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venerdì 18 luglio 2008

Il carretto e il muretto



Un uomo di Boleto portava le pietre delle cave di granito col carro. I buoi conoscevano così bene la strada che spesso l’uomo dormiva, soprattutto alla sera quando rientrava a casa stanco per la lunga giornata.
Poiché all’epoca nessuno aveva nemmeno immaginato l’etilometro e la patente a punti (per un carretto poi!) l’uomo era solito fare prima una lunga pausa all’osteria.
«Un bicchiere di vino. Raso.»
Raso voleva dire pieno fino all’orlo. E quando si diceva orlo si intendeva quello in cima al bicchiere, non quello un centimetro sotto! Doveva essere pieno al punto da fare fatica a non versarne nemmeno una goccia, quando lo si portava la prima volta alla bocca. Il che era anche un ottimo sistema per controllare quanto avevi bevuto e soprattutto quanto potevi ancora bere. Perché di bicchieri rasi ne andavano giù parecchi prima che i buoi potessero rimettersi in marcia.
La maggior parte delle volte l’uomo aveva il sonno così conciliato dal vino da svegliarsi davanti alla porta di casa, più spesso per i rimbrotti della moglie che per naturale soprassalto di lucidità.
Quella sera però si svegliò perché i buoi si erano arrestati, ma emettevano un verso strano. Davanti a loro c’era un muretto che sbarrava la strada. E non c’era spazio per girare, perché sui lati c’erano altri muri e piante.
Allora l’uomo, afferrò la livera, la leva di ferro che usava per spostare le pietre e scese dal carro.
Patapim, patapam, in breve cominciò a menare botte e a smontare il muro, finché aprì un varco nel muretto sufficiente a passare, lui, i buoi e il carretto.
Il giorno dopo, si dice, incontrò il prete, che zoppicava.
«Come sta, don?» gli chiese.
«Eh, così, così…»
«La prossima volta, se non vuole zoppicare, se ne stia a casa di notte…»

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