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venerdì 15 gennaio 2010

La Befana contro Babbo Natale


Ci fu un tempo, un tempo non lontano, in cui davanti alle Renne di Babbo Natale si parò, brandendo la sua scopa a mo’ di manganello, una Befana di nero vestita che nel sacco portava come dono al vecchio barbuto olio di ricino in quantità.
A raccontarmi di quei tempi – e la sua voce si fa strada lenta attraverso il fumo del suo sigaro – è il Maestro. Mi aveva promesso questa storia lo scorso Natale, ma poi per varie ragioni non ho potuto incontrarlo prima. So che ha viaggiato, il Maestro. È andato a Trieste, presumo, per il convegno del CICAP (il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale). Non credo sia stato molto considerato, peraltro, e forse questo rende ancora più nervoso il movimento del suo sigaro, che si agita lento nell’aria trascinando una coda di fumo simile a quella di un grosso gatto affamato, di fronte al quale mi sento come un sorcio con le spalle al muro.
«Erano tempi di autarchia culturale quelli, prima ancora che economica. Il Regime ostacolava qualsiasi cosa venisse dall’estero, in particolar modo dall’odiata e decadente America.»
Osservo il Maestro parlare e mi domando, silenziosamente, quanti anni potesse avere a quei tempi e, soprattutto, da che parte potesse stare. Nonostante tutto non riesco ad immaginarmelo aggregato ad una squadraccia di picchiatori. Tra l’altro, benché sia praticamente impossibile stabilire la sua età, mi sembra piuttosto di poterla collocare – se proprio dovessi datare la sua giovinezza – ai tempi in cui Noé collaborava con Cavour (e se non conoscete la storia correte subito a leggere questo post!)
«L’opposizione a quanto era straniero e non italiano era sovente implacabile e sempre ottusa e non risparmiava nulla e nessuno. Qualcuno, un bel giorno, decise che Santa Claus era un personaggio troppo americano. Un po’ come accade oggi con Halloween, dimenticandone le antiche origini europee. Ad ogni modo, sembrava inaccettabile che Santa Claus, un simbolo americano consumistico, oltretutto legato ad una bibita americanissima come la Coca Cola, potesse sbarcare impunemente in Italia senza permessi. Così per prima cosa gli si cambiò il nome, cercando di naturalizzarlo. Divenne Babbo Natale, un nome che poteva andare, se si chiudeva un occhio sul fatto che, bianco di pelo com’era avrebbe dovuto essere piuttosto “Nonno Natale” o forse, ancora meglio, “Zio Natale” dal momento che non risulta che il panciuto ometto sia sposato e soprattutto che abbia figliato, cosa peraltro che avrebbe potuto aprire inquietanti interrogativi sulle genealogie familiari, nelle menti dei più svegli tra i pargoli beneficiati dalle sua visite notturne.»
Il Maestro alle volte ha uno strano senso dell’umorismo, tutto suo, che fatico a comprendere, forse anche per via del fumo che a questo punto nel piccolo studio si è fatto così denso da rendere difficile scorgere la sua mano dall’altra parte di quel muro in lento movimento.
«Insomma, la cosa non era più tollerabile e si decise di intervenire in maniera netta, decisa, esemplare. A quei tempi, tuttavia, non era pensabile che i propagandisti del Regime potessero impadronirsi di un simbolo religioso per caricarlo di significati politici. A quei tempi Santa Romana Cattolica Ecclesia sorvegliava ancora con premurosa e vigile attenzione le cose di sua competenza. Nessuno pertanto avrebbe avuto l'ardire di agitare l’immagine del Bambino Gesù – a ben guardare la festa era sua – contro Babbo Natale.
L’idea fu forse considerata, ma subito scartata. Innanzitutto il Bambinello tutto poteva suscitare tranne quell’idea di forza, ardimento e sprezzo del pericolo che si volevano inculcare nelle menti degli Italiani. Secondariamente, esistevano seri dubbi sul fatto che il Bambinello avesse la cittadinanza italiana.
In quella notte di Consiglio in cui metri e metri di piastrelle furono consumate dalle suole chiodate degli stivali; in cui, soprattutto, le migliori menti del Partito vennero spremute fino a sfrigolare e fumare; in quella notte, dicevo, l’idea giusta infine venne.
C’era una sola persona che poteva contrapporsi a Babbo Natale: la Befana. Per prima cosa era italiana, anzi italianissima, perché era tradizionalmente venerata fin dai tempi dell’Impero di Roma, quindi prima dell'avvento dello stesso Bambinello. Secondariamente – benché il suo mezzo non fosse un veloce idrovolante moderno ma una vecchia scopa di saggina – la Befana indubitabilmente volava, con indubitabile sprezzo del pericolo per giunta. In terzo luogo la Befana era patriottica perché femmina e in quanto tale poteva facilmente svelare la sua vera identità: nascosta sotto la maschera della vecchia stava il volto giovane – e bello – dell’Italia.»
A questo punto ho le lacrime agli occhi, non tanto per il racconto quanto per il fumo che si aggira sinuoso per la stanza, scivolando strato su strato a serrarmi la gola, cingendola con un cappio da cui dubito di potermi sottrarre vivo.
«Nacque così» conclude il Maestro «la Befana Fascista, che si sviluppò come un’organizzazione di beneficenza del Regime, da contrapporsi non solo all’americano Santa Claus - Babbo Natale, ma anche alle organizzazioni caritatevoli cattoliche, strette attorno l’immagine tremante di freddo – e forse non solo di quello – del Bambinello.»

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