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domenica 19 luglio 2015

Quota 200. Un racconto giallo. Terza parte


Martedì, ore 14

Arturo Maccagno era un giovane alto dall’aria simpatica. Di quelli venuti al mondo con l’arte innata di vendere bene la propria immagine e i prodotti ad essa associati.
«Povero zio» commentò «non meritava di finire così. Avete idea di chi è stato? Un ladro?»
«Non ci risulta che sia stato rubato nulla, ma su questo ci potrà aiutare lei. In questo momento, comunque, tutte le piste sono aperte. Avremmo bisogno di parlare anche con suo cugino Mauro Rosati, ma non riusciamo a rintracciarlo. Cosa ci può dire di lui?»
«Sono anni che non lo vedo.»
«Nemmeno per il funerale di sua zia?»
«Non mi piace essere ipocrita» Maccagno si appoggiò allo schienale e congiunse le punta delle dita davanti a sé. «Mia zia ha fatto delle scelte che la famiglia non ha mai condiviso e, purtroppo per lei, ne ha pagato le conseguenze. Suo marito era un violento e un alcolizzato che è morto troppo tardi per quello che mi riguarda. Al funerale andò mio zio, che peraltro si fece carico anche dei costi, dal momento che quel fannullone di mio cugino, che sta seguendo l’esempio di suo padre, non voleva pagare per seppellire sua madre.»
«Nonostante questo erediterà una parte del patrimonio.»
«So che gli ha detto di non farsi più vedere se fosse finito di nuovo nei guai, ma che altro poteva fare? Diseredarlo? In fondo mio zio era un buono.»
«Lei no?»
«Io credo che nella vita si debbano conquistare le cose. Detto questo mio zio era sano di mente e capace di intendere e di volere. Quindi liberissimo di decidere cosa fare di quanto ha costruito con le sue mani.»
«Quando ha sentito l’ultima volta suo zio?»
«Ieri pomeriggio.»
«Ha notato qualcosa di strano?»
«A dire il vero una cosa ci sarebbe. Posso dirle una cosa in via confidenziale?»
«Signor Maccagno, stiamo parlando di un omicidio!»
«Mi scusi, ma non ha a che vedere con questo. È che stavo guidando…»
«Ho capito. Martelli, non verbalizzare quello che sto per dire.»
L’appuntato smise di battere sulla tastiera.
«Allora signor Maccagno, ha ricevuto una telefonata. Non mi interessa sapere se stesse usando o meno l’auricolare. Possiamo riprendere?»
«Certo, il fatto è che dopo poco ho visto una pattuglia della polizia e ho chiuso bruscamente la telefonata.»
«La prossima volta si ricordi che è pericoloso guidare usando il cellulare. Ora riprendiamo. Che cosa le ha detto?»
«In realtà mi ha chiamato due volte mentre stavo andando a Modena. La prima per dirmi che aveva per le mani un ottimo romanzo giallo e che non vedeva l’ora di farmelo leggere. Più tardi mi ha richiamato dicendo che c’era una cosa strana di cui voleva parlarmi. Proprio in quel momento ho dovuto agganciare. Avrei voluto richiamarlo, ma ero in ritardo per la riunione. Poi mi hanno invitato a cena e mi sono dimenticato. Quando mi è venuto in mente era tardi e ho pensato fosse meglio rinviare all’indomani. Mi spiace doppiamente: non solo è stata l’ultima volta che l’ho sentito, ma forse voleva dirmi una cosa importante.»
«Ancora una cosa» gli mise davanti le fotografie dell’ufficio. «Le sembra manchi qualcosa?»
«Non saprei, detto così è difficile…» Maccagno esaminò attentamente le immagini. «Un momento! Manca una statuetta che si trovava qui, sulla libreria dietro la scrivania. C’erano due statuette e la targa, premi ricevuti dalla casa editrice e da mio zio.»
«Aveva un valore commerciale?»
«Non direi. Sono premi, non opere d’arte.»
«Potrebbe descrivermela?»
«Posso fare di più. Ho una foto scattata quattro anni fa» le dita presero a scorrere velocemente sullo schermo del cellulare. «Ecco, guardi!»
Si vedeva Giorgio Maccagno sorridente sulla riva del lago, in compagnia di un uomo alto e pelato. Reggevano una statuetta raffigurante il San Carlone in miniatura.
«Era il giorno in cui abbiamo vinto il Premio Internazionale del Lago Maggiore. Quello alla sinistra dello zio è Aldo Terzi. “Tu ed io per sempre” quell’anno fece il botto: centomila copie vendute e trattative in corso per i diritti cinematografici.»


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