C’erano una volta, molto tempo prima che i Walser s’insediassero a Campello Monti, due alpigiani che lavoravano alle dipendenze dei Canonici di San Giulio.
I due uomini in precedenza erano stati ladri e assassini. Imbrogliando i Canonici avevano pensato di trovare in quel luogo appartato un rifugio sicuro, in cui esercitare la loro indole malvagia.
Pochissimo interessati al lavoro nei pascoli, erano invece principalmente occupati a compiere ogni genere di sopruso ai danni degli altri alpigiani. Spostavano i termini dei confini, tagliavano le piante e facevano sparire le greggi. E le donne e i ragazzi dovevano stare ben alla larga da loro, se non volevano finire molto male.
Le lamentele per le loro iniquità giunsero infine agli orecchi dei Canonici, che decisero di andare di persona a controllare ciò che stava accadendo in quei luoghi.
Due di loro salparono all’alba dall’Isola di san Giulio e, sbarcati ad Omegna, risalirono la valle a piedi. Quando giunsero a Capello videro coi loro occhi i due intenti a rubare della legna nel bosco. Allora si avvicinarono e cominciarono a rimproverarli aspramente, ricordando loro le pene che attendevano i peccatori dopo la morte.
I due però risero alle loro parole e bestemmiando gridarono di non avere alcuna paura né degli uomini, né di Dio. Infine, afferrati bastoni e coltelli, si avvicinarono minacciosi ai due Canonici per togliere di mezzo quegli importuni testimoni.
All’improvviso però si alzò una nebbia fittissima e i due banditi non riuscirono più in alcun modo a scorgere i Canonici. La foschia era così densa da non consentite loro nemmeno di vedere i propri piedi, così cominciarono a brancolare come ciechi, chiamandosi l’un l’altro.
Infine riuscirono a trovarsi e si abbracciarono felici, ridendo e bestemmiando Dio, che nulla poteva contro di loro.
Ma non appena uno dei due mosse un passo, trovò il vuoto invece del terreno erboso. Aggrappandosi disperatamente al compagno lo trascinò con sé nella caduta. I loro corpi caddero sulle rocce sottostanti e finirono nel torrente, che li trascinò via.
Quando infine i loro corpi vennero trovati, incastrati sotto una cascata, si diffuse una voce. Le loro anime, a punizione dei loro peccati, sarebbero rimaste per sempre sotto quelle acque gelide e turbinose, eternamente battute e rivoltate dalla corrente.
Per questo motivo la cascata prese il nome, che ancora conserva, di “Pissa dei Dannati”.
Il racconto è una rielaborazione della versione contenuta nel volumetto L'Uomo e l'Acqua, edito dall'Ecomuseo del Lago d'Orta e Mottarone nel 2002.
RispondiEliminaA loro volta, gli studenti della classe III di Casale Corte Cerro l'avevano ripresa da "la Valle Strona", volume edito dalla Fondazione Monti.