentu vedeva un cavallo bianco. Aveva chiesto in giro di chi fosse, ma nessuno possedeva un animale del genere. Eppure, ogni volta, il cavallo sembrava attenderlo. Lo seguiva per un tratto di strada quasi sfidandolo a salirgli in groppa, poi, misteriosamente come era apparso, scompariva nell’oscurità della notte.
Il becchino non si fermava, perché sapeva che in questi casi era sempre meglio continuare il cammino, ma aveva cominciato ad inquietarsi.
Una notte, dopo un po’ di tempo che questa storia andava avanti, arrivato al Brentu non vide il cavallo. Non fece però in tempo a tirare un sospiro di sollievo, perché da dietro un cespuglio sbucò un cane nero che gli ringhiava contro. Allora alzò la pala e gli diede un gran colpo di piatto sulla schiena.
Il giorno successivo vide il prete che camminava tutto indolenzito con la mano sulla schiena. Da allora il cavallo bianco non si fece più vedere...




I morti che camminano

Una storia che viene dalla Valle Strona, ma che a sua volta è ispirata ad una credenza radicata in tutta Europa, quella dei morti che camminano.

Solo poche persone possono vederli e solo in alcuni giorni dell’anno. Nessuno sa dove vadano e perché. Del resto è noto: i morti non parlano. Nemmeno quando vanno in processione.
Procedono lenti in lunghe file. Talora sono interi eserciti, resti di legioni romane, orde barbariche o eserciti medievali, in marcia dietro una bandiera o un generale che hanno giurato di seguire fino agli inferi.
Talora sono anonime folle disarmate, che illuminano la strada con il fuoco che arde sulle mani. Punizione eterna per i loro peccati? Espiazione in attesa del giudizio? Difficile dirlo…
In tutta Europa gli avvistamenti di queste processioni di fantasmi sono innumerevoli. E non potevano mancare, naturalmente, nella Valle Strona, la valle più selvaggia del Cusio, dove le tradizioni fanno ancora parte del presente.

Si narra di una donna che, molti anni fa, rimase senza il fuoco. Era inverno e il camino spento pareva utile solo a convogliare nella casa il freddo della notte. Col marito in Germania a fare il peltraio e il bambino che piangeva nella culla, per la donna che abitava in quella casa isolata la notte si preannunciava più tetra del solito.
Così, quando dalla finestra vide le luci, uscì per chiedere a quelle persone se potessero darle un po’ di fuoco. Lo chiese alla prima, che camminava avvolta nel mantello nero, senza ottenere risposta. Lo chiese alla seconda, alla terza, alla quarta… senza ottenere nulla, fino all’ultima, che le diede una candela senza parlare.
La donna, felice, corse ad accendere il camino. Solo quando soffiò per spegnere la fiamma che aveva in mano, si accorse che non si trattava di una candela, ma di un dito. Inorridita lo lasciò cadere a terra, restando a fissarlo per molto tempo. Infine cedette alla stanchezza e andò a dormire.
Poco prima dell’alba fu svegliata da un bussare alla porta. Quando andò ad aprire trovò una figura ammantata che protendeva una mano scheletrica con sole quattro dita.
La donna corse in tutta fretta a raccogliere il dito e glielo diede. Poi rimase a guardare, incapace di muoversi, mentre quell’ombra si allontanava per accodarsi alle altre che scomparivano dietro la curva.

3 commenti:

  1. Alfuccio nettamente più bella e verosimile la prima storia... e poi io con un dito mozzo sul pavimento della cucina non riuscirei mai a chiudere occhio... altro che andare a dormire! Salutami Malikà!

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  2. al contrario di Tarkan, sarà forse per la giornata trascorsa, ma opto per i morti che camminano ;-)

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  3. Voto anch'io i morti che camminano!

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