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lunedì 30 giugno 2008

Noci e streghe. Parte 6, i processi





Nel 1420 Mariano Sozzini, scrivendo a Antonio Tridentone riferisce di un incontro avuto con un certo Nanni Ciancaddio il quale gli aveva raccontato la storia del volo magico verso Benevento. Pare questa la prima citazione attestata di questa pratica.

Di un volo verso la città campana «dopo essersi unta con un certo unguento fatto di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di fanciulli lattanti e altre cose, e dicendo: "Unguento, unguento mandame al la noce de Benivento supra acqua et supra ad vento et supra ad omne maltempo"» (De Bernardo) si parla anche nel processo ad una certa Matteuccia svolto dal tribunale laico della città di Todi nel 1428. Gli atti contengono anche il primo riferimento al noce de Benivento.

San Bernardino aveva predicato a Todi due anni prima del processo. Probabilmente usò parole simili a quelle pronunciate a Siena: “E però dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda, o incantatori o streghe, fate che tutte sieno messe in esterminio per tal modo, che se ne perdi il seme; ch'io vi prometto che se non se ne fa un poco di sagrificio a Dio, voi ne vedrete vendetta ancora grandissima sopra a le vostre case, e sopra a la vostra città". La condanna della disgraziata Matteuccia accusata “per pubblica fama” di essere “donna di cattiva condotta e reputazione, incantatrix, strega, factuchiaria et maliaria” conferma l’efficacia del suo lavoro.

Il processo di Todi divenne un precedente importante, sia nella pratica forense che nello studio “scientifico” del fenomeno della stregoneria. All’epoca del processo gli strumenti teorici su cui formulare le accuse erano infatti ancora alquanto rudimentali.
Esisteva un “Canon episcopi”, scritto nella seconda metà del IX secolo, che è una breve istruzione ai vescovi sull'atteggiamento da tenere nei riguardi della stregoneria. In esso si affermava che «[...]chiunque è così stupido e folle da credere a storie tanto fantasiose [il volo delle streghe, ndr.] è da considerarsi un infedele, perché ciò deriva da un'illusione del Demonio». In sostanza si affermava che il volo era effettuato solamente con la fantasia. L’evidente difficoltà ad istruire un processo sulla base di fantasie rese il testo sostanzialmente inutile in sede inquisitoria.
Per ovviare a tale lacuna il domenicano Nicolau Aymerich, inquisitore generale d'Aragona scrisse nel 1376 (molto prima di diventare il protagonista dei romanzi di Valerio Evangelisti, quindi) il Directorium inquisitorum.
Furono però altri due frati domenicani, Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, a scrivere il principale trattato sull’argomento, raccogliendo l’invito del Pontefice Innocenzo VIII, che con la bolla Summis desiderantes (1484) aveva affermato l'urgenza di combattere l'eresia e la stregoneria. Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe), scritto nel 1486, divenne rapidamente il principe dei manuali dei cacciatori di streghe.

La cosa sconcertante è che questi testi non vennero scritti sulla base di un fenomeno criminale svelato man mano dalle sentenze. Furono le sentenze ad essere scritte sulla base dei manuali. Le donne arrestate, sottoposte a torture inumane,finivano infatti per confessare quello che gli inquisitori volevano sentirsi dire. E poiché gli inquisitori conoscevano solamente i loro libri, ecco che i processi finirono con il confermare in maniera sempre più precisa le teorie esposte nei testi.

Donne che mai si erano allontanate dai loro paesi confessavano così di essersi recate in volo per il gran sabba fino ad un noce, situato nei pressi di una città, di cui solo in sede di interrogatorio apprendevano il nome: Benevento.

In questo modo la leggenda nera del noce assunse l’aspetto definitivo, confermando peraltro i sospetti di un altro domenicano. Giordano da Pisa, ai primi del Trecento, già guardava con sospetto il noce, invitando la gente a tagliare gli alberi grandi che fanno ombra e impediscono ogni altra vegetazione; e metteva in guardia contro un albero che, come dice il nome stesso, “nuoce”. Alberi pericolosi, come aveva scoperto a proprie spese Bartolomeo da Narni che, dopo essersi addormentato sotto l'ombra di un noce, si era svegliato paralizzato.



Bibliografia

  • AA.VV., Iside. Il mito, il Mistero, la Magia, Catalogo della Mostra 21 febbraio -1 giugno 1997, Milano 1997.
  • Monica De Bernardo, Il caso di Matteuccia: riflessioni, http://www.url.it/donnestoria/testi/mattdebern.htm
  • Franco Cardini, L’Arcangelo Michele nell'Europa occidentale, http://fralenuvol.com/albero/sapere/angeli/approfondimenti/angelo_michele.php
  • Marina Montesano, La "Vita Barbati": culti longobardi e magia a Benevento, in "Studi beneventani", 4-5, 1991, pp. 39-56.
  • Antony S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Milano, 2001.
  • Alfredo Cattabiani, Lunario, Milano, 1994.
  • Michael Grant, John Hazel, Dizionario della mitologia classica, Milano 1986.

4 commenti:

  1. trovo sconcertante il fatto che si obbligasse un essere umano, in questo caso unadonna, a dire ciò che si vuol sentir dire, che poi è ciò che si è deciso sia verità, e trovo ancora più sconcertante che poi queste cosa venivano usate come cnferma per la teorie di cui sopra. mio dio.

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  2. Ciò che sconvolge ulteriormente è che queste vicende non siano accadute solo nei "secoli bui" (nel caso delle streghe peraltro il medioevo non c'entra: il fenomeno è avvenuto nell'età moderna), ma anche in epoche molto vicine a noi.

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  3. Ancora a proposito di noci. Mi viene in mente che nello sperduto paeselo veneto dove è cresciuto mio padre, i noci venivano sistemativamente tagliati. Venivano lasciati crescere solo sui pendii troppo scoscesi per farci altro. Mio padre dice che era perchè le foglie del noce sono nocive per le mucche, ma di fatto in quelle stesse pendici scoscese dove queste piante venivano lasciate crescere c'erano i buchi delle strege (cavità dove si diceva vivessero le streghe)...

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  4. E' un'ulteriore interessante conferma di quanto fosse radicata e diffusa la credenza del noce come albero delle streghe.
    Nel caso specifico è probabile che ci fosse il desiderio di preservare i pascoli. Gli alberi di alto fusto (conifere comprese) sono mal visti dagli alpigiani, perché con le foglie impediscono la crescita dell'erba.
    Probabilmente qui c'è un aggrovigliato intreccio di tecniche empiriche di agronomia, superstizioni e tradizioni.

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