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sabato 2 giugno 2012

Alla scoperta di antichi sapori

Seguendo un menù di prodotti locali possiamo divertirci a scoprire gli aneddoti che stanno dietro ogni saporito boccone. Partiamo da un ottimo antipasto di salumi.
I maiali sono allevati da tempi antichissimi e già i Celti allevavano i suini nutrendoli con le ghiande dei querceti dell’Italia settentrionale. Il cinghiale era anche un animale sacro per i guerrieri Celti che ne ammiravano il coraggio e lo raffiguravano sulle armi.

Tra i tanti modi per conservare i salami ce n’è uno tipico delle province di Novara e Vercelli: il salame della duja. I salami sono prodotti con carni suine di prima scelta e messi a stagionare in un contenitore di ceramica riempito di strutto fuso. Solidificandosi lo strutto assicura una lunga conservazione.
Accompagniamo il salame con del pane di segale, un cereale coltivato fin dall’età del bronzo, duemila anni prima di Cristo. Considerato inizialmente una pianta infestante dei campi di grano, se ne scoprirono presto le virtù, soprattutto la resistenza ai climi freddi, che ne fecero per secoli uno dei cereali più coltivati e presenti nell’alimentazione dei contadini.

Dopo l’antipasto possiamo servire una polenta accompagnata dal tapulone. Per chi non lo conosce si tratta di uno stufato di carne d’asino, stracotta con spezie e vari sapori e due bicchieri di vino rosso delle colline novaresi. Secondo una leggenda che si tramanda di bocca in bocca la sua invenzione si deve a tredici omaccioni, che qualcuno non esita a definire orchi.
Tornavano dall’Isola di San Giulio e giunti al guado sul torrente Agogna si accorsero di aver finito le provviste. Vedendo il loro asino che brucava tranquillo pensarono di trasformare lui in bistecche. Essendo però il povero quadrupede di età antica e carne coriacea i tredici misero la carne in una pentola e la fecero cuocere a lungo. Infine, sazi e soddisfatti decisero di fondare in quel luogo la città di Borgomanero.

Per terminare la polenta rimasta possiamo condirla con pezzi di gorgonzola, formaggio che, nonostante il nome registrato nel dopoguerra nella città lombarda, ha una lunga storia in terra novarese dove è conosciuto col nome di chèga e dove ancora oggi si concentra buona parte della produzione.
Già i romani parlavano con ammirazione di un formaggio gallico dalle proprietà meravigliose e quasi curative. Lo stracchino prodotto con il latte delle vacche scese dai pascoli montani era punto con un ago intinto nella muffa del pane di segale. Questa prosperava consentendo la stagionatura e conferendo il sapore e l’aspetto tipico del formaggio erborinato.

I Celti lo accompagnavano con il vino rosso delle colline novaresi. E lo bevevano a canna da larghe fiasche in terracotta che avevano la funzione dei nostri decanter, i cosiddetti vasi a trottola (foto). Noi lo assaporiamo nel bicchiere prima di gustare un dolce che ha dato origine anche ad una maschera del carnevale novarese: Re Biscottino.
Il Biscottino di Novara nasce nei monasteri femminili della città come "biscottino delle monache di Novara". Quando i conventi furono soppressi da Napoleone la ricetta fu perfezionata dai pasticcieri novaresi rendendone possibile il commercio su larga scala. Tra gli estimatori del Biscottino di Novara si dice ci fosse anche il Conte Cavour che lo gustava abbinato al... gorgonzola!

4 commenti:

  1. Cosa sarebbe il mondo senza gorgonzola...

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  2. Sono le 9.20 del mattino e mi hai fetto voglia di fare un pranzo megagalattico!!! Sento dei profumi così invitanti... Faaame...

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