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giovedì 31 dicembre 2015

Buon anno!



Negli archivi sotterranei di questo antico castello, tra le pagine di enormi volumi segnati dal tempo, ieri ho trovato la risposta a molti misteri che da tempo mi tormentavano.

Auguro anche a voi che il Nuovo Anno vi consenta di risolvere quei metaforici enigmi del passato che ancora vi impediscono di accogliere i misteri gioiosi che il futuro ha in serbo per voi.  



domenica 27 dicembre 2015

Natale con il mostro



Debbo alla gentilezza di un lettore la segnalazione di un misterioso avvistamento, avvenuto esattamente dieci anni fa...

“...in Località Lagna di San Maurizio d'Opaglio, presso il pontile, il giorno di Natale del 2005 da parte del Ragionier (i Ragionieri imperversano nel Cusio, non si sa perché) U.T. all'epoca di anni 48 residente in Lagna, il quale, al termine di copioso e tradizionale pranzo Natalizio innaffiato da abbondanti bevute, scendeva a fare una passeggiata digestiva al Porto. 

Disturbati dalle urla e dagli schiamazzi dell'U.T. che tentava telefonicamente di far accorrere la moglie alla riva, alcuni cittadini richiedevano l'intervento ai Militi della Pubblica Sicurezza, i quali prontamente accorrevano a bordo di un'auto-pattuglia. Il ragionier U.T. rendeva la descrizione in questi termini: lunghezza dai 30 ai 50 metri, diametro del corpo circa centimetri 40, un solo occhio spalancato e di colore nero che lo fissava. 

I Militi, dopo aver rassicurato il Ragioniere, nel corso di un breve sopralluogo rinvenivano, nascoste sotto un mucchio di foglie secche, in un angolo, n.2 bottiglie di Grappa alla Ruta ormai vuote, che venivano inoltrate al Reparto Investigazioni Scientifiche per ulteriori accertamenti, tesi a individuare eventuali proprietà allucinogene della Grappa alla Ruta.”

Come potete immaginare non potevo non indagare su questo misterioso avvistamento. Ho quindi chiesto il parere del Professore. Preciso subito che non si tratta del Maestro, che vive proprio di fronte a lui, ma dall’altra parte del lago e dubito siano amici, anche se poi il lago è piccolo e la gente si conosce un po’ tutta.

Ad ogni modo il Professore dalla sua finestra sul lago ha uno sguardo privilegiato su tante cose strane che succedono da queste parti e ha tenuto numerose conferenze sui mostri e le bizzarre creature che popolano le acque e le sponde dell’Orta. Ecco di seguito il suo responso autografo alla domanda.

“Teratosaurus Orcheris cusianus. Ultimo discendente dei draghi e dei serpenti che il mitico San Giulio cacciò dall'isola omonima, nei secoli è stato avvistato o intravisto in diverse zone del lago. Tradizionalmente la sua tana viene identificata nel Bus de l'Orchera in località Orta nel golfo detto Bagnera. Talora, nell'ora del tramonto, pare sia stato intraveduto dalle sponde di Tortirogno o Bagnella, sfilarsi controluce alla superficie, nel tornare al suo comodo rifugio.

Di che si nutre il Teratosauro cusiano? Bella domanda. Sono state avanzate le più suggestive ipotesi. Tendiamo ad escludere quelle che accennano a mortadelle di fegato dagli indigeni chiamate "fidighine". Un cuoco borgomanerese sta tentando di provare la sua teoria che il Teratosauro sia molto ghiotto di "tapulone". Ma per quanto ne sappiamo, ad oggi la sua speranza è andata frustrata. Nemmeno la polenta con il gorgonzola sembra far parte della dieta del mostro. 

Il problema non è peregrino come potrebbe apparire, perché in realtà se il mostro si nutrisse semplicemente di pesce sarebbe morto di fame durante la seconda metà del XX secolo durante la quale la popolazione del lago si ridusse fin quasi allo zero a causa dell'inquinamento. Solo potevano restargli pochi gobbini, qualche arborella ed un paio di cavedani, neanche da togliersi la prima fame, povero mostro!

E' stata da alcuni avanzata l'ipotesi che il Teratosauro, parente biologico del mitico Verdone Mangiasassi, si sia nutrito e si nutra di granito. Non ci sentiamo di escluderlo a tutta prima, ma sicuramente la chiusura delle cave di Alzo, deve averlo costretto ad una dieta piuttosto ferrea negli ultimi 50 anni.

Lasciamo il problema alimentare del mostro, e veniamo ad affrontare un altro nodo decisivo: quello della riproduzione (non temete, non scenderemo nei dettagli, non è necessario mandare a letto i bambini). La biologia però ci dice che tutti, prima o poi, nel lungo, magari lunghissimo periodo, cenere torneremo e un ricambio si impone. Per cui la natura saggiamente operò, e maschio e femmina li fece, per garantire l'eternazione alle specie. Quindi allo stato attuale delle conoscenze: o il Teratosauro è molto, molto vecchio, oppure occorre supporre l'esistenza di una Teratosaura. Ma come distinguerli l'uno dall'altra? Dal fatto che la femmina ha le ciglia più lunghe? In mancanza di studi scientifici approfonditi sul dimorfismo sessuale dei Teratosauri siamo costretti ad abbandonare anche questo interessantissimo argomento. 

Poco possiamo aggiungere a quanto già detto sul mostro e siamo attivamente impegnati a raccogliere testimonianze, tracce e indizi relativi al o ai Teratosauri.”



mercoledì 23 dicembre 2015

Buone feste col Solstizio



Vi auguro Buone Feste con questa foto 
scattata durante il Solstizio d'Inverno. 

Per inciso, 
vi parlerò presto della misteriosissima struttura 
dove ho scattato la foto...


domenica 20 dicembre 2015

Il gastaldo. Capitolo 1.5


Trascorse la notte nella grande sala che fungeva da dormitorio comune per le guardie del palazzo. Al mattino un soldato lo andò a prendere e lo accompagnò in una piccola sala, dove con sua grande sorpresa trovò solo il re, la regina, due guardie e il walha che aveva visto a cena. 
«Ti abbiamo fatto venire qui» disse il re facendogli cenno di alzarsi dopo l’omaggio «per via dell’incarico che ti abbiamo assegnato. Come saprai, dai tempi della conquista, il duca delle terre tra i fiumi Ticinum e Siccida è Meynulf. Dimmi, lo conosci?»
«Solo di fama» rispose Aribert scuotendo il capo. «So che è un guerriero valoroso, spietato coi nemici e coi suoi.»
«Meynulf sarà il tuo principale problema» l’ammonì il re. «Quando il consiglio dei duchi si riunì per insediare sul trono Autaris e decise di cedere metà delle proprie terre al re, per accrescerne la forza ed il prestigio, Meynulf fu contrario e solo sotto minaccia di guerra cedette. Quando i Franchi varcarono le Alpi, Meynulf non si mosse dalla sua roccaforte, posta su un’isola al centro del lago che porta il nome del Santo Giulio. E Gisulf era entrato in contrasto con lui poco prima di quello strano incidente. Ora, il tuo primo compito sarà di capire se ci sia la mano di Meynulf dietro la sua morte. E se il comportamento ambiguo tenuto durante la guerra sia il risultato di un accordo tra il duca e i nemici. In altre parole, dovrai scoprire se Meynulf è un traditore ed in questo caso dovrai arrestarlo e informarmi immediatamente, perché possa decidere della sua sorte.»
«La situazione non è per nulla tranquilla» intervenne la regina. 
Aribert non era abituato al fatto che una donna intervenisse in questioni da uomini. Tuttavia, occorreva riconoscerlo, la regina era una donna molto speciale. 
«Siamo in guerra con Ravenna» proseguì Teodelind. Molti duchi, più o meno apertamente, hanno contestato l’elezione del re e tramano contro di lui. Meynulf ha in mano le chiavi delle porte delle Alpi e può spalancarle in qualsiasi momento per consentire ai Franchi di colpire il re alle spalle. Non si può lasciare che esse siano affidate ad un traditore, ma il re non può neppure distogliere uomini e mezzi dalla lotta contro l’Esarca. Pertanto, nel caso in cui i sospetti del re siano fondati, dovrai catturare Meynulf con l’astuzia, piuttosto che con la forza. Per questo motivo abbiamo pensato di darti un aiuto.»
La regina indicò il walha, che s’inchinò rispettosamente. 
«Octavius è un nostro fedele consigliere e ti sarà d’aiuto dove la spada potrebbe essere insufficiente. Inoltre conosce il territorio e potrà darti, ne siamo certi, suggerimenti preziosi.»
Aribert era sbalordito. Mai si sarebbe aspettato di trovarsi a fianco un walha. Quell’uomo poi, coi suoi occhi profondi, che parevano scrutare l’anima, gli metteva addosso un profondo disagio. Gli ordini, tuttavia, erano chiari e le implicazioni anche. Quelli del walha sarebbero stati anche gli occhi del re e della regina sull’operato del gastaldo.



giovedì 17 dicembre 2015

Festeggiando il Solstizio a Montecrestese



Se volete fuggire dalla frenesia dello shopping prenatalizio e festeggiare in maniera alternativa il Solstizio ecco a voi un evento decisamente particolare organizzato dall'Associazione Canova (date un'occhiata al sito www.canovacanova.com, ne vale la pena).


Presso il Tempietto Lepontico di Montecrestese (una misteriosissima struttura interpretata come un tempio precristiano costruito dai Leponti e incredibilmente sopravvissuto) si terrà una chiacchierata all'aperto (copritevi!) sui culti precristiani.

Io ci andrò sicuramente, se passate di lì fate un fischio... ;)



martedì 15 dicembre 2015

Pranzo speciale per bambine anemiche dell’Ottocento


A Milano nell'Ottocento si arrivava in barca

C’era una volta una bambina, nata esattamente 150 anni fa, che perso il padre ancora piccola per una sorte malaugurata, fu messa in un antico e famoso ricovero milanese per orfane. La Stelline, come erano chiamate le piccole, potevano mangiare tre volte al giorno, a colazione, pranzo e cena. Nel menu oltre al latte, alla frutta e alle minestre, non mancavano le “pietanze”. Scarseggiava però la carne, dal momento che il costo giornaliero era sui 95 centesimi.

Così quando il dottore disse che la piccola era anemica e avrebbe avuto bisogno di mangiare carne, il cuoco disse “ghe pensi mi!”. A beneficio dei lettori non lombardi, l’espressione oltre al suo significato letterale (“ci penso io”) è emblematica di quel modo di pensare milanese per cui un ostacolo non è una problema, ma un’occasione per mettere in mostra il proprio talento.

Così a Maria, così si chiamava, fu servita carne ben cotta, arrostita e saporita. Quando ebbe finito, il cuoco le domandò se le fosse piaciuta e di indovinare cosa fosse. Maria passò in rassegna gli animali che conosceva, ma il cuoco sempre scuoteva i baffoni ridacchiando.

Quando si arrese la risposta le venne servita con un contorno di risate: “topo!”

Fino a noi è giunto il ricordo disgustato della mia bisnonna Maria, che si guardò bene dal toccare altra carne finché fu li dentro, mentre dell’esperto cuocitor di roditori e del suo speciale talento si è persa la memoria. 




mercoledì 9 dicembre 2015

Le disavventure di uno storico



C'era una volta un tale che, durante le sue vacanze a Pettenasco, si era messo in testa di scrivere una storia, o per meglio dire un trattenimento storico, della Riviera di San Giulio, Orta e Gozzano.
Così sedette alla scrivania, prese penna, carta e calamaio e si accinse a scrivere il suo importante lavoro, con la finestra aperta per il caldo.

Ecco però che "le donne, quando il rigor del verno non le tiene nelle loro casupole intanate, o escono ai lavori di campagna, o portano fuori le loro sedie impagliate, mettonle agli usci e, fatta sala della via, una fa calzette coi ferruzzi, un'altra dipana, un'altra ancora cuce. 

Insomma tutte fanno il loro mestiere particolare; e in ciò sono divise, ma parlano in comune dallo spuntare fino al tramontare del sole. Ciò pure accade alla sera radunandosi alcune in una casa, alcune in un'altra, e trattando il fuso e la canocchia. 

E in aggiunta al cicaleggio avvi anche qualche madre, o nonna, o zia, la quale non sapendo come meglio educare il piccolo fanciullo, che le sta vicino alquanto irrequieto, tirando d'orecchi, dando ceffate, e con le aperte palme il tenero cularello percuotendo lo fa stridere e gridare quanto gli può uscire dalla gola, tantoché talvolta s'ode un coro di fanciulli che piangono, di donne che rinfacciano la crudeltà alla comare, e di comare la quale sostiene il suo metodo e fa le sue difese."

Per la cronaca, il lavoro di scrittura giunse alla fine, segno indubitabile che il cicaleggio non era così insopportabile o che i vecchi brontoloni sono sempre esistiti.



domenica 6 dicembre 2015

Il gastaldo. Capitolo 1.4

Bratteato di Tjurkö

Nella vasta sala del palazzo i commensali sedevano sul lato esterno di una lunga tavola imbandita, disposta a ferro di cavallo. Nello spazio vuoto al centro i servitori si alternavano ai giocolieri. Gli uni per saziare i presenti di carni e vino, gli altri per allietarne gli occhi con giochi di abilità con le spade ed il fuoco. 
Una cosa che sorprese Aribert fu di vedere seduti a tavola accanto ai Longobardi anche alcuni walha, come erano chiamati i non longobardi che parlavano latino. Li si riconosceva immediatamente dalle barbe rasate o portate corte come i capelli e dai lunghi vestiti sotto cui indossavano calzoni e gambali di panno.
Non era abituato a questo genere di coabitazione. Svuotò d’un fiato la coppa di vino che teneva in mano e mentre l’appoggiava sul tavolo si accorse che uno di loro lo fissava. Contrariamente a quello che si sarebbe aspettato, vedendosi scoperto, l’uomo dalla corta barba nera non abbassò lo sguardo, alzando invece il calice in suo onore. Sorpreso da quel gesto riempì di nuovo la tazza e si alzò in piedi.
«Lunga vita a re Agilulf!» gridò brindando.
«Lunga vita al re!» risposero gli altri.
Il walha bevve come gli altri e tornò a sedersi. Aribert tornò a guardarlo, ma l’uomo era impegnato in una fitta conversazione con un longobardo che sedeva al suo fianco. Non riusciva a sentire nulla di quello che si dicevano, ma vedeva chiaramente il longobardo annuire alle parole dell’altro. A casa sua le cose funzionavano diversamente. I longobardi davano ordini e i walha eseguivano. 
Guardò il re. Il suo predecessore aveva assunto il titolo di Flavius. Ora i walha a corte erano sempre più numerosi. Si domandò dove sarebbero andati a finire di questo passo.
Si versò nuovamente da bere, per scacciare quei pensieri. In fondo il suo compito non era discutere la politica del re. D’ora in avanti avrebbe dovuto pensare ad amministrare i suoi possessi nella terra oltre il fiume Ticino.


Nota: le prime fasi dell'occupazione longobarda furono contrassegnate da una netta separazione tra gli invasori e i walha, nome con cui erano indicati i precedenti abitanti non germanici delle terre conquistate. Più in generale il termine siugnificava "straniero, non parlante una lingua germanica".

A Tjurkö, Centena orientale, Blekinge (Svezia) furono ritrovati due bratteati (monete) con iscrizioni runiche in proto-norreno. Su Tjurkö 1, datato tra il 400 ed il 650, compare una testa sopra un cavallo e sotto un uccello, interpretata come un’immagine di Odino.
Sulla moneta c'è anche la scritta runica “wurte runoz an walhakurne heldaz kunimudiu” che viene tradotta “Rune in ferro battuto di Heldaz sul 'grano straniero' [il bratteato stesso] per Kunimunduz”.

Il temine è alla base, ad esempio, dell'inglese "welsh" per indicare gli abitanti celtici, non anglosassoni, del Galles (Wales). 

Grazie alle competenze tecniche di cui molti di essi erano portatori, il governo longobardo cominciò abbastanza presto a servirsi dei walha, favorendo un processo di graduale integrazione. Aribert, che proviene dalla campagna, è sorpreso da questa novità, che in cuor suo non approva.






mercoledì 2 dicembre 2015

Incidente a Pella: coinvolta una renna



Se vi aspettate regali per Natale da parte di Babbo Natale è bene che sappiate che ha avuto un incidente dalle parti di Pella, sul lago d'Orta.

venerdì 27 novembre 2015

Tolkien, gli Inklings e Charles Williams


Alla fine degli anni Trenta un fatto nuovo venne a turbare la serenità degli incontri degli “Inklings”. C.S. Lewis incontrò e accolse entusiasticamente tra gli Inklings lo scrittore Charles Williams. Lewis lo trovava “assolutamente irresistibile” e amava i suoi libri, in cui abbondavano gli elementi fantastici innestati sulla realtà contemporanea. T.S. Eliot li definì “thriller soprannaturali o metafisici”. 

A Tolkien invece non piacevano le sue opere, che sentiva molto lontane dal proprio spirito, e talora sgradevoli. Williams, tra le altre cose, aveva posizioni religiose e filosofiche molto lontane da quelle del cattolico Tolkien. 

Faceva parte della Chiesa d’Inghilterra e scrisse numerose opere teologiche, ma era attratto anche dalla magia e dal satanismo. Aderì alla “Golden Dawn”, una setta esoterica di cui avevano fatto parte anche personaggi inquietanti, come il famigerato mago nero Aleister Crowley. 

La comparsa di Williams tra loro fu una delle cause a cui Tolkien attribuiva il raffreddamento dell’amicizia con C.S. Lewis.

mercoledì 25 novembre 2015

Accendiamo la memoria a Pogno



Accendiamo la memoria è un progetto di valorizzazione dell'immenso patrimonio iconografico del lago d'Orta e del Novarese, che ha visto l'adesione di numerosi soggetti pubblici e privati.

Venerdì 27 saremo a Pogno a vedere immagini inedite e raccontare alcuni aneddoti sulla storia del paese, sui suoi misteri e leggende.


mercoledì 18 novembre 2015

Un antico portale medievale a Orta



Camminando per le vie di Orta (e vi suggerisco di farlo in questo periodo quando c'è meno gente e si può visitare il paese più tranquillamente) è bene guardarsi sempre attentamente attorno.

Di tanto in tanto dai muri emergono tracce di un antico passato. Come questo portale, che riporta una data, 1483, e una scritta sotto l'immagine di un volto, forse persino più antica. I segni di cunei sulla sinistra danno infatti l'idea che il manufatto sia un reimpiego, probabilmente posizionato come architrave in una porta costruita nell'anno 1483.

Il campionario delle incisioni medievali ortesi è ampio e comprende svariati simboli, dall'Albero della Vita a figure animali. Come un lupo/cane presente in un altro portale non distante da quello qui sopra fotografato.

In genere si ritiene che avessero la funzione di proteggere le abitazioni dagli influssi malefici di ogni genere, dalle malattie alla cattiva sorte, e discendono da una tradizione antichissima presente già nel mondo classico.





mercoledì 11 novembre 2015

Sherlock Holmes sul lago d'Orta



Lo sapevate che nei suoi vagabondaggi per l'Europa il celeberrimo detective inglese Sherlock Holmes fu anche sul lago d'Orta? 

E che, ospite del figlio del Principe di Sirdhanah che aveva dimora ad Ameno, si trovò ad indagare sulla scomparsa di un'altrettanto famosa (per lo meno qui da noi) mummia?

Cliccate qui per saperne di più!


mercoledì 4 novembre 2015

Ricordando la Grande Guerra

Il monumento ai caduti ad Alzo di Pella


Oggi si ricorda la fine di un tragico conflitto. Un'immane tragedia che ebbe costi umani ed economici altissimi e creò le premesse di una seconda devastante guerra.


domenica 1 novembre 2015

Il gastaldo. Capitolo 1.3

Teodolinda sposa Autari (Duomo di Monza)

«Aribert, figlio di Liutprand.»
Fu annunciato mentre entrava nella sala delle udienze, dove sedevano Agilulf e la regina Teodelind circondati dai dignitari e dalle guardie che vigilavano in armi sulla sicurezza del re. Aribert aveva già visto Agilulf in occasione del gairethinx* convocato a Mediolanum a maggio. In quel giorno l’assemblea aveva sancito l’elezione del re. Si trattava di una mera formalità, naturalmente, perché le modalità con cui Agilulf era salito al trono erano già leggendarie nelle piazze e nei villaggi. 
Alcuni anni prima la regina madre dei Franchi, Brunechild, si era opposta al matrimonio tra la figlia Clodosvinta ed Autaris, dal momento che una cattolica non doveva, a suo giudizio, sposare un ariano. A quel punto Autaris aveva combinato il matrimonio con la figlia del re dei Bavari, Teodelind, discendente per parte di madre dalla stirpe reale dei Letingi, che molti re aveva dato ai Longobardi, tra cui il nonno Wacon che aveva regnato con giustizia per trenta anni.
Nonostante fosse cattolica, cosa che a molti Longobardi poteva dare fastidio, il fascino e l’intelligenza della giovane regina le avevano conquistato immediatamente un largo consenso, al punto che, dopo la morte di Autaris, i duchi avevano concesso che fosse la Teodelind a scegliere il successore.
Dopo essersi consultata con i ministri, la regina aveva mandato a chiamare Agilulf, il duca di Torino, appartenente alla stirpe degli Anwas, e l’aveva accolto nel castello di Laumellum. Quando il duca era entrato, la regina si era fatta portare una coppa di vino, aveva bevuto ed offerto il rimanente all’uomo. Questi, nel prendere la coppa le aveva baciato la mano in segno di rispetto.
«Perché mi baciate la mano?» aveva chiesto la regina arrossendo «quando potreste baciarmi sulla bocca?».
Con quelle parole Agilulf, che molti consideravano uomo coraggioso, valoroso in guerra e adatto al governo del regno sia per bellezza che per intelligenza, era stato indicato come marito e re. Le aspettative non erano state deluse. Agilulf aveva concluso le trattative di pace coi Franchi, liberando da quel flagello il paese e restituendogli un po’ di tranquillità. Ora, seduto sul trono, il re fissava il guerriero con sguardo ceruleo come volesse soppesarne l’animo. 
«Aribert, figlio di Liutprand» cominciò. «Mi hanno parlato bene di te. Durante la guerra coi Franchi ti sei distinto, combattendo valorosamente per la difesa di Seprium. Mi dicono però anche che sai comandare gli uomini e per questo ti ho mandato a chiamare. Il gastaldo di Plumbia è morto. Un incidente di caccia, mi hanno riferito.»
Il re aveva calcato le ultime parole, come se non credesse a quella versione. Aribert conosceva Gisulf, che aveva incontrato cinque anni prima, durante l’attacco all’isola fortificata di Comum, l’ultimo baluardo dell’Impero ai piedi delle Alpi. Aribert era ancora un giovane guerriero, ma ricordava bene quanto Gisulf fosse stimato da re Autaris. No, era davvero difficile pensare che un guerriero esperto come lui potesse rimanere ucciso in una banale battuta di caccia, benché un incidente fosse sempre possibile, naturalmente.
«Un re, più degli altri, ha bisogno di uomini fidati» riprese gravemente Agilulf. «Uomini come te, Aribert. Inginocchiati.»
«Ai vostri ordini» disse Aribert piegandosi. 
Il re estrasse la spada, protendendola sopra le spalle del guerriero.
«Ti nomino gastaldo di Plumbia» gli toccò le spalle con la lama «con il compito di amministrare le terre regie. Partirai domani e potrai scegliere gli uomini che ti aiuteranno nel tuo compito. Questa sera, però, sarai nostro ospite a cena.»



Note
*Gairethinx: nel diritto longobardo indicava l'assemblea del popolo in armi, in cui l’approvazione delle leggi o delle altre deliberazioni era espressa battendo le lance sugli scudi.




mercoledì 28 ottobre 2015

La Festa delle streghe



Volete festeggiare le streghe? Quale posto migliore della Valle Strona, ai piedi delle grotte che portano il loro nome? E quale data migliore del 31 ottobre?

venerdì 23 ottobre 2015

Tolkien e la modernità

Saruman arringa il suo esercito in una scena de "Il Signore degli Anelli"

Tolkien, pur apprezzandone alcune comodità e vantaggi, non amava la modernità, la cui peggiore incarnazione era per lui la “Macchina”. 

Forse questa avversione era nata sul fronte di battaglia della Grande Guerra e si era rafforzata durante la Seconda Guerra Mondiale, quando aveva avuto modo di osservare gli effetti tragici e disumanizzanti della tecnologia. 

Anche la ricostruzione post bellica, con la distruzione di molti dei paesaggi a lui cari influì su questa visione, che nel Signore degli Anelli appare incarnata nella figura di Saruman, lo Stregone corrotto, che come uno scienziato folle distrugge la Natura per costruire le proprie macchine e le proprie mostruose creature. 

mercoledì 21 ottobre 2015

Si parla di streghe



Si parlerà di streghe in Valstrona, sabato prossimo. Un viaggio tra roghi ed erbe condotto dai Viaggiatori Ignoranti in un museo che sorge ai piedi delle grotte delle streghe. 

Creature ben diverse dalle poverette che finirono sui roghi, quelle che vivevano nelle grotte di Sambughetto. Oggi le chiameremmo più correttamente "fate" come del testo richiama il loro nome dialettale.

Ne ho parlato varie volte, dopo l'incontro con la Maga, richiamando le loro acrobatiche esibizioni (c'è anche un video) e la storia del prete che osò discendere in quegli oscuri cunicoli.

Tornando alle "streghe" in carne ed ossa, sembra che la nostra Diocesi vanti il primato di essere stata la prima a porre un freno ai roghi. Grazie a Vescovi illuminati che compresero presto che quando non si trattava di vendette private, le denuncie colpivano persone che avevano l'unica colpa di essere un po' eccentriche, sole e "alternative". 

Probabilmente tra queste si nascondeva anche qualche portatrice di antiche tradizioni pagane, ma certo non c'era nessun patto col Diavolo...




domenica 18 ottobre 2015

Il Gastaldo. Capitolo 1.2

L'assassinio di Alboino in un dipinto di Charles Landseer

Alboin aveva guidato l’invasione dell’Italia ed era stato assassinato in una congiura ordita dalla moglie. Il re, ubriaco come spesso gli accadeva, durante una notte di baldoria nel palazzo reale di Verona, aveva costretto la moglie Rosamunde a bere da una coppa costruita con il teschio di Cunimond, il re dei Gepidi che Alboin aveva sconfitto e ucciso in battaglia. Rosamunde, che era figlia di Cunimond e aveva dovuto sposare il vincitore, aveva bevuto, ma giurando vendetta. 
Dapprima si era concessa ad Elmilch, fratello di latte del re, facendone il suo amante e complice. Poi, necessitando di ulteriore aiuto, aveva deciso di attrarre alla sua causa un altro uomo, un fortissimo guerriero gepido di nome Peredeos. Poiché l’uomo appariva incrollabile nella fedeltà giurata al re, la donna era ricorsa all’inganno. Una notte, complice l’oscurità, si era infilata nel letto di Peredeos, fingendosi la sua donna, che aveva fatto allontanare dal palazzo con un pretesto. Soltanto quando Peredeos ebbe finito di unirsi a lei, la regina gli aveva rivelato la sua vera identità, mettendolo di fronte ad una scelta diabolica: pagare con la vita l’adulterio o unirsi ai congiurati. Peredeos, vinto, aveva ceduto. 
Così, la notte convenuta, Rosamunde aveva fissato con una corda la spada del re alla testata del letto, quindi, appena Alboin si era addormentato, aveva aperto la porta a Peredeos e ad Elmilch. Il re, che aveva i sensi sempre all’erta, si era svegliato e aveva tentato vanamente di estrarre la spada. Allora aveva cominciato a gridare, tentando di difendersi con uno sgabello, ma nulla aveva potuto contro i suoi assassini.
Elmilch avrebbe voluto diventare re, ma lo sdegno tra i Longobardi per un’azione così vile era stato tale da costringere i congiurati a fuggire, portando con loro il tesoro reale, a Ravenna, dove però Elmilch e Rosamunde avevano trovato la morte. Si raccontava che Peredeos, portato a Costantinopoli, avesse ancora dato dimostrazione della sua forza uccidendo un leone davanti all’imperatore.
Poiché con la morte di Alboin si era estinta la dinastia dei Gausi, i duchi avevano proclamato re Clefis, della stirpe dei Beleos. Il suo regno, tuttavia, era durato solo diciotto mesi, perché una guardia del corpo, corrotta dall’Impero, aveva sgozzato nel letto lui e la moglie Masane. Il figlio di Clefis, Autaris, era sopravvissuto, ma era ancora un bambino. Così i più potenti tra i duchi si erano accordati, dividendosi il potere finché il fanciullo non fosse stato in grado di salire al trono. 
Erano stati tempi di ferro e di sangue i dieci anni dalla morte di Clefis all’incoronazione di Autaris. Dieci anni in cui i duchi avevano spadroneggiato, uccidendo e cacciando i grandi latifondisti romani, saccheggiando le loro ville ed impadronendosi delle loro terre.
Raggiunta la maggiore età, Autaris era salito al trono e i duchi erano stati costretti a cedere al re il controllo su metà delle loro terre e delle loro fare, gli estesi gruppi familiari in cui era diviso il popolo longobardo.
Dopo la morte di Autaris, Agilulf il turingio, due mesi dopo essere stato proclamato re, aveva mandato a chiamare il guerriero e lo attendeva nel grande palazzo reale, dentro le mura di Mediolanum. 



mercoledì 14 ottobre 2015

Il pozzo e il treno



L'altro giorno, giungendo in trasferta dalle parti di Gattico, grazioso paesino dal nome simpatico che si trova nel Novarese, vidi uno strano edificio da cui fuoriusciva vapore. Ero di fretta e non mi fermai a fare foto, ma giunto a destinazione trovai altri amici che si stavano ponendo la stessa domanda: cosa sarà mai quel misterioso pozzo? 

Grazie a un amico, grande esperto di storie locali, scoprii che l'edificio faceva parte di una serie di opere realizzate per costruire una linea ferroviaria e che sotto i nostri piedi correva una galleria di alcuni chilometri.

L'opera, realizzata agli inizi del Novecento, permetteva il collegamento ferroviario da Santhià ad Arona, superando ostacoli naturali non indifferenti. Proprio per accelerare i lavori vennero realizzati questi pozzi che consentivano di moltiplicare i punti di escavazione sotterranea.

E per evitare che qualche buontempone potesse gettare sassi sui convogli i pozzi furono escavati a una certa distanza dalla galleria, assicurandone l'aerazione e l'accesso in caso di necessità.






venerdì 9 ottobre 2015

Tolkien e le lezioni su Beowulf



Nel 1925 Tolkien ottenne la cattedra di anglosassone a Oxford. Le sue lezioni erano molto popolari. 

Durante il corso era solito entrare silenziosamente nell’aula e urlare all’improvviso: “Ascoltate adesso! Abbiamo udito narrare, noi, la gloria dei re dei Danesi delle Lance, di come quei principi, nei giorni che furono, compirono gesta valorose.” 

Era l’inizio delle lezioni sul Beowulf, uno degli argomenti che amava maggiormente. Il ricordo della sua voce e del suo viso che si contorceva mentre pronunciava gli antichi versi anglosassoni s’imprimevano nella memoria degli studenti che li ricordavano a decenni di distanza.


mercoledì 7 ottobre 2015

Poetry on the lake



Dal 9 al 11 ottobre si terrà la XV edizione di questo importante premio di poesia inglese che si svolge sull'isola di San Giulio e in altre località del lago d'Orta. 

Potete trovare il programma su www.poetryonthelake.org

domenica 4 ottobre 2015

Il Gastaldo. Capitolo 1.1

Cavaliere, lastrina in bronzo dorato
dello Scudo di Stabio, VII secolo.
BernaHistorisches Museum.
Sette mesi di siccità avevano ridotto la pianura umida e fertile in una steppa in cui solo le locuste prosperavano e si moltiplicavano. Dall’inizio dell’anno non cadeva una sola goccia di pioggia. Fatto straordinario, dicevano i contadini, innalzando inutilmente preghiere al loro Dio.

Una lunga nube di polvere inseguiva i cavalieri sulla strada verso la città. Gli zoccoli dei cavalli rimbalzavano sulla terra cotta dal sole, mentre attraversavano distese di erba ingiallita. Uno dei tre si passò il dorso della mano sul volto per tergersi il sudore e guardò i guerrieri che lo scortavano galoppando al suo fianco. Pensò che avrebbe preferito restare nel castello di Seprium, attorno al quale c’erano boschi nella cui ombra era possibile cercare un po’ di refrigerio. Pensò che non gli piacevano le città, luoghi circondati da mura che impedivano di vedere l’orizzonte, pieni di fango quando pioveva, di puzza quando faceva caldo e di sporcizia in ogni stagione dell’anno. Ne comprendeva la necessità, naturalmente, dal momento che un re aveva bisogno di una corte, di guardie, di magazzini e di artigiani.
Capiva l’utilità delle mura, che potevano tenere a bada eserciti numerosi anche per anni. Nonostante questo le città non gli piacevano e Mediolanum, per quanto fosse la città in cui l’aveva convocato il re, non solo non faceva eccezione, ma confermava in pieno la sua opinione.
La città era la più grande che avesse mai visto. Sapeva, per averlo sentito nelle lunghe sere in cui i vecchi raccontavano storie attorno al fuoco, che era stata la capitale dei Romani, dopo Roma e prima di Ravenna. Adesso invece a Ravenna stava l’Esarca dell’Impero, a Roma il Pontefice dei cattolici e a Mediolanum, da venti anni, stavano loro, gli Uomini dalle lunghe barbe.
Anche il cavaliere portava la barba lunga, come tutti quelli della sua gente che seguivano il costume tradizionale. Aveva la testa rasata dalla fronte alla nuca e i capelli biondi, divisi in due, pendevano lunghi fino all’altezza della bocca. Indossava un variopinto vestito di lino, a balze ampie e calzari aperti sino all’alluce con lacci di cuoio intrecciati. Al fianco teneva la spada e uno scramasax, una daga a lama larga che poteva essere utilizzata sia per il lavoro che in combattimento. Con la destra reggeva una lunga lancia con la cuspide a forma di foglia di salice, l’arma che, assieme alla spada, i guerrieri longobardi si addestravano ad usare fin da piccoli. Sulla schiena portava uno scudo circolare, di un braccio di diametro, in legno ricoperto di cuoio, con un umbone conico di ferro al centro ed una lamina di metallo lungo tutto il bordo, per proteggerlo dai colpi di taglio degli avversari.
L’elmo pendeva dalla sella sul fianco grigio e sudato di Graum. Faceva troppo caldo e Aribert, questo era il nome del guerriero, non aveva motivo per indossarlo. La guerra coi Franchi era terminata l’anno precedente, quando il re Autaris era riuscito a sconfiggere l’esercito franco che aveva invaso il regno. Non era stata una grande battaglia, poco più di una scaramuccia, ma i Franchi ne avevano abbastanza del caldo, delle alluvioni e della dissenteria. Così il loro re, Childelberto, aveva accettato di buon grado di trattare la pace per ritirare le truppe oltre le Alpi, lasciando solo l’esarca a combattere i Longobardi.
Proprio allora, però, era accaduto l’imprevisto: Autaris era morto, improvvisamente, e si sospettava che fosse stato avvelenato. Del resto nessun re longobardo era mai morto naturalmente, sebbene nessuno di loro fosse caduto sul campo di battaglia.


Questo è il primo capitolo de "Il gastaldo" ambientato nell'anno 590, che negli annali fu ricordato per una lunghissima siccità.



mercoledì 30 settembre 2015

La vanverista storia delle sorelle Pescone



Un paio di settimane fa, camminando per la Val Fatta (ma qualcuno dice Fata) a Pettenasco, mi sono imbattuto in una leggenda, scritta sul cartello qui sopra. Così, con altri, mi misi alla ricerca dei resti delle disgraziate Sorelle Pescone.

Con mia grande sconcerto la prima scoperta fu proprio sotto il ponte sul Pescone.


A quel punto fui preso da un senso di vertigine, che mi spinse a risalire la valle...





Dopo una breve camminata trovai un'altra inquietante presenza....



... e cercando attentamente una terza.



Mi rimasero però alcuni dubbi. Cos'è esattamente una storia "vanverista"? Chi ha coniato questo termine? E soprattutto perché? Così mi misi ad indagare. 

Alla fine scoprii un interessante articolo del Corriere della Sera del settembre 1996, in cui il termine è utilizzato per la prima volta da un consacrato maestro del Vanverismo, il genovese Paolo Villaggio. 

Durante un viaggio in barca con alcuni amici egli rilasciò infatti il suo parere lapidario sull'estate della chiacchiera a vanvera. "Noi italiani siamo malati di vanverismo."

Questa almeno è la mia ricostruzione. Vanverista, ovviamente.




venerdì 25 settembre 2015

Tolkien e Vegtam il Vagabondo




Una delle fonti di ispirazione per la figura di Gandalf, come dichiarato lo stesso Tolkien, è Odino nella sua forma di vagabondo. 

Nella Ynglinga saga si racconta che Odino per bere dalla Fonte di Mimir si mise in viaggio attraverso Jötunheimr, la terra dei giganti, vestendo i panni di Vegtam il Vagabondo, che portava un mantello blu e impugnava un bastone da viaggio. 

In un’illustrazione dell’Edda Poetica del 1893, Georg von Rosen disegnò Odino come un vecchio dalla lunga barba, con un cappellaccio in testa e il bastone di una lancia in mano. 

mercoledì 23 settembre 2015

Misteri subacquei


Qualche tempo fa un gruppo sub molto attivo in zona ha realizzato una esplorazione sulla frana che si trova nel lago d'Orta, a Oira di Nonio, in provincia del Verbano Cusio Ossola. 


Il documento è molto interessante perché per la prima volta è stata filmata la base della frana che si trova a circa 40-50 metri sotto la superficie.


domenica 20 settembre 2015

Quota 200. Un racconto giallo. Nona parte. La fine.



Mercoledì, ore 20,30

«Ciò che non riuscivo a spiegarmi all’inizio» cominciò il Maresciallo «era la sparizione del sacchetto dell’immondizia. Dall’ufficio non era stato rubato nulla e anche l’arma del delitto è stata trovata all’interno. La scomparsa di alcune pagine del dattiloscritto del Mogano e dell’intero romanzo inviato dal misterioso “Bien” mi hanno aperto gli occhi. Maccagno è stato ucciso, seduto alla scrivania, mentre portava occhiali da lettura. Stava leggendo qualcosa e l’assassino era alle sue spalle. Evidentemente era qualcuno che conosceva bene, a cui stava mostrando qualcosa di scritto. Poiché non abbiamo trovato fogli sulla sua scrivania vuol dire che l’assassino li ha rimossi, almeno in parte macchiati di sangue. Per evitare di sporcarsi ha buttato il tutto nel cestino e poi ha preso il sacchetto. Usando i guanti che si trovavano in bagno ha lavato la statuetta e l’ha nascosta nella cassetta del water per occultare ulteriormente le tracce, ben sapendo che avendo maneggiato quell’oggetto in passato qualche frammento d’impronta non l’avrebbe comunque incriminato. Ha messo il resto del romanzo inviato dal Mogano nella cassetta degli scarti, sperando che nessuno andasse a controllare.»
De Lorenzi si fermò un istante a guardare fuori. Aveva smesso di piovere.
«Tanta fatica per far scomparire un romanzo implica che questo sia la causa dell’omicidio. Cosa poteva esserci di così pericoloso? Qualcosa che Maccagno aveva giudicato strano e su cui era intenzionato ad andare a fondo, da buon appassionato di gialli. Ricevere due romanzi sostanzialmente identici da due persone diverse voleva dire che entrambi avevano attinto alla stessa fonte, copiandola ben oltre i limiti del plagio. Una colpa molto grave, soprattutto per chi desiderava riscattare la propria immagine davanti alla critica. Vero, professor Terzi?» 
«Ho seguito fin qui le sue elucubrazioni, ma non capisco dove voglia andare a parare.»
«Maccagno non era uno sciocco e ha impiegato poco a comprendere che “Bien” altro non era che il suo nome camuffato con un semplice cambio di lettere: A+1=b, L-1=i, D+1=e, O-1=n. Quello che però lei non poteva sapere, quando inventò quel gioco enigmistico, era che anche un’altra persona aveva avuto la stessa idea: presentare al Maccagno come proprio il romanzo scritto da una ragazza morta tredici anni fa!»
«Queste sono cose che vanno provate, in un tribunale…»
«Stiamo controllando tutta l’immondizia raccolta nella sua zona e sulle strade che conducono da qua a casa sua. Non è un lavoro piacevole e sarà lungo, ma troveremo quel sacchetto. Esamineremo il suo computer e scopriremo il file del romanzo. Perquisiremo la casa e troveremo il manoscritto che Camilla le diede quando era sua allieva al liceo. Se l’ha conservato anche il suo diario. Cosa accadde quel giorno professore? C’è la famiglia di una ragazza di diciassette anni che da troppo tempo attende la verità. E c’è un uomo a cui non è bastato scrivere un romanzo di successo per riportarla in vita. Collabori e liberi il suo cuore da questo peso, ora!»
Terzi scoppiò a piangere e ci volle un po’ prima che si riprendesse.
«Quel giorno Camilla aveva perso il treno» cominciò accompagnato dal ticchettio delle dita di Martelli sulla tastiera. «La incontrai fuori dalla scuola sotto la pioggia e mi offrii di accompagnarla a casa. Mentre guidavo qualcosa dentro di me scattò. Non ero più il suo professore, ma un uomo che si era innamorato di lei giorno per giorno. Mi fermai all’improvviso e glielo dissi. Lei equivocò, pensò forse volessi farle del male e scappò dalla macchina sotto la pioggia. Prima che potessi scendere anch’io sentii la frenata del TIR sull’asfalto viscido. Compresi immediatamente cosa era successo, fui preso dal panico e fuggii. Ho cercato per anni di cancellare quel ricordo. Scrissi il romanzo perché la volevo disperatamente in vita. La fiamma creativa che agitava la mia mente però si spense quando misi la parola “fine”. Desideravo riaccenderla in qualche modo ma ero ossessionato dal ricordo di quello che Camilla aveva scritto. Così decisi di mandarlo a Maccagno con uno pseudonimo. Lui però comprese facilmente chi era “Bien” e mi chiese spiegazioni per telefono. Era molto arrabbiato e io ero sconvolto. Non solo rischiavo di fare la figura del plagiaro per colpa di quell’idiota di Mogano, ma temevo che sarebbe emersa la verità. Corsi da lui per calmarlo, cercai di negare, ma lui era infuriato. M’insultò. Prese i fogli e cominciò a confrontarli davanti a me. Persi la testa e presi la mia statuetta. Poi cercai di far sparire le tracce.»
Terzi scoppiò di nuovo a piangere.
De Lorenzi gli appoggiò una mano sulla spalla e guardò fuori. Il cielo era finalmente sereno. Era stata raggiunta quota 198 e 37, ma gli esperti escludevano che il livello potesse crescere ancora. Alla gente di lago non restava che attendere il deflusso della piena che aveva invaso case e negozi, con l’eterna pazienza da montanari discesi sulle sponde del grande lago.





venerdì 18 settembre 2015

Le lettere di Babbo Natale a casa Tolkien

Il 25 dicembre 1920 Tolkien cominciò a mandare ai figli delle lettere firmate Babbo Natale, in cui descriveva con poesia e ironia le sue avventure e quelle dei suoi aiutanti e amici: dall’Orso Polare agli elfi, dagli Uomini di neve all’Uomo della Luna e via discorrendo. Continuò per trent’anni, corredando le lettere coi suoi disegni.





mercoledì 16 settembre 2015

La donna che tentò di salvare il lago





Cesarina Monti, più nota come Rina Monti e, talvolta, come Rina Monti Stella (Arcisate 1871 – Pavia 1937), fu una scienziata italiana. Biologa, fisiologa, limnologa e zoologa, nel 1907 fu la prima donna ad ottenere una cattedra universitaria nel Regno d'Italia.

Alla fine degli anni Venti fu lei a comprendere, contro l'opinione di illustri e più famosi colleghi, che la causa della scomparsa del pesce dal lago d'Orta, fino a quel momento pescosissimo, era da attribuire all'inquinamento. Gli scarichi curpoammoniacali della ditta tessile Bemberg, infatti, uccidevano il plancton determinando l'interruzione della catena alimentare.

Per ricordare la storia di Rina Monti e della "Santa Bemberg"



Giovedì 17 Settembre 2015
all’Hotel L’Approdo ore 21.00

PH 

Spettacolo teatrale 
di Domenico Brioschi
con Floriano Negri e Domenico Brioschi

La storia del lago d’Orta e della signora Rina Monti che pose per prima la questione se Industria e Ambiente Naturale possano convivere.

Spettacolo gratuito legato al convegno Living Waters del giorno successivo

domenica 13 settembre 2015

Quota 200. Un racconto giallo. Ottava parte



Mercoledì, ore 17,15

Il lago aveva superato quota 198 e continuava a crescere, alimentato dal Toce e dal Ticino in piena oltre che da centinaia di torrenti e ruscelli di varia lunghezza. De Lorenzi però guardava la montagna alle sue spalle. Il Mottarone offriva paesaggi considerati tra i più belli del mondo, ma ora faceva paura per i corsi d’acqua ingrossati che precipitavano a valle con centinaia di metri di dislivello e una potenza in continua crescita. Ricordava bene cosa era avvenuto ad Omegna alcuni anni prima. Tutti guardavano con preoccupazione al lago d’Orta e l’alluvione era arrivata alle spalle, dalla montagna, col suo carico di morte e distruzione.
La protezione civile era in stato di massima allerta e alcune zone di Stresa erano già state evacuate in via precauzionale. Ogni uomo disponibile era prezioso, ma De Lorenzi non poteva abbandonare la pista su cui era fuggito l’assassino. Anche se per farlo occorreva seguire strane piste.
Chiuse il libro e si appoggiò allo schienale.
Un uomo che veglia la sua fidanzata in coma, raccontandole incessantemente i giorni felici trascorsi assieme e soprattutto quelli lieti che verranno. Finché lei riapre gli occhi e dice “tu ed io per sempre insieme”. Perché l’amore, se è vero, può chiedere alla vita una seconda possibilità.
Era questo il romanzo che piaceva ai giovani? Era quel “per sempre” ad affascinarli? Si ripromise di parlare di più con Camilla, finché ne avesse avuto la possibilità.
A toglierlo da quei pensieri fu Spadaro che entrò per consegnargli il rapporto sui romanzi che aveva letto. Aveva l’aria provata.
«Fammi una sintesi».
«La maggior parte sono delle vere porcherie. Alcuni sono persino pieni di errori, per non parlare delle trame inconsistenti. Quello del Mogano è l’unico scritto veramente bene. Questo per quanto riguarda il contenuto dei racconti, ma la parte interessante è l’altra.»
«Spadaro, non tenermi sulle spine che abbiamo poco tempo, su!»
«Allora, ci sono diverse cose che non tornano. La prima è che manca una decina di pagine, dalla dodici alla ventidue per la precisione dal dattiloscritto del Mogano: le abbiamo cercate ovunque ma niente da fare. La seconda è che non c’è nessun romanzo firmato “Bien”. Anche questo è introvabile, busta compresa. Vado avanti?»
«Continua.»
«La terza è che il Maccagno ha fatto varie ricerche su internet nel pomeriggio di martedì. Su Google ha inserito varie frasi tratte dal romanzo di Mogano, intervallate ad altre molto simili, ma non identiche. E in tasca aveva un foglietto su cui stava scritto “–1 e +1”.»
Martelli entrò in quel momento.
«Mi scusi Maresciallo, mi aveva detto di avvisarla immediatamente quando avessimo trovato il Rosati. È stato rintracciato in Spagna.»
«Sta rientrando?»
«Non può farlo. È stato arrestato un mese fa a Barcellona per il possesso di cocaina e da allora si trova in carcere.»
«Allora a questo punto la situazione è chiara» disse il Maresciallo. «Il difficile ora è incastrare l’assassino. Preparatevi a fare un lavoro sporco.»



Nota per i lettori: siamo arrivati al punto di svolta. Nell'ultima parte sarà data la soluzione, pertanto se volete provare a individuarla, questo è il momento! 



venerdì 11 settembre 2015

Il film che Tolkien non volle

Forrest J. Ackerman

Nel 1957 Forrest J. Ackerman, editore, attore, scrittore e collezionista di storie fantastiche californiano tentò di realizzare una versione cinematografica del Signore degli Anelli associandosi con Morton Grady Zimmerman e Al Brodax (quello dei cartoni animati di Popeye). 

Tolkien, che odiava le trasposizioni delle fiabe realizzate dalla Disney, inizialmente apprezzò l’idea di un film di tre ore che avrebbe utilizzato una tecnica mista di animazione, figure animate e attori. 

Quando però lesse la sinossi fu molto contrariato da come la sua storia sarebbe stata stravolta. Nel suo stile professorale scrisse una lunga critica del testo, in cui lo smontava punto per punto. Il progetto fu abbandonato.