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lunedì 28 aprile 2008

I massi coppellati






Tra i luoghi più enigmatici del lago d’Orta, un posto di diritto occupano le numerose pietre, su cui sono incisi segni la cui interpretazione costituisce una vera sfida.
Cosa rappresentano, realmente, quei piccoli buchi scavati nella roccia, chiamati comunemente “coppelle”? Perché su alcune rocce sono incise delle canalette che collegano tra loro le coppelle? E delle linee, talora combinate a formare croci, quadrati, stelle? Per quale motivo in certi luoghi vi sono tracce di incisioni profonde, come quelle lasciate da una lama passata e ripassata più volte nello stesso punto? Per quale motivo alcune rocce risultano levigate come se qualcosa vi fosse stato sfregato ripetutamente? E le “impronte” che la tradizione vuole lasciate dai Santi o dalla Madonna? O le scritte, talora incise in un alfabeto incomprensibile, che si rinvengono su lastre di pietra?
A queste domande, da tempo, tentano di trovare risposte archeologi e storici. Con molta buona volontà gruppi di appassionati si sono messi ad esplorare i boschi e le vallate alla ricerca di segni sulle rocce, ricavandone un notevole elenco di segnalazioni.

È bene dire che non si tratta di un fenomeno esclusivo dell’area cusiana. Si può dire, anzi, che in tutto il mondo le rocce sono la lavagna naturale su cui l’umanità libera il desiderio di eternare un segno. È altrettanto utile ricordare che l’intelletto dell’uomo non è l’unico attore in questo campo: anche la natura modella la pietra col vento, l’acqua e il calore. E che sarebbe pertanto vano cercare un’interpretazione esclusivamente in chiave umana di fenomeni che sono, in parte, naturali. Per altro, rocce dalla forma significativa, ancorché naturale, hanno sempre attirato l’attenzione e l’interesse della nostra specie, che ha riservato loro forme di culto o venerazione.

A complicare ogni tentativo di interpretazione è la perdita, spesso totale, di ogni nostra conoscenza sull’immaginario religioso e simbolico delle popolazioni che ci hanno preceduto. Per rendersi conto della forza distruttiva di questo processo di rimozione, tuttora in corso, basta un semplice esperimento.
Si entri in una chiesa che abbia qualche secolo di vita e si osservino attentamente gli affreschi, gli arredi e i quadri. Dopodiché si cerchi di spiegare che cosa rappresentino i singoli elementi raffigurati e il perché della collocazione all’interno dell’edificio. I più giovani, in particolare, incontreranno enormi difficoltà a rispondere. È invece probabile che i più anziani, in particolare tra le donne, conservino ancora qualche capacità di spiegare, ad esempio, chi siano i santi e da quali elementi (animali, oggetti, strumenti di tortura, piaghe, ecc.) derivino quel significato.
Se questa è la nostra, ben misera, capacità di interpretare i segni, relativamente moderni, di una religione cui buona parte della popolazione italiana aderisce, è facile immaginare quanto risulti complicato comprendere il senso di segni ed immagini che appartengono ad un mondo agropastorale lontano nel tempo e legato ad antichissime ritualità pagane o paganeggianti.

Da qui discende, in larga misura il mistero e il fascino, dell’arte rupestre.

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